Giochi dell’altro mondo
Posate macchiate, pentole bruciate, moquette rovinate, intossicazioni e ustioni da acido. Vogliamo parlare dei kit come il ‘Piccolo chimico’ e di altri indimenticabili capolavori?
Di Duccio Canestrini
Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.
A metà del Novecento si giocava a bollire composti chimici con matracci e provette, maneggiando zinco, sodio e acido tartarico come fossero pepe e prezzemolo. Per non parlare della sua declinazione al nucleare, da “piccolo chimico” a “piccolo scienziato atomico”: ecco l’Atomic Energy Lab, kit lanciato sul mercato dalla Gilbert Company che conteneva, tra varie sostanze nocive, anche polonio e uranio radioattivi. Inizialmente ai giovani sperimentatori fu lasciata piena libertà, poi per fortuna ci si accorse che non era una buona idea.
Ritornare sugli alberi
Eppure oggi, in era digitale, quella materialità manca. Magari non proprio quella ecco, ma comunque qualcosa che non fosse da guardare su un display e da azionare con un dito. Il video ha sgominato il moto. Maestre raccontano che i bimbi non sanno correre e non sanno arrampicarsi sugli alberi. Indubbiamente è venuta meno la fisicità. Biglie, trottola, boomerang, salti con la corda, ombre cinesi, pallonate sulla strada, erano giochi formativi, non preordinati ma di addestramento del corpo. Giochi che spesso si facevano in natura.
A fronte dell’immediatezza e della rapidità dei “frutti” del web, i processi della natura e i frutti della terra sono lenti; ebbene, osservare questa lentezza è altamente educativo. Non per dire che la tecnologia sia un male, anzi, è giusto che i bambini imparino a usarla, a patto che per loro non sia l’unico gioco fattibile. E a patto che il gioco non serva a distrarre, ma a coinvolgere in una relazione.
Poche cose, molte idee
L’attività ludica è fondamentale per l’espressione della personalità. Il gioco aiuta a rapportarsi a sé stessi, agli altri e all’ambiente. Con il gioco si sviluppano la creatività e l’arte, giocare è un’attività essenziale per la salute psichica dei bambini, e per quella degli adulti. Il più grande studioso e filosofo del gioco, Johan Huizinga, autore di Homo ludens (prima edizione in tedesco nel 1939), osservava: “Sono sempre più saldamente convinto che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco”.
I bambini che trasformano un pezzo di legno o uno scatolone in un’automobilina o una casetta per le bambole sono più liberi e fantasiosi di quelli costretti a seguire regole che non lasciano nulla all’immaginazione e all’improvvisazione. Nei giochi di gruppo, poi, il bambino impara a gestire la propria competitività, impara a vincere, ma anche a perdere. Perché un fallimento vissuto nella dimensione ludica aiuta a crescere e ad accettare le inevitabili sconfitte della vita.
In tutta sicurezza. O quasi…
Quando si parla di giochi, di solito si distinguono i giochi da tavolo da quelli motori. Tra i primi, per esempio, si ricorderà il Monopoli, sul quale si sono formate generazioni di piccoli bancari e imprenditori, affascinati dalle mazzette di simil-denaro. Più nozionistico ma divertentissimo lo Scarabeo, una variante italiana dell’americano Scrabble: si gioca su caselle con otto lettere a testa, le nuove parole devono avere almeno una lettera in comune. E poi il Gioco dell’Oca, con i dadi, la Dama, il Non ti arrabbiare, le Pulci, il primo Lego e il Sapientino. Le asticciole dello Shanghai da sfilare con mano ferma, e i castelli di carte, sempre a rischio di metafora (e di crollo).
Con i giochi motori, soprattutto una volta, ci si sbizzarriva a piacimento: Nascondino, Mosca cieca, I quattro cantoni, Palla avvelenata. E poi, si direbbe oggi, i giochi “di genere” ossia quelli più praticati dai maschi, non necessariamente più “fisici” di quelli invece considerati da femmine. Scelti spontaneamente? Imposti come condizionamento culturale? Ciascuno la pensi come vuole. La fionda, il salto della cavallina e il gioco del fazzoletto, roba da maschi. Prediletti dalle ragazzine, invece, il salto della corda, la Campana (detta anche Settimana) tracciata in terra con il gesso. E per finire l’Elastico, un gioco di destrezza per il quale erano necessari metri di elastici bianchi, cosiddetti “delle mutande”, che si vendevano in merceria. Altro che Playstation, verrebbe da dire…