Azzurro Sessantotto

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Di laRegione

«Ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar». Chi da ragazzino passava le estati in oratorio sa benissimo di cosa sta parlando Paolo Conte, che cinquant’anni fa esatti consegnava ad Adriano Celentano il suo maggior successo: Azzurro, scritta con Michele Virano e Vito Pallavicini. C’è Sessantotto e Sessantotto: gli altri facevano le barricate e invece Conte, il collo strizzato dalla cravatta di avvocato civilista, tirava fuori il bozzetto perfetto di un’estate in provincia. Mica tanto soddisfatto neanche lui, da come la realtà gli si metteva di traverso.
Certo, non era la politica. E se non è la politica, molto spesso è una donna. Una misteriosa signorina «partita per le spiagge», a concedersi gli sfizi del boom. E allora hai voglia tu a cercare «un po’ d’Africa in giardino», quando l’età adulta e la folla ti rovinano perfino quel trucchetto infantile («c’è gente, non si può più»). Sicché tanto vale mettercela davvero, l’immaginazione al potere. Anche se sei stato bimbo dai preti. E mentre i coetanei e quelli appena più giovani cercano il mare a Parigi (sous les pavés, la plage!), il tuo sampietrino di dolore è nascosto in una canzone che sposa il Modugno di Volare coi cieli metafisici di De Chirico («il pomeriggio è troppo azzurro»: cos’è questa, una sinestesia? Fa nulla, è perfetta. Canta).
O forse non c’entra. Forse mettere insieme tutto quel che si è detto, scritto e pubblicato nel Sessantotto è un errore prospettico, buono per chi a sua volta ha un pomeriggio di noia da ammazzare. «E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te».

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