Il minimo indispensabile: storie di seni e di reggiseni

‘Forse è ora di fare davvero ognuna come ci pare, decidere se la lingerie è uno dei piaceri della vita o se non ce ne importa niente’

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione

La scorsa estate si è fatto un gran parlare di reggiseni. Come ogni moda, la discussione è nata a Parigi. Sembra che durante il lockdown le francesi si siano accorte che è bellissimo stare a casa senza reggiseno e quindi si è acceso il dibattito al grido di “Busto libero!”.

Il reggiseno è una questione di comodità o di politica? Chi pensa che ognuno si veste un po’ come vuole, sappia che per certi l’apparenza è piena di messaggi: lascio il pelo perché voglio le pari opportunità; mostro i capezzoli perché sono libera; non metto in mostra le forme perché non voglio compiacere i maschi patriarcali… e se invece mi depilo, uso il push-up e sbandiero il décolleté sto riproponendo la solita immagine della donna-oggetto.
Naturalmente però si può omettere il reggiseno e restare seducenti nel vecchio senso della parola: basta rinunciare a spalline e laccetto sulla schiena, e indossare un reggiseno autocollante (due coppette autoreggenti) o applicare un piccolo adesivo, per esempio a forma di fiore, sui capezzoli. Togliere il reggiseno non è quindi per forza segno di emancipazione né di seno libero.

Un po’ di storia

Il reggiseno è nato come rivendicazione di libertà. Busto libero! Il corsetto ci toglie il fiato, non riusciamo a correre, non vogliamo più essere donne svenevoli! E così a fine Ottocento (in Francia, bien sûr) è nato il reggipetto, quell’aggeggio che usa il principio dello zaino: se le spalle mi aiutano a portare un peso, questo pesa meno. Durante la Prima guerra mondiale il governo americano ha poi chiesto all’industria dei corsetti di risparmiare metallo perché serviva di più all’industria bellica. Bene, allora togliamo le stecche e lasciamo le coppe: nasce il reggiseno e si risparmiano nei soli Stati Uniti 20mila tonnellate di metallo, quanto basta cioè per costruire due corazzate.
Negli anni il reggiseno ha seguito le tendenze estetiche che chissà chi inventava: il seno piatto è androgino quindi intrigante (anni Venti), a punta come un siluro dà allegria e grazia (anni Cinquanta), push-up è barocco, sensuale, fa l’occhiolino al porno e rimanda gradevolmente alle birrerie tedesche (anni Ottanta). Intravedere il seno è bello, è volgare, infantile, provocante. Tra decenza, erotismo, moda e liberazione, si intreccia e fluttua nei decenni l’evoluzione della nostra biancheria intima.


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Questioni di salute

Qualche anno fa la ricerca di un medico (francese) aveva dato speranza alle donne che si sentono costrette dal reggiseno: “L’impatto del reggiseno è nocivo”, sosteneva il dottor Jean-Denis Rouillon, che nel frattempo è stato smentito. “Non solo non abbellisce, ma inoltre non permette ai tessuti cutanei di irrigarsi a dovere e non lascia lavorare le fibre. Toglietelo e il vostro seno ricomincerà a puntare verso l’alto in modo naturale”. Le ultime ricerche mediche sono più caute: va benissimo metterlo o non metterlo. Meglio però non più di otto ore al giorno ed è importante sceglierlo della giusta taglia: la respirazione non deve in nessun modo essere ostacolata. Il reggiseno è fortemente consigliato negli ultimi mesi della gravidanza, durante l’allattamento e mentre si praticano sport come la corsa, dove i colpi ripetuti possono provocare mal di schiena, cattiva postura, dolori al collo e alle spalle.


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Istruzioni per l’uso: la banda che corre dietro la schiena deve essere orizzontale e non salire verso l’alto. Se ciò accade il reggiseno probabilmente non è della misura corretta.

Per chi non si ricorda

“Dipende molto anche dall’età”, mi racconta una femminista che oggi ha 70 anni. “Quando vedo per strada le ragazzine con la maglietta attillata e i pantaloncini corti mi paiono provocanti e anche un po’ scandalose. L’altro giorno però ho tirato fuori un album di fotografie e mi sono vista io a quell’età. Erano gli anni Sessanta o Settanta, non mettevo mai il reggiseno e andavo in giro praticamente in mutande e canottiera… Me lo ricordo benissimo perché lo facevo: non era per attirare sguardi o desideri, men che meno per provocare: mi sentivo bene, ero giovane e libera e quindi indossavo il minimo indispensabile. Credo che quando giudichiamo gli altri (i più giovani, gli stranieri, i diversi da noi in generale) pensiamo a noi stessi adesso: se io facessi così adesso sarebbe brutto. E invece dobbiamo pensare a loro in questo momento, che si sentono in un modo che appartiene a loro e a questo momento, e che noi non sappiamo niente delle loro intenzioni le quali forse sono tutte diverse da ciò che ci immaginiamo”.

E dunque?

Quindi forse è ora di fare davvero ognuna come ci pare. Di decidere se la lingerie è uno dei piaceri della vita o se non ce ne importa niente. Chi spesso è in ritardo e corre per prendere il bus, probabilmente troverà comodo non avere qualcosa che ti ballonzola dolorosamente davanti; chi ha un’idea di comodità legata al minimalismo e sta bene così, darà il benvenuto al movimento No Bra. E probabilmente la maggior parte sceglierà di metterlo quando e come ne ha voglia senza farne una questione di principio. Come diceva Germaine Greer nel 1970 nel suo libro L’eunuco femmina: “I reggiseni sono un’invenzione assurda, ma se poni come regola il fatto di stare senza reggiseno, ti stai sottomettendo a un’altra repressione ancora”.

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