Caterina Hörtig: la ragione e l’intuizione

Sin da ragazza era forte la voglia di nutrire la sua parte creativa, dipingendo e scrivendo. Poi, un giorno, un amico la porta al Politecnico di Zurigo…

Di Natascia Bandecchi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, inserto allegato a laRegione

Nata il 12 agosto 1965, si definisce curiosa per natura. Amante dell’arte e del cinema, le è sempre piaciuto danzare. Sarebbe una viaggiatrice seriale, ma il tempo a disposizione non è sufficiente per farla stare lontana dai suoi impegni troppo a lungo… Comunque, su tutto, vince sempre il mare. Una delle sue grandi passioni è l’architettura, che ha avuto la fortuna di trasformare in un mestiere. Dedica tempo e impegno pure al paese in cui vive, ama l’acqua e, vivendo e lavorando a due passi dal lago, nuota con assiduità a “braccia levate”. Non sopporta l’inettitudine e le menzogne. Dell’esistenza la affascinano i casi fortuiti o ciò che l’essere umano non riesce a codificare razionalmente. Le piace comprendere ciò che accade mettendosi su frequenze intuitive piuttosto che con la ragione.

Creatività, ricerca, innovazione, precisione, conservazione, calcolo. Queste sono alcune caratteristiche che contraddistinguono la professione di architetto, ma anche la pazienza è un ingrediente fondamentale. E Caterina Hörtig la coltiva sin da bambina… “Quando mia mamma aveva tanto da fare, apriva l’armadio degli asciugamani in cucina e io pazientemente li prendevo uno a uno, li ripiegavo e li ridisponevo in un mio ordine preferito”. A proposito d’infanzia: Caterina amava essere un po’ leader nei suoi giochi di ruolo preferiti. “Quando giocavamo a Zorro, ero io che lo impersonificavo. Ho sempre preferito i giochi considerati da maschio, sarà perché mio papà voleva un figlio – dopo tre femmine e un maschio – e, quando accarezzava il pancione della mamma, chiedeva: ‘Come sta Maurizio?’. Quando sono nata e si rese conto di non potermi chiamare Maurizio, presi il nome della suora della clinica: Caterina”.


© Ti-Press / Samuel Golay

Sperimentatrice creativa

Dalla bambina paziente che riordina meglio di Marie Kondo alla ragazza che si appassiona di pittura e delle meraviglie dell’arte visiva, il passo è breve. “Era forte la voglia di nutrire la mia parte creativa: dipingevo, scrivevo storie sino al giorno in cui – era il 1984 – un amico mi portò al Politecnico di Zurigo, a una lezione di Arte figurativa presieduta dal professor Peter Jenny. Quel giorno fu epico e decisi quale sarebbe stata la mia strada: diventare architetto!”. I sogni di Caterina di poter fare ciò che si vuole nell’ambito della progettazione e della costruzione, poter sperimentare linguaggi delle proprie creazioni, vengono però plasmati da diversi paletti, ‘impedimenti’ (leggi, regole, aspetti tecnici e dei materiali eccetera). “Ma, dove possibile, cerco sempre di dare voce a questa mia recondita e pulsante parte”.

Stare nei margini… ma forse no

Caterina si descrive come una persona che ama seguire l’intuizione piuttosto che la ragione, ma come fa nella sua professione costellata da numeri, regole, geometrie e tanta burocrazia a seguire il proprio intuito? “È una questione di elaborazione e di ascolto degli spazi. Penso per esempio a Casa Briccos a Morcote, dove elementi apparentemente in antitesi si sono trasformati in alleati e mi hanno permesso di esprimere il desiderio dei suoi proprietari di comunicare agli altri ciò che li rappresenta, ovvero il mantra della compassione del Buddhismo ‘Om Mani Padme Hum’ ”. Caterina studia e si addentra nella filosofia buddhista creando una personale composizione che crea sugli scorrevoli delle finestre che formano le parole in sanscrito: amare ed esserci con altri significati a seconda della loro posizione: “Questo per me significa far coesistere ragione e intuizione, anche nel mio lavoro”.


© Ti-Press / Samuel Golay

Architetto con la “o”

E qui si apre il dibattito sull’uso della lingua: è necessaria la “a” oppure la “o”, per esempio come la Capo di Stato italiana che tanto tiene a essere chiamata “il Presidente”, preferendolo alla declinazione al femminile? Per Caterina non è così importante essere chiamata architetto o architetta: “Credo che l’essere femminile si possa manifestare in una maniera che esula dalla finale di una parola. È un’etichetta, una definizione che – nel mio guardare l’architettura – non è importante. E poi, a dirla tutta, ci sono altre professioni più semplici e meno impattanti da declinare al femminile: poliziotta, dottoressa. Ma architetta, onestamente, è un po’ strano e non mi ci ritrovo… con quel ‘tetta’ poi stona davvero…”.

Riduci, riusa e ricicla

Viviamo in un’epoca in cui sembra più semplice (e forse redditizio) cancellare il passato con tagliasuolo ed escavatori anziché conservare fabbricati un po’ agée ma che possono essere protetti e conservati con le dovute cure. Caterina che ne pensa? “Siamo arrivati a un punto in cui non possiamo più chiudere gli occhi e far finta di niente. È necessario correre ai ripari. Ogni azione, seppur minima, può contare… e non poco. Io cerco di fare del mio meglio, seguendo la filosofia del recupero e del riuso. Caterina aggiunge che sarebbe pure importante rinunciare ad avere sempre la temperatura “idonea”, accettando il caldo d’estate e il freddo d’inverno. “La differenza però la fanno i grandi investitori e spero che riflettano con sempre maggiore attenzione sulla questione se sia meglio distruggere e radere al suolo piuttosto che ridisegnare l’utilizzo, l’estetica e il linguaggio architettonico di un oggetto che magari, sul momento, può sembrare inutile o non più contemporaneo”.


© Ti-Press / Samuel Golay

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