L’occhio sociale di Alessandro Ligato

‘L’arte mi ha insegnato ad avere un pensiero divergente che non si ferma mai all’apparenza ma che tenta, piuttosto, di scoprire cosa c’è sotto il tavolo’

Di Martina Parenti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Classe 1980, è fotografo ed educatore. Grigionese con origini calabresi, attualmente lavora presso il centro educativo minorile a Tenero. Sta per laurearsi alla SUPSI, ha una bambina di otto mesi e un fratello gemello con cui collabora per alcuni progetti artistici.

Dopo un’adolescenza difficile e piuttosto turbolenta, Alessandro Ligato comprende che l’arte, intesa come “interpretazione del visibile e riflessione sull’invisibile”, è forse l’unica via che valga davvero la pena di percorrere. Decide così di conseguire un Bachelor in regia cinematografica a Brescia per poi frequentare un Master in fotografia all’Accademia di Brera di Milano. Un percorso di creazione e formazione artistica durato dieci anni.
Un lavoro, certamente, ma anche un modo per ritrovare un equilibrio, guadagnare un centro, rimettere al proprio posto emozioni vissute con la potenza esplosiva della giovinezza: “In un momento in cui faticavo a comprendere me stesso e la realtà, la fotografia mi ha dato una chiave di lettura nuova, mi ha permesso di scovare la bellezza dove nessuno avrebbe scommesso di trovarla. Per anni ho vagabondato tra luoghi abbandonati del Nord Italia trovando momenti di splendore e luce bellissimi anche in manicomi abbandonati da vent’anni”.
Scattare foto (soprattutto in analogico) ha a che fare, per Alessandro, con il dare una forma all’invisibile, trattenere qualcosa che è sul punto di non esistere più. Perché tutto muta, istante dopo istante, e riuscire a imprimerlo fisicamente su un supporto conferisce al soggetto quell’eternità che forse ritroviamo solo rovistando nella memoria, custode di immutabili fermo immagine. “Preferisco fotografare oggetti e luoghi che narrano di persone, di storie, di relazioni. Per questo non ritraggo persone ma, piuttosto, ciò che esse vedono o che, per fretta e sbadataggine, non hanno mai visto sotto quella luce”.


© A.L.

Vicino/lontano

Da questa idea nasce nel 2012 un progetto un po’ particolare, composto dagli scatti fatti in Val Mesolcina e in Val Camonica (vicino a Brescia) con l’intento di cogliere somiglianze e differenze tra i due luoghi. In occasione dell’allestimento le diapositive vengono inserite dentro lanterne che vanno a formare un piccolo villaggio sospeso. Ma perché non confondere un po’ le acque mischiando le immagini senza aggiungere alcuna didascalia? “Dell’inaugurazione ricordo soprattutto le risate collettive. Le persone non riconoscevano luoghi a 50 metri da casa propria mentre erano pronte a giurare che i paesaggi dell’altra valle appartenessero alla loro! Alla fine l’ultima parola l’ha avuta un signore anziano che ha osservato come una volta, quando si tornava a casa, ci si guardasse intorno, mentre adesso si guarda solo in terra”.
Ma, si sa, vivere d’arte è difficile. Spesso manca la stabilità economica, si fa fatica a fare progetti a lungo termine e diventa necessario trovare un compromesso per preservare il piacere di fare l’artista. È così che Alessandro decide di intraprendere un altro percorso, senza però abbandonare la sua formazione ma, anzi, trovando il modo di declinarla in una chiave nuova. Nel 2017 incontra Vasco Viviani con cui inizia a lavorare nei centri diurni per anziani di Massagno e Maggia. Il progetto fotografico attorno al passato e alla memoria porta alla creazione di una mostra di immagini scattate e sviluppate insieme agli utenti e, contestualmente, alla decisione di iscriversi alla SUPSI per poter diventare educatore a tutti gli effetti.


© A.L.

Anziani/giovani

Dal lavoro con gli anziani passa poi a quello con gli adolescenti in difficoltà nel centro educativo minorile di Tenero – dove tuttora lavora – e scopre un punto di incontro tra i due mondi: a 80 come a 17 anni la voglia di sperimentare e mettersi in gioco per trovare un proprio posto nel mondo è la stessa. L’esperienza di artista si rivela dunque una risorsa preziosa di avvicinamento e comunicazione. “Impegno sociale e fotografia non sono poi così distanti – afferma Alessandro -. L’arte mi ha insegnato ad avere un pensiero divergente che non si ferma mai all’apparenza ma che tenta, piuttosto, di scoprire cosa c’è sotto il tavolo, se così si può dire, cosa si nasconde dietro alla prima immagine catturata dall’occhio. È quello che cerco di fare quotidianamente con i minori”.
Pazienza, osservazione, ricettività e capacità di guardare oltre il primo sguardo sono forse le doti principali di un bravo fotografo. Ma anche quelle di un bravo educatore. Fondamentale è alzare gli occhi e, soprattutto, smetterla di guardare per terra.


© A.L.


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