Shellac, al parco della creatività

Apparso nel 1994, il primo disco degli americani Shellac mantiene una freschezza sorprendente. Forse per la sua purezza e quella lucida follia.

Di Giancarlo Fornasier

At Action Park (Touch and Go, 1994)

Se il nome di Steve Albini vi suona familiare, significa che almeno uno degli oltre 1’500 album nel quale ha fatto da recording engineer (come preferisce definirsi lui) lo avete ascoltato. I Nirvana, per esempio.
Nato a Pasadena (California), classe 1962, personaggio controverso e fondatore dei seminali Big Black prima e dei Rapeman poi, nel ’92 dà forma agli Shellac. Preceduto da tre gemme in formato vinile da 7 pollici (e grafiche curatissime), nel ’94 ecco il diamante grezzo della sua filosofia tecnico-artistica: At Action Park. Suoni diretti, testi taglienti, uno stile che affonda nel post-punk più asciutto e soprattutto in quel grandioso mare di idee e sperimentazioni rappresentato dall’hardcore americano. Qualcuno li piazza nel movimento «math rock» per le ritmiche complesse, insolite, dissonanti che faranno scuola, dominate da Todd Stanford Trainer e da Bob Weston al basso.
Che dire: procuratevi il disco e buon viaggio. Ne vale davvero la pena.


Copertina apribile, busta interna in cartoncino e “note tecniche” (roba seria e di qualità…)

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