Parkinson, quell’ospite irrequieto

Nel nostro cantone sono circa 700 le persone che ne sono affette. Ma cosa comporta questa malattia e in che modo è possibile gestirla?

Di Cristina Pinho

“Egregio Signore, non è con piacere che le scrivo questa lettera, ma d’altra parte avrei dovuto parlarle a quattr’occhi, affrontarla di persona, sopportare quel suo subdolo modo di fare che è quanto c’è di peggio per far perdere la pazienza anche ad un santo, figuriamoci a me”.
Così il cantautore e cabarettista Bruno Lauzi iniziava la sua missiva a Mister Parkinson, personificazione della malattia che lo affliggeva. Rispondendo a tono ai suoi affronti, voleva dirgli che stava esagerando, che si impegnava a opporgli strenua resistenza, e concludeva con: «Mi stia male e a non rivederla». Ma Mister P – così lo chiamano in molti, un po’ per dargli sostanza, un po’ per esorcizzarlo – è un ospite insidioso, uno strano coinquilino semisconosciuto e irrequieto che non si può scacciare. Si intitola emblematicamente Tu non mi lascerai mai sola l’intenso ed intimo libro fotografico in cui la ticinese Francesca Cavalli ha raccontato parte della sua malattia.
Cos’altro non è il Parkinson? Non è un morbo, visto che non è contagioso, e non è solo la malattia degli anziani che tremano. È una patologia neurodegenerativa complessa che si aggrava progressivamente nel tempo, pur se lentamente, e che può avere un esordio anche giovanile, come capitato alla stessa Francesca a soli 41 anni oppure all’attore Michael J. Fox, quando aveva appena finito di girare la trilogia di Ritorno al futuro e di anni ne aveva appena 30.

Ripartire dalla danza

In una bella giornata autunnale a Lugano conosco la signora Angela, arrivata dal Malcantone per partecipare a un pomeriggio sul tango come terapia riabilitativa per parkinsoniani. Mi racconta la sua storia: «Undici anni fa, all’età di 54 anni, mi è stato diagnosticato il Parkinson. I primi sintomi erano una grande rigidità alla nuca e la sensazione della forza che entrava nel braccio ma non arrivava alle dita. A quel tempo lavoravo in uno studio di fisioterapia e la mia capa, che guarda caso aveva anche lei il Parkinson, mi ha detto che poteva trattarsi della stessa malattia. E aveva ragione: dopo un lungo girare tra terapisti e studi medici, i dottori hanno confermato che era proprio quello».
Solitamente non è una diagnosi facile perché i sintomi iniziali sono comuni a molte altre patologie. «Sapere che ne ero affetta non mi ha particolarmente turbata, è stato quasi un sollievo, perché almeno potevo dare un nome al problema e affrontarlo. Il mio neurologo poi mi aveva spiegato che il decorso era lento e che non era la fine». Con le terapie la maggior parte dei sintomi in questo momento sono sotto controllo, mi spiega Angela, a parte uno che continua ad affliggerla: «Ho grandi difficoltà nel camminare: dopo poco mi sento stanchissima e faccio dei movimenti spastici che non posso controllare, per cui devo stare attenta a non inciampare e cadere». Lei che da giovane amava molto ballare, ha pensato di ripartire dal tango, la danza della camminata: «Spero che questi corsi mi aiutino perché ho un gran bisogno di muovermi», dice carica di aspettativa e fiducia. Dopo solo qualche nozione data dal maestro, guardarla compiere i primi passi in ‘milonga’ è un piacere (vedi sotto, ndr).

Una nuova stagione

Dopo la lezione di prova ha luogo una conferenza sul tema. I relatori che intervengono, professionisti in vari ambiti, forniscono informazioni utili a comprendere e affrontare la malattia. Un aspetto fondamentale – oltre al fatto che la speranza di vita rimane pressoché invariata rispetto a chi è sano – è che il quadro sintomatico varia da persona a persona, e la patologia non progredisce alla stessa velocità per tutti: ognuno insomma ha il suo Parkinson, con caratteristiche che possono differire notevolmente per tipo e intensità.
Con i primi sintomi e la diagnosi, gradualmente ma inesorabilmente si approda a una nuova stagione della vita, che costringe alla lentezza, alla fatica: camminare, parlare, sorridere, dormire, aprire una bottiglia o chiudere i bottoni del cappotto non sono più azioni così scontate. C’è sempre addosso lo sguardo sinistro di Mr. P che talvolta paralizza, mentre intorno la società va avanti frenetica e impaziente. Questo può portare anche a difficoltà in ambito sociale, lavorativo e affettivo, date da un sentimento di inadeguatezza con una conseguente tendenza all’isolamento e a chiudersi in sé stessi.

Convivenza possibile

Dal Parkinson oggigiorno non si guarisce, ma è possibile contenerne il decorso e alleviarne i sintomi. Questo grazie a una terapia farmacologica consapevole (talvolta unita a un intervento chirurgico), che però da sola non basta. Come spiega il professor Giovanni Albani, neurologo tra i massimi esperti in materia, «l’approccio vincente è quello che integra anche riabilitazione specifica, stile di vita ordinato, alimentazione sana, attività fisica, affetti, lavoro, nuovi stimoli e speranza. Si può vivere bene con la malattia, in modo diverso, forse complesso, ma si può fare. A patto, però, che ci sia un’attenzione specifica individuale, perché è solo adeguando le terapie multidisciplinari ai bisogni funzionali del paziente nelle varie fasi che si ottiene un successo nel sostenere la qualità della sua esistenza e la sua partecipazione alla vita sociale, aiutando al contempo anche i suoi congiunti nel fondamentale ma gravoso compito assistenziale». Una medicina attenta al lato umano e non solo al paziente categoriale.

Un male dalle tinte scure

Ma cos’è questa malattia? Nonostante James Parkinson l’abbia descritta già nel 1817, dopo duecento anni la scienza non ne ha ancora identificato le cause. Si ipotizza un’interazione tra predisposizione genetica e influssi ambientali. Di questa patologia ancora in gran parte avvolta nell’ombra si sa però che provoca la morte progressiva di neuroni nel cervello: nei primi anni sono coinvolti soprattutto quelli della «sostanza nera» deputati alla produzione del neurotrasmettitore dopamina, la cui carenza genera i vari disturbi della motricità. Tutto avviene nel cervello, dunque. La poetessa nordamericana Robin Morgan ha dedicato alcune poesie a questo «lato oscuro della vita» con cui si trova a convivere. In una di esse, al suo cervello dice: «Da tutto questo passeremo insieme, amanti / litigiosi. Ma nel farlo, ti chiedo tre favori – per il bene di entrambi. / Serbaci, in mezzo a questi fremiti, un luogo per la quiete. / Serbaci, nel grigio che incupisce, uno spazio per il riso. / Serbaci, nel ticchettare delle ore, un tempo per fare poesie».

Coltivare prospettive

Far poesie è da intendersi in senso ampio. Significa far prevalere il proprio ‘essere’ e non i caratteri della malattia, l’appartenenza allo star bene invece che allo star male. Il Parkinson non si risolve, è vero, ma accettarlo non significa rassegnarsi. Quando a prendere la parola è Giulio Maldacea, nell’aula piena di specialisti del Neurocentro cala il completo silenzio. A 36 anni, racconta, al risveglio da un’operazione alla schiena, si ritrova con un corpo che non gli ubbidisce più. Solo dopo svariati mesi e ipotesi i medici arrivano alla diagnosi di Parkinson: sembra che la pesante anestesia subita abbia delatentizzato la patologia al suo interno: «Si è svegliato dal sonno profondo il coinquilino reietto». Prima di trovare la terapia adatta a lui passa attraverso un calvario lungo anni che lo porta perfino su una sedia a rotelle senza quasi più parlare. Ma non demorde e finalmente incontra dei medici in grado di aiutarlo. Trema, Giulio, ma questo è il minore degli scherzi di Mr. P: «Mi sono ritrovato al timone di una nave che non rispondeva più ai comandi. Volevo virare a destra e restava ferma, volevo entrare in porto, ero sicuro di passarci e invece mi ritrovavo sugli scogli». Un viaggio che nessuno vorrebbe intraprendere, ma che si può affrontare con strumenti che lo facilitano.
Ora cammina e parla quasi come prima, e trasmette un entusiasmo coinvolgente: «Il netto miglioramento mi ha dato una grande forza e allora ho deciso di prendere tutto quello che avevo imparato nel corso della mia carriera aziendale e investirlo nel mondo associativo». Così ha fondato il Comitato italiano associazioni Parkinson e l’associazione WeAreParky. «Il nostro scopo è migliorare le condizioni di vita dei malati di Parkinson e dei loro cari, lavorando in particolare sulla soluzione di problemi pratici». Informazione, attivismo, sensibilizzazione, feste: le foto e i video che scorrono alle sue spalle testimoniano di un’attività preziosa, e a giudicare dalle espressioni sui volti anche molto apprezzata, condotta con una buona dose di autoironia. La sede formativa «La casa di Tremolo», il «Bar neuro», il «giovane 82enne» parkinsoniano che cammina su un ponte tibetano sono solo alcuni esempi che mostrano che
Mr. P può essere messo all’angolo con varie strategie, senza perdere la voglia di ridere. «Non possiamo aggiungere giorni alla vita ma possiamo aggiungere vita ai giorni» è quanto piace ricordare a Giulio.

COME RICONOSCERLO – Sintomi e terapie

Sintomi tipici del Parkinson sono un graduale rallentamento dei gesti e difficoltà a compiere movimenti fluidi, soprattutto automatici (camminare, scrivere), ma anche a livello di motricità fine (allacciare le stringhe, usare il telefono). Si associa spesso una crescente rigidità di braccia e gambe, accompagnata da possibili dolori osteomuscolari e postura curva. Frequenti sono anche il tremore a riposo, e in fase avanzata turbe dell’equilibrio con rischio di cadute e blocchi motori improvvisi detti freezing. Altri problemi comuni sono disturbi psichici (depressione) e del sonno, alterazione di pressione e temperatura corporea, stitichezza, difficoltà a inghiottire, diminuzione dell’olfatto, ridotta espressività del viso e problemi a parlare. Per contrastare i sintomi nei primi anni la terapia farmacologica è semplice e funziona bene (fase detta «luna di miele»), col tempo però la sua azione diminuisce e il controllo dei sintomi diviene meno equilibrato e oscilla durante la giornata (alternanza di fasi on e off), per cui bisogna trovare delle soluzioni mirate, che in determinati casi possono essere di tipo chirurgico (Dbs). Fondamentali rimangono la riabilitazione e un adeguato stile di vita. È da considerare che anche le medicine possono avere degli effetti collaterali debilitanti, tra cui apatia, movimenti involontari, comportamenti ossessivi-compulsivi, alterazione dei tratti caratteriali.

IL TANGO COME RISORSA

Il tango nasce sulle strade di Buenos Aires dall’unione di operai, disoccupati, emigrati, nostalgie. Terra di approdi in cui ognuno portava la propria cultura, in Argentina verso il 1880 si sviluppa questa fusione di ritmi che nelle sue origini porta il desiderio di inclusione. Ed è da qui che Giuseppe Sarcinella, tanguero e promotore di Progotan (progotan.ch) parte per spiegarci il suo progetto in cui il tango è usato per unire competenze mediche e tecniche provenienti da varie professioni sanitarie (dalla neurologia alla musicoterapia). Inserendo questi elementi nel contesto del tango l’obiettivo è di elaborare dei protocolli per sviluppare percorsi terapeutici multidisciplinari certificati e riconosciuti. E anche divertenti. A fare del tango un’efficace risorsa in caso di Parkinson è l’assenza di un passo base, ciò che lo rende un ballo caratterizzato da completa improvvisazione: lento, veloce, semplificato, strutturato, intimo, ritmato, fluido… si adatta a ogni specificità del corpo, anche quando questo è segnato dalla patologia. Svolgendosi a due (“la danza dell’abbraccio”), praticato spesso tra sconosciuti e accanto ad altre coppie, esiste un insieme di regole detto codigo uguale dappertutto nato per farlo funzionare in una società multiculturale. Oggi il tango lo si balla in tutto il mondo; parte del suo fascino sta nel fatto che non serve conoscere la lingua locale per farlo, anzi la parola è bandita. La comunicazione però dev’essere costante, a livello fisico ed energetico. Per attuarla bisogna avere coscienza del proprio corpo, sapere come funziona, conoscerne gli automatismi. Col tango si impara proprio ad ascoltarsi, a muoversi consapevolmente, a cercare di leggere le intenzioni motorie del partner, e questo è un grande allenamento per il cervello. Quella di Progotan si vuole infatti come riabilitazione volta ad allenare i neuroni più che i muscoli. Studi scientifici dimostrano che il tango può sensibilmente migliorare i disturbi della deambulazione, ma anche i sintomi non motori come sonno, umore, dolore, e in generale la qualità della vita, agendo anche su aspetti emozionali e di socializzazione grazie alla forza del gruppo e alla componente ludica.
Dopo le spiegazioni di Giuseppe, prende avvio la parte pratica: i presenti lavorano su postura, spostamento del peso, bilanciamento, respiro, ritmo, blocco del movimento. Integrando sempre elementi di cultura e curiosità. Alla fine, per deliziarci, il maestro propone ai due giovani insegnanti argentini campioni di tango, che fanno parte dell’équipe multidisciplinare, di ballare per noi. Leonel e Laura si stringono in un abraço cerrado, lei chiude gli occhi, parte la musica, lui stacca sulla battuta, e inizia uno spettacolo a dir poco suggestivo. Il tango è anche questo, travolgente bellezza.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI

L’Associazione Parkinson Svizzera è stata fondata nel 1985. Sul piano nazionale conta 6’500 membri, e sostiene 70 gruppi di autoaiuto, di cui 6 attivi in Ticino.
Il suo scopo è migliorare la qualità di vita delle persone con Parkinson e dei loro familiari. L’Associazione si occupa di supporto, formazione, sostegno alla ricerca, informazione, sensibilizzazione, organizzazione di eventi, pubblicazione di opuscoli, guide e riviste, e vendita di mezzi ausiliari. Per saperne di più: parkinson.ch.

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