Il mammo non è un gioco

Se non ti sei mai messo alla prova è difficile poter esprimere giudizi credibili. Perché fare il “mammo”, e gestire casa e figli, è roba tosta. Altro che stress da uffici

Di Giancarlo Fornasier

Chi oggi viaggia sopra gli “anta” farà fatica a ricordare il proprio padre vagare col passeggino tra gli scaffali del supermercato, trafelato e con la barba incolta, alla ricerca del latte in polvere. Semplicemente perché quella figura non esisteva, almeno non nella cultura latina. Il papà era molto più facile vederlo comparire attorno all’ora di cena (e pure dopo), col viso già tirato ancora prima di inciampare su quella “maledetta macchina telecomandata: che stavolta va giù dal balcone!”. Lui era stanco da una giornata “che non sai sto maledetto cosa mi ha fatto” (cioè il solito capo-padrone). 

Lei, la mamma, aveva iniziato la giornata alle 6.30 e con tre figli tra i 10 e i 5 anni Dio solo sa se era riuscita a sedersi cinque minuti sul divano. Ma agli occhi dell’uomo l’impegno di una casa mica era un vero lavoro: fai colazione, porti i figli a scuola, fai la spesina, incontri gente, prepari da mangiare, sistemi qui e lì. A parole tutto semplice, anche perché di quelle generazioni di padri ben pochi avevano provato che cosa significava gestire una famiglia. E soprattutto, educare i ragazzi… Che poi anche la quantità fa una sostanziale differenza. Quando il piccolo è uno di numero, la cosa è gestibile (anche per un “maschio Alfa”); quando sono due serve molta organizzazione; con tre pazienza e fiducia in sé non ti devono mollare mai. Mai. Dai quattro in avanti è roba per supereroi ed eroine. Nella speranza che ai veri figli non si aggiunga anche un marito infantile. Ma questa è un’altra storia.

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