Un gran rincrescere (e un gran rileggere)

Due appunti sulla bellissima lettura del ‘Fondo del sacco’ di Plinio Martini, fatta al Sociale di Bellinzona da Margherita Saltamacchia e Daniele Dell’Agnola

Di Lorenzo Erroi

Se a pubblicarlo fossero stati Einaudi o Bompiani, ora Il fondo del sacco sarebbe nel canone della grande letteratura italofona del secondo Novecento, accanto a certi libri di Gadda e Silone che paiono definirne il campo magnetico. Ma l’Italia non è meno provinciale di noi, alle volte, e quindi il Sacco resta qui in Ticino. Pazienza: lo culliamo come un bel segreto ignoto ai foresti, e ogni tanto salta fuori qualche anima grande che ce lo ricorda. Così è successo qualche settimana fa al Sociale di Bellinzona, dove Margherita Saltamacchia ne ha proposto una lettura tagliente, come dire ironica e commovente nello stesso respiro. Daniele Dell’Agnola l’ha accompagnata con una fisarmonica fra un sorriso e un abbozzo d’elegia, e una serie di rintocchi su una cosa che a me pareva una specie di grosso xilofono, ma la mia ignoranza potrebbe ingannarmi.

Leggere ad alta voce è una cosa che bisognerebbe fare più spesso: sbuccia le parole e ne tira fuori la polpa. Per cui, più che prendere appunti sullo spettacolo in sé, mi son trovato ad annotare nel buio certe frasi ed espressioni che mi ha fatto piacere reincontrare. Invece di scrivere una recensione, le metto in fila qui: da rileggere di nuovo a voce alta, ne vale la pena. «Minchione dalla testa ai piedi» (‘Minchione’ è una categoria dell’essere nella quale è doveroso riconoscerci tutti, mi sa). «Lasciando soltanto un gran rincrescere» (‘Rincrescere’, verbo fatto sostantivo: un tarlo che non puoi mai snidare dalla trave di come sei fatto, per quanto dritta possa sembrare). «Io di preciso ricordo soltanto il grido di nostra madre». «Che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo»: viene voglia di aggiungere Quasimodo, saranno anche quelle «cicatrici che si era fatta alle mani nel tentativo di spegnere la sua bambina» («Spegnere la sua bambina», un pugno in faccia. Come il Kieslowski del Primo comandamento, quello del bimbo che cade nel lago gelato). «Sugli alpi ne morivano tutti gli anni»: c’è stato un mondo nel quale i pastori valevano meno del capitale bovino che portavano in dote. Ma «i contadini tu sai come sono: pazienti come le bestie». Ché poi «quello non era un paese normale, ma uno strano convento dove le donne o erano sposate, o erano monache». Ma si sa che «la frutta cintata è quella migliore».

Non che l’America mantenga sempre le sue promesse: «Avevo perduto quel niente che può fare contento un uomo»; «in America anche il campanile mi pareva qualcosa da volergli bene». A costo di ricordare con nostalgia il prete arcigno della propria infanzia: «Lui in Paradiso ci avrebbe cacciato per forza, con rabbia». Col rischio di morire senza riuscire a tornare, «la sorte del soldato che ci lascia la pelle l’ultimo giorno di guerra, per un colpo sparato a caso».

Brutta cosa il rincrescere, insomma, ma «non avrei saputo fare diverso», «neanche a campar vecchio come una montagna». Perché «il destino di un uomo è quello di affezionarsi anche alle ginestre se ci è nato, a un paese che non puoi neanche metterti giù comodo in un prato, e già ti ritrovi una brancata di ricci nel sedere».

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