Gianfranco Giustina. Un maestro del verde

Dalle prime talee ai grandi riconoscimenti: ricordi e speranze del curatore dei giardini delle Isole Borromee (Lago Maggiore).

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Lui si definisce un giardiniere, in verità è un autentico maestro. Non a caso nel 2014 la Royal Horticultural Society di Londra gli ha conferito la «Veitch Memorial Medal», una sorta di premio Nobel nel settore. Lui giura che la vocazione per il verde è innata, anche se da bambino a folgorarlo sono state le passeggiate con la mamma nei prati e boschi intorno al Lago Maggiore. La sua anima di giardiniere si è fatta sentire presto, con le prime talee a sei anni; poi è stato tutto un crescendo.
Gianfranco Giustina è il curatore dei giardini delle Isole Borromee, sul Lago Maggiore, dove ha dato vita a vere e proprie sfide botaniche: a lui si deve l’acclimatazione di piante rare e fiori esotici, oltre che l’eroico salvataggio sull’Isola Madre del cipresso del Kashmir (Cupressus cashmeriana), il più grande e il più vecchio d’Europa.
In questo incontro viene ricordato Sir Peter Smithers, amico e maestro molto noto nel nostro cantone, e l’importanza di un territorio lacustre comune dov’è nata la cultura dei giardini. 

Gianfranco Giustina, come ha scoperto di avere il pollice verde?
«Penso sia una dote innata, di cui non si ha consapevolezza soprattutto da bambini. Mia mamma aveva l’abitudine di portarmi nei boschi a fare passeggiate. Invece mio nonno mi faceva notare la bellezza della vite e dei frutti delle piante, le caratteristiche degli insetti e degli uccelli. Probabilmente avevo già il pollice verde, perché a 6 anni mettevo nei vasi le piante che riproducevo per talea e a 10 avevo un piccolo orto, tutto mio, con pomodori, altre verdure e fiori coltivati». 

Cosa la sorprendeva di più?
«Sono sempre stato affascinato dalla bellezza delle fioriture dei boschi e dei prati, che accompagnano il risveglio della natura. I primi bucaneve, i narcisi e i mughetti mi colpivano per la loro umiltà e straordinarietà». 

Come si è svolta la sua formazione di giardiniere?
«Un capitolo importante dei miei studi è stata la Scuola di floricoltura Domenico Aicardi, frequentata a Sanremo. In quegli anni ho visitato tutti i giardini più belli della Riviera Ligure e della Costa Azzurra e mi sono avvicinato a piante e fiori esotici, approfondendo vari aspetti come l’acclimatazione. Nel periodo delle vacanze, fin dalla prima media, durante l’estate lavoravo in un vivaio. Non lo facevo per soldi, erano i miei genitori che non concepivano che potessi stare in giro a zonzo…». 

C’è stato un incontro che le ha cambiato la vita?
«Quello con Sir Peter Smithers, politico, diplomatico e botanico inglese. La frequentazione di questo personaggio straordinario in Ticino è stata la mia altra grande scuola, oltre a Sanremo. Ho avuto modo di incontrarlo nei primi anni Ottanta, perché frequentavo le Isole di Brissago e tramite amici comuni seppi che viveva a Vico Morcote. Raggiungerlo a Vico fu un’impresa. Era un giorno caldissimo di giugno, in paese nessuno sapeva chi fosse: una volta giunto alla villa, mi trovai di fronte a questo personaggio dalla figura imponente e di grande fascino. Sir Peter era un pozzo di scienza, aveva girato il mondo e conosciuto le piante più rare. Nel suo giardino di Vico Morcote c’erano specie di piante subtropicali che non avevo mai visto, anche se sapevo della loro esistenza. Lui mi ha aperto la mente su alcune magnolie e sui primi glicini arrivati in Europa. Iniziò così un dialogo fatto di scambi di conoscenza e durato anni, tra un maestro e un allievo che non ha ancora smesso di imparare». 

Perché uno dei giardinieri più importanti del ventesimo secolo era approdato proprio in Ticino? 
«Sir Peter, dopo aver studiato le caratteristiche di varie zone temperate d’Europa, scelse Vico Morcote perché si trova in una fascia climatica ideale. Le zone che si affacciano sul lago in Ticino sono una cuccagna per i giardini, grazie a un microclima nel quale possono vivere le piante più belle». 

Quali insegnamenti di questo maestro sente di trasmettere? 
«Fra le altre cose, Sir Peter mi ha insegnato a riconoscere la bellezza dei profumi della natura, che ha catalogato in quattro classi. Quelli di prima classe si diffondono nell’aria e si avvertono semplicemente camminando. I profumi di seconda classe, come quello del mughetto, sono molto buoni, ma si deve avvicinare il naso e andare in ginocchio per sentirli. Quelli di terza classe (per esempio, rosmarino e salvia) si percepiscono unicamente sfregando le foglie delle piante. Poi ci sono quelli di quarta classe, che si diffondono di notte e durano dalla sera fino a metà mattina, come succede con i gelsomini».

Quale luogo comune ha sfatato grazie alla figura di Sir Peter? 
«A un certo punto lui mi ha invitato a tornare nel suo giardino d’inverno. All’inizio ero perplesso, poi gli sono stato grato, poiché mi ha fatto apprezzare le piante e la natura anche nei mesi che si pensano essere i più brutti. Ogni anno d’inverno, a gennaio e ai primi di febbraio, vado in Inghilterra per vedere i festival dei bucaneve e i winter gardens, che hanno cose meravigliose». 

Come è possibile aprire i giardini d’inverno? 
«In generale si vede il giardino come qualcosa di morto nella stagione fredda, quando preferiamo andare nei centri commerciali. Invece non è così. Bisognerebbe aprire al pubblico i giardini d’inverno per invertire questa tendenza, vista la bellezza dei parchi del Ticino e del Lago Maggiore, dove abbiamo più luce e meno freddo rispetto a Inghilterra, Belgio e Nord della Francia».

Secondo lei, come è possibile migliorare la fruizione del patrimonio verde in Ticino? 
«Sui laghi Ceresio e Maggiore ci sono giardini privati che potrebbero essere restaurati e aperti al pubblico; andrebbero così ad arricchire il circuito dei parchi visitabili. A loro soli, i lungolaghi di Lugano e Locarno sono meravigliosi. Questo territorio, già bello, andrebbe valorizzato ulteriormente».

Cosa le ha dato più soddisfazione nella cura dei giardini alle Isole Borromee? 
«Il salvataggio del cipresso del Kashmir, il grande vecchio dell’Isola Madre, che fu devastato dopo una tromba d’aria. È stata un’impresa che pareva impossibile. Qualche soddisfazione la devo anche all’acclimatazione di piante rare e fiori esotici su questa isola in mezzo al lago, dove non c’è il microclima della riva». 

Ha degli hobby?
«Quando sono stanco, amo immergermi nel giardino di casa mia e passeggiare in silenzio, per godermi la bellezza di questo piccolo angolo verde con tante cose che mi danno gioia. Poi mi piace passeggiare in montagna».

Chi ricorda con più affetto tra i botanici che ha frequentato? 
«In passato fui ospite per una settimana a casa di Jelena de Belder, in Belgio. È stato un arricchimento culturale incredibile, che non dimenticherò mai. Dopo cena rimanevamo a parlare delle ricerche botaniche fino a tarda notte, in una biblioteca straordinaria. Di recente, a Villa Erba a Cernobbio, sul lago di Como, ho rivisto Roy Lancaster, plantsman da leggenda al quale ho consegnato il premio conferito da “Orticolario”». 

Progetti per il futuro e un suggerimento per chi ama il verde?
«Vorrei raccontare in un libro tutta la mia avventura di giardiniere “folle”, con una passione esagerata. Un po’ come ha fatto Sir Peter Smithers, il quale è stato insignito del mio stesso premio dalla Royal Horticultural Society. Dobbiamo essere consci che  la cultura del giardino è nata sui laghi, ma ahinoi la stiamo perdendo. È necessario valorizzare e consegnare al meglio alle future generazioni questo ambiente unico e bellissimo che Dio ci ha dato. Il cemento e l’abbandono non portano lontano». 

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