Danilo Ligato, con ostinata discrezione

Classe 1980, Danilo è un introverso, il cui principale interesse è da sempre la musica che ha da poco pubblicato Vurga

Di Daniele Bernardi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Classe 1980, Danilo è un introverso, il cui principale interesse è da sempre la musica. Cultore del vivere in solitaria, negli anni della sua formazione era scherzosamente soprannominato “il nichilista” a causa del suo carattere schivo. Oggi divide la sua vita fra Treviglio, Milano e la Svizzera italiana, dov’è nato e puntualmente ritorna. È sposato e ha due figli. Se gli si chiede cosa, idealmente, vorrebbe rimanesse della sua ricerca musicale, risponde con le parole dell’autore di Centro di gravità permanente: “Un suono, nient’altro”. Non ama mettersi in mostra e su ciò che – in modo centellinato – pubblica rinuncerebbe pure a metterci il nome perché, dice, per lui “non è questo che conta”. Lettore vorace ed esigente, ama, tra gli altri, Robert Walser, Cormac McCarthy e Don DeLillo. Fra i dischi che lo hanno segnato, invece, subito menziona L’Egitto prima delle sabbie, sempre di Franco Battiato.

Incontro Danilo a Milano, nel quartiere Isola, durante una piovosa mattinata di aprile. Il freddo degli ultimi giorni ci costringe presto in un bar, non lontano da dove lui lavora. Prima di iniziare la nostra chiacchierata, rievochiamo brevemente il comune ricordo di un viaggio del 2001, quando partimmo con altri amici a bordo di una Fiat scassata per raggiungere il parco di Monte Sole, scena del crimine della nota strage di Marzabotto. Lì, su quel pezzo di terra che aveva visto repubblichini, SS e soldati tedeschi massacrare i civili per piegare le brigate partigiane, per la prima volta avrebbero suonato i PGR, ovvero gli ex CSI, dei quali eravamo degli appassionati. Con noi non avevamo nulla, eccetto una scadente audiocassetta che ascoltavamo, è il caso di dirlo, “a nastro”.

Ebbene, proprio attraverso un’audiocassetta – per chi non lo sapesse, esistono ancora – vent’anni dopo Danilo ha esordito come musicista indipendente pubblicando Fernweh (EEE, 2022), un album di sei brani influenzato dal suo amore per il grande scrittore svizzero Robert Walser. Quando lo interrogo sulle radici del suo percorso mi risponde però ridacchiando: “Ricordi Guccini ne L’avvelenata? ‘Son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato’. Ecco, quello sono io. Da noi non si ascoltava musica, non c’erano libri. I miei erano persone semplici. Non posso dire, che ne so, di aver sentito Wagner in casa. I primi ‘incontri’, in questo senso, sono avvenuti accidentalmente. Come quando, ad esempio, il prete del paese ci ha fatto vedere Il vangelo secondo Matteo di Pasolini, oppure attraverso l’ascolto di certe fiabe – penso a Il pifferaio magico – che allora avveniva appunto tramite cassetta”.

Libero e sganciato dai compromessi

Di origini calabresi, Danilo è nato e cresciuto in Val Mesolcina assieme al fratello gemello Alessandro, col quale ha realizzato numerosi progetti in cui convivono suono e immagine. La sua formazione è stata caratterizzata da una fase iniziale ondivaga, che lo ha visto passare dall’esperienza di un collettivo musicale alla frequentazione – interrotta – della Scuola Internazionale di Liuteria di Cremona per poi dedicarsi allo studio del pianoforte. Laureatosi in Tecnologie delle arti, ha infine frequentato l’Accademia di Brera, indirizzando i suoi interessi verso il mondo del cinema. Da anni professionalmente impegnato in ambito televisivo, oggi porta avanti il suo percorso musicale con costanza, realizzando le proprie creazioni attraverso un approccio volutamente marginale, che ricorda l’ostinata discrezione di un Bartleby melvilliano.


© Alessandro Ligato
Live

“Ciò che spesso apprezzo in un musicista”, mi racconta quando gli chiedo di dirmi qualcosa su quelli che per lui sono stati dei modelli o dei punti di riferimento, “è percepire il suo agire creativo come puro e sganciato dai compromessi con la realtà. Nel mio piccolo, avendo un altro lavoro vivo il mio rapporto con la musica come se, suonando, mi potessi muovere liberamente. So che potrei realizzare brani più ‘ascoltabili’, ma non ho bisogno di fare botteghino e ciò mi dà grandi possibilità di sperimentazione”. Infatti, una delle caratteristiche dei pezzi di Danilo è la cocciuta ripetizione di un suono, di una breve melodia o di un rumore. Come se attraverso di essa volesse scavare all’interno del segno sonoro per toccarne l’essenza o per scoprirne il volto nascosto, che svela zone ancora inesplorate. Non è un caso, quindi, che fra i suoi autori di riferimento subito nomini Erik Satie e che, per quanto riguarda la letteratura, più volte riporti il nome di Thomas Bernhard.

A due anni di distanza da Fernweh ecco che ora, sempre per la EEE di Vasco Viviani, Danilo pubblica un’altra opera, questa volta su CD (sarà naturalmente disponibile anche online), il cui titolo enigmatico, Vurga, richiama l’immaginario della sua infanzia: “La Vurga”, racconta nella nota introduttiva ai brani, “era una vasca per raccogliere l’acqua piovana, delle dimensioni simili a quelle di una piscina olimpionica. Era l’unica fonte (…) per il grande orto di mia nonna nella Calabria dei tardi anni 80. (…) Era un mondo incantato. (…) Davanti a quella superficie liscia e densa, che a volte si increspava per motivi misteriosi, rimanevo attonito e ipnotizzato. (…) è un ricordo che mi rapisce e ha influenzato le improvvisazioni che hanno portato alla creazione di questo disco”.


La copertina di ‘Vurga’

Per realizzare Vurga Danilo ha lavorato seguendo un metodo di accumulo dei materiali, che lo ha visto passare al setaccio l’archivio sonoro e musicale del Fondo Roberto Leydi presso il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. Qui, dove ha trascorso ore e ore ad ascoltare i moltissimi documenti audio raccolti dall’etnomusicologo milanese, ha preso appunti su motivi e suggestioni, cimentandosi, successivamente, con alcuni degli strumenti conservati in sede. Raccolto il tutto, Danilo è passato alla fase di composizione ed esecuzione, lavorando la notte o, indossate le cuffie, durante i viaggi in treno che quotidianamente lo portano al lavoro.

Il risultato è un gruppo di brani i cui titoli – Faddhedrha, Cerasi, Favali, Vrasci ecc. – ricordano un mondo arcaico, fatto di malocchio ed esorcismi, di linguaggi primitivi e sogni a occhi aperti; un mondo percepibile unicamente negli anni dell’infanzia, quando si è davvero disposti a scorgere l’universo anche in una pozzanghera. Ed è nel suo desiderio di ritorno al buio originario – non a caso l’ispirazione portante è in rapporto a una figura di madre – che risiede la bellezza di Vurga. Sì, perché è come se, attraverso i suoni che riecheggiano al suo interno, Danilo ci invitasse a chiudere gli occhi per svanire con lui in un altrove in cui è ancora possibile, seppur brevemente, sorvolare la propria ombra sul pelo di un’antica acqua.

https://music.youtube.com/watch?v=jyr0_Dj-b2E&feature=shared

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