Liberismo: la mano invisibile

L’uomo al centro e pedalare. Nella speranza che tutto fili liscio liscio…

Di Lorenzo Erroi

Pochi, da questa parte dell’Atlantico, conoscono Ayn Rand. Eppure negli Stati Uniti è un mito dei liberisti. Rand scappò da San Pietroburgo agli albori dello stalinismo: prima a Chicago, poi a New York. I suoi romanzi, soprattutto The Fountainhead e Atlas Shrugged, sono stati definiti «la droga d’ingresso» in una visione del mondo nella quale l’individuo è principe e misura di ogni cosa, e lo Stato, anche quello minimo, un prevaricatore e una disgrazia. Rand sgridava perfino un altro liberista come Hayek – l’economista, non quello degli orologini di plastica – quando azzardava l’ipotesi che in fondo gli autobus avrebbero anche potuto restare pubblici. Per dire il tipo.

Nell’approfondimento presente questa settimana su Ticino7, il giornalista economico Generoso Chiaradonna ricostruisce le fasi del trionfo di questa ideologia, e nota come nemmeno la crisi del 2008 ci abbia fatto addivenire a più miti consigli. Minuscola controprova: nelle prime settimane del 2009 le vendite dei romanzi di Rand – lunghissimi sermoni di dubbio gusto – triplicarono addirittura. A menzionarla come loro ispiratrice troviamo Steve Jobs (fu Ceo di Apple), Travis Kalanick (fu Ceo di Uber), Donald Trump (attuale Ceo di White House, Inc.). Tutti evidentemente affezionati alla sua definizione di libertà: «Non chiedere nulla, non aspettarsi nulla, non dipendere da nulla». Ayn Rand morì nel 1982, e solo l’assistenza sociale e un’assicurazione sanitaria pubblica le permisero di vivere dignitosamente l’ultimo periodo della sua malattia.

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