Giallo con roselline. Un racconto di Giorgio Genetelli
“Maramore non aveva resistito al passo lungo della donna e l’aveva fermata vicino a un bar, le aveva accennato, erano entrati, avevano parlato…”
Di Giorgio Genetelli
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
In una città di delinquenti, Maramore è sempre in bolletta e nel suo ufficio si crogiola nella penuria. È come stare su un peschereccio ai Caraibi con gli scarponi da sci, non stai malissimo, ma sembri inutile. Maramore fa il detective perché a un certo punto gli è sembrato comodo, dopo il primo caso: un amico gli aveva chiesto di seguire le mosse della moglie e lo avrebbe pure pagato per quell’incarico da impiccione.
Non si vedevano da vent’anni.
– Però mi ricordo che avevi fatto saltar fuori quella storia del tenente con la ragazzina del bar.
Neanche Maramore fosse Marlowe.
Comunque la moglie non l’aveva mai conosciuta e questo era un bel punto a favore della serietà operativa. Per rendere il tutto ancora più professionale, aveva chiesto un congedo dal lavoro vero (spedizioniere), per poter appuntare con tempismo sulla cartina appesa nel gabinetto gli spostamenti della donna e gli indizi, per quanto vaghi. L’amico gli aveva dato una foto bucherellata (puntine? frecce? coltellate?), con lei in posa sbarazzina in una spiaggia ignota, in piedi a costume intero e con una mano tra i capelli scuri. Bella. Vabbè, dettagli, pensò.
Poi il caso l’aveva risolto sì. Lei si vedeva davvero con un tale e non per comprare verdura. Ma Maramore non avrebbe incassato il compenso, per un paio di buoni motivi.
Uno. Maramore non aveva resistito al passo lungo della donna e l’aveva fermata vicino a un bar, le aveva accennato, erano entrati, avevano parlato e bevuto, erano andati a casa di Maramore a strappare la cartina nel gabinetto mentre lei gli abbassava la zip.
Due. Maramore aveva detto all’amico che era tutto a posto, di non preoccuparsi, che la moglie si distraeva con innocue gite per abbracciare gli alberi del Parco Fiorito. E che per così poco non avevano senso né la gelosia né il compenso.
Era contento per aver rasserenato l’amico, gli bastò quella sensazione di animo nobile. Si era sentito perfino onesto.
Da quel caso aveva tratto la convinzione di farne una professione, e che con la dovuta esperienza sarebbe stato incorruttibile: caso, soluzione, compenso. Senza distrazioni. Si licenziò.
Si era preso un ufficio in uno scantinato a Mondiraldo, affitto basso. In una delle zone più quiete della città, che di solito è una buona scelta se vuoi riposare, pessima se cerchi delinquenti. Ovunque furti, estorsioni, traffici illeciti, adulteri, intrecci di mafia, droga, babygang, gangbang e qualche omicidio sporadico. Tranne che lì.
La polizia nemmeno lo interpellava, anzi: una volta gli scrissero su carta intestata che era meglio non interferire più nelle indagini, dopo che lui si era incaponito in una versione sballata a riguardo di un tal incidente con la figlia di un ministro ubriaca al volante e un ragazzino morto. “Ha travolto uno spartitraffico”, gli avevano puntualizzato nella lettera che ancora tiene in vista sulla scrivania.
Naturalmente, col cambio di regime la vita sentimentale di Maramore era subito scoscesa, anche le due ex-colleghe più disinvolte lo bidonarono e lui dopo tre volte non le chiamò più. Nel quartiere Mondiraldo, solo mamme giovanissime e nonne fuori moda, un deserto carnale, non solo professionale. Vegetava in ufficio tra la polvere e la noia. “Ma sempre meglio che un lavoro di merda” pensava spesso, in assenza di ragioni tangibili. Ogni tanto però, ripensava alla moglie dell’amico, quella degli alberi, come ipotesi relazionale, anche solo saltuaria. “Se non sono capace io di agire in clandestinità…”, si diceva ad alta voce con i piedi sulla scrivania. Ma poi lasciava perdere, lei l’aveva detto chiaramente: “Mi dimentichi”. Era stato un accordo che poggiava sul tradimento dell’accordo precedente: valeva doppio.
L’anno sta finendo e Maramore sa che sotto le feste ci sono più reati, è statistica; magari anche a lui può toccare un caso non troppo complicato, con il quale svagarsi e intascare qualche soldino per mangiare al ristorante, come tutti i disperati solitari che tra Natale e Capodanno portano il peso dell’abbandono. Ci spera. Sta lì nel sole di sbieco che trapassa la polvere della finestra, normalmente per pochi minuti a metà della mattinata, e che poi sparirà dietro i palazzoni popolari.
E toc toc alla porta.
Toglie i piedi di scatto, si passa la mano nei capelli e poi sulla giacca sgualcita, come se la speranza bastasse a darsi un contegno.
– Avanti! – dice con un tono un po’ ansioso e inaspettato che lo irrita.
– Lei si occupa di cosa?
È una donna sull’orlo della vecchiaia. Di solito, hanno soldi.
– C’è scritto fuori: investigatore.
– Volevo esserne sicura, sa, con tutti gli imbroglioni che girano.
– Vero.
Maramore si siede di nuovo e invita la donna a fare altrettanto, ma poi si deve rialzare per togliere un plico di giornali ingialliti dalla sedia degli ospiti, alzando uno sbuffo di polvere che il sole radente ingigantisce. Non si è mai seduto nessuno lì, constata tra sé.
In sostanza, c’è da ritrovare il cagnolino della donna, un barboncino nero con il collarino giallo decorato di roselline rosse. Maramore riceve una foto, bucherellata anch’essa come quella della moglie dell’amico sulla spiaggia. Mentre pensa che al ristorante non ci andrà, vista la misera tariffa per il recupero animali, il detective è incuriosito dall’analogia. “Certo che però un morto ammazzato sarebbe stato meglio, per me e forse per lo spettacolo”, pensa.
– Se me lo ritrova prima di Capodanno è meglio neh – dice la donna con un certo cipiglio –. I buchi li ha fatti mio genero col coltello del pesce.
– Ah be’, è un indizio.
La donna vecchia è uscita da un pezzo, Maramore crede che non occorra affannarsi, meglio far sedimentare le prove anche se scarse, e si addormenta.
Più tardi si beve un paio di gin per tirar sera, e quindi va in centro, che secondo lui è zona da barboncini, anche di quelli rapiti. Tutti si stanno scannando coi pacchetti e scacciano Babbi Natale fastidiosi, mentre i bambini o piangono o si incantano, peggiorando l’atmosfera già tesa di suo. Maramore quasi si diverte. Ma poi la vede.
La moglie dell’amico, che supera un abete di plastica e potrebbe passargli a un metro. Con quel passo lungo che okay, magari hai fatto finta di dimenticare, ma un tarlo te l’ha lasciato. Anche il rumore della zip e il resto, d’accordo. E poi vede il cane. Quello della donna vecchia, è lui, con roselline e tutto quanto.
La scusa c’è.
– Buonasera, quel cane è suo?
– Mi dai del tu adesso?
– A me risulta rubato a una signora anziana che ci tiene molto. Ho anche la foto.
E mostra la foto.
La moglie fa come stupirsi. Poi gli chiede se per caso non si possa sistemare la cosa come l’altra volta.
Maramore pensa al magro compenso per il ritrovamento, lo paragona al rumore della zip e scioglie i fragili dubbi. Ma gioca un po’ al rialzo.
– Si potrebbe, ma dobbiamo pattuire bene lo scambio.
E vanno a Mondiraldo, a un romantico lume di candela perché gli hanno tagliato la luce. Il cane sembra capire e allora Maramore lo lega al lampione di fuori e anche se lo rubano di nuovo, pazienza, magari poi lo ritrova e la donna vecchia lo paga.
Mentre la zip già cigola, la moglie dell’amico sussurra:
– Il mio ex marito lo odia. È il cane di mia madre.
Caso risolto.