Luca Mengoni: l’arte d’indagare la realtà

Afferma di essere un pragmatico, materialista, poco incline all’introspezione. Le sue opere, però, sono evocative, quasi meditative: un bel mistero

Di Samantha Dresti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Bellinzonese, classe 1972, sostiene che il lavoro creativo gli serve “a fare ordine”, ma lui sa bene che “dove c’è troppo ordine l’angelo muore” (come sosteneva l’amico Rolando Raggenbass). Amante della natura, è un cacciatore: un altra contraddizione? Forse, certamente l’idea di opposti rivela molto della sua poetica. Editore e artista, il prossimo 25 settembre verrà inaugurata negli spazi della Fondazione Museo Mecrì di Minusio una personale dal titolo ‘Il luogo delle nuvole’.

La creatività è mentale

Comprende che l’arte sarà fondamentale nella sua esistenza attorno ai 16 anni, ma terminata la scuola dell’obbligo si iscrive al liceo scientifico. Sarà un percorso tortuoso e capirà subito che non è la sua strada. Così frequenta prima l’Accademia di Belle Arti a Como, diplomandosi con una tesi sul disegno infantile; poi l’Ecole Supérieure d’Art Visuel di Ginevra, con una specializzazione in stampa e produzione di libri. Attività che lo porteranno sin dal 1994 a esporre regolarmente in gallerie, musei e spazi pubblici in Svizzera, Italia e Francia.
Incontro Luca Mengoni in occasione della fine di una sua mostra personale a Busto Arsizio dal titolo ‘Nella rugiada gelida dell’alba’. Mengoni sta smontando l’esposizione e osservo le opere, prima appese e poi stese, pronte per essere imballate. Il cambiamento del punto di vista fa un certo effetto: esposti i disegni e le sculture sembrano affrancarsi dalla materia, portando facilmente l’osservatore in una dimensione onirica, un’atmosfera sospesa, perdendo per un attimo la loro fisicità. Tra i suoi disegni vi è quello di un albero, visto dal basso all’alto, riprodotto con fedeltà certosina, scientifica.
Mi chiedo quanto la tecnica utilizzata da Mengoni favorisca la creazione di queste immagini altamente evocative. Una risposta la trovo nelle parole di Marco Franciolli pubblicate sul catalogo della mostra ‘La circolazione della linfa’ del 2006: “Sarebbe davvero troppo riduttivo – lo è sempre, ma lo è forse in misura maggiore per Luca Mengoni – ridurre l’opera alla sola immagine. Per quanto affascinante possa essere il soggetto, questo rappresenta solo uno degli elementi di un insieme nel quale la tecnica è altrettanto rilevante e apre altri percorsi per la lettura dell’opera”. Ma il disegno per Mengoni non è solo un’immagine, è un “oggetto complessivamente significante”: l’artista infatti “sfrutta la specificità del supporto sul quale lavora, la sua struttura, le sue reazioni alle sollecitazioni dello sfregamento del carboncino o della gomma, le ondulazioni della carta prodotte dall’umidità della tempera”.


© L.M.


© L.M.

Il sottoscala e l’insegnamento

A 22 anni, siamo nel 1994, Mengoni fonda con l’amico Massimo Prandi la casa editrice Sottoscala. Da allora ha pubblicato varie cartelle d’arte e libri in collaborazione con artisti, scrittori e musicisti. “In fondo la casa editrice è stata l’occasione per far girare le idee, per incontrare artisti, letterati, poeti… Alda Merini? Andavo a trovarla a Milano. Un giorno in occasione di una mostra di Francis Bacon si rifiutò di mettersi in fila nella lunga coda per entrare, affermando che l’arte oggi è uno strumento di alienazione di massa, un rituale svuotato… Come darle torto?”. Poi gli incontri con Edoardo Sanguineti, che dedicherà a tre opere di Luca alcuni testi poetici: “Oppio” , e ancora Arturo Schwarz, che Luca inseguirà instancabilmente o ancora Jean-Michel Jaquet, Gianfredo Camesi, Flavio Paolucci, Federico Hindermann, Nando Snozzi, Franco Lafranca, Giorgio Upiglio, Carol Rama e molti altri ‘grandi vecchi’. La casa editrice è nata, però, sulla spinta di un incontro preciso, quello con Franco Beltrametti: “Lui mi parlò della rivista Mini. The Smallest Revue in the World, che pubblicava lui stesso a Riva San Vitale; ecco questo nome dal basso profilo ci ha ispirati per quello della nostra casa editrice: Sottoscala significa più piccolo del normale, ma sta a indicare anche una parte molto secondaria della casa”. Avere l’occasione di scambiare idee e punti di vista con personaggi del mondo dell’arte per un giovane creativo è certo stato di grande stimolo. Ma c’è dell’altro: “Provengo da una famiglia dove non vi erano molti libri in casa e quindi cercavo arte e cultura per conto mio… E poi non mi piace molto lavorare da solo, amo creare associazioni, lavorare insieme ad altre persone: senza relazioni io non funziono” , aggiunge quasi sottovoce.
Mengoni ha una naturalezza che mette subito a proprio agio… anche se non le manda a dire: quando necessario, sa essere diretto e provocatorio. È docente di arti visive al Liceo di Locarno da una ventina d’anni; entrando nella sua aula nel corso di una lezione potrà capitare di sentire in sottofondo i Pink Floyd e vedere gli allievi che lavorano assorti, chi in piedi, chi seduto. Ma nell’aria potrebbero anche esserci le note di ‘In a Silent Way’ di Miles Davis (“Ottima per far concentrare i ragazzi, soprattutto quando entrano in classe un po’ nervosi o agitati”).
Oggi gli allievi lavorano a due a due intenti a posare delle bende imbevute di gesso sul viso del loro compagno. Un lavoro sul corpo che permette di usare altri sensi, come il tatto, oltre a quello strausato della vista e che offre anche la possibilità di relazionarsi all’altro. Il gesso seccato produce poi delle maschere-specchio di sé stessi, delle leggerissime sculture in cui osservare la plasticità del proprio viso da fuori per trovarvi, chissà, punti di vista diversi in un momento della vita, quello adolescenziale, in cui si sta costruendo la propria identità.


© L.M.

Quella strana urgenza

“È chiaro che l’arte ti serve a qualcosa; la fai perché c’è un motivo, nessuno ti chiede di farlo. Credo che abbia a che vedere con l’urgenza: ti va e ti fa bene”. E poi “ha senso fare arte oggi, come aveva senso migliaia di anni fa. Certo, un’opera deve fare i conti dentro al suo tempo, ma le ragioni per le quali crei sprofondano nella notte dei tempi”. In particolare il disegno per Luca Mengoni è “un luogo discosto dove, abbandonato alle ossessioni, qualche cosa si affaccia nel folto del bosco”. E l’atto creativo sfugge dalla sola tecnica: “Disegnare, modellare una scultura non è propriamente fare qualcosa; credo che costruire una porta o alzare un muro siano ‘fare qualcosa’”.
Ma cos’è l’atto creativo, allora? “Lo interpreto come un modo di pensare, di indagare il reale – e con reale intendo tutto ciò che mi circonda: la politica, l’attualità o questioni intime e personali – con gli strumenti del fare arte, mentre quando per un periodo vivo a stretto contatto con il bosco, faccio la legna, vado a caccia, faccio la stessa cosa: indago il reale ma con altri strumenti. Inoltre penso che sia vero quello che diceva la scultrice Louise Bourgeois: devi accettare la tua vita man mano che va avanti, ogni giorno accettare il tuo passato. Se ce la fai, bene; se non ce la fai è possibile che ti rivolgi al lavoro creativo, cerchi di fare ordine’ (‘Every day you have to abandon your past or accept it and then, if you cannot accept it, you become a sculptor’)”.
Gli anni Settanta sono stati per Luca Mengoni un riferimento fondamentale: “Tutto quel che accade in quel decennio mi interessa, soprattutto per ragioni ideologiche, anche se io non faccio un lavoro concretamente ideologico o politico, però rielaboro consapevolmente tutta una serie di strategie espressive create in quegli anni. Dentro i miei lavori c’è sempre una specie di starter che parte dall’opera di qualcun altro, poi il mio lavoro diventa tutt’altro perché è come se venisse metabolizzato. Il riferimento rimane sospeso e neanche lo si riconosce più”.
Quando Mengoni era studente all’Accademia ha iniziato ad apprezzare Cy Twombly. “Nei suoi lavori si evidenzia l’elaborato da Marshall McLuhan: ‘Medium is the message’. Il mezzo stesso di comunicazione è in sé la comunicazione, il significante è il significato. Forse è per questo che Twombly mi piaceva e continua a interessarmi. E poi c’è qualcosa nella materia di Twombly che mi seduce, così come mi seduce anche il fatto che non cerca di piacerti. Se però mi si chiede chi sia il mio modello di riferimento, devo per forza citare ancora Louise Bourgeois: dentro al suo lavoro trovo una bellezza molto profonda, anche se non ce n’è traccia a un’osservazione puntuale: anzi quello che fa lei è piuttosto brutto obiettivamente”.


© L.M.

L’idea di contrasto

Ognuno ha i propri strumenti per trarre qualcosa da ciò che guarda; a Luca interessa che, chi osserva i suoi lavori, possa creare delle associazioni: “Creo le immagini separatamente e poi le associo tra di loro o le dispongo nelle mostre, in modo che si crei una tensione. Le due immagini separate trasmettono un significato o un’ipotesi di significato, ma se le associo questo può cambiare molto. L’idea di contrasto governa i miei lavori”. Si tratta di un invito a percorrere pensieri, ricordi, immagini che ognuno di noi ha dentro. D’altronde, non serve forse a questo l’arte, a mostrarti il mondo da un’altra prospettiva, a creare collegamenti inaspettati e soggettivi? “Io non voglio condurre nessuno da nessuna parte; anzi, lo spettatore va dove vuole e, se ciò che faccio gli potrà servire in qualche modo, questo non può che farmi piacere. Vorrei che tutti i fruitori intraprendessero un percorso autonomo e, idealmente, che uscissero da una mia mostra in un po’ ‘diversi’, stimolati rispetto a quando sono entrati”.


© L.M.


© Elio Schenini

Articoli simili