La missione di Laura Perletti

Dal Ticino alle favelas brasiliane basta poco per creare unione. Ma serve un cuore grande così…

Di Natascia Bandecchi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.

Laura Perletti nasce a Bellinzona nel 1975, è testarda e amante della casa e non può fare a meno di vivere in uno stato di armonia. Grazie a esperienze nel mondo del volontariato ha capito che nella vita voleva seguire la strada del sociale e si è diplomata per diventare educatrice. Ama il cinema, il teatro e l’arte in tutte le sue forme. È grata alla sua famiglia che le sta vicino nonostante la distanza, solo fisica. Non mangia carne per scelta, ma le lasagne della mamma rimangono irresistibili.

Alla Cidade Maravilhosa – così viene chiamata Rio de Janeiro dai brasiliani – molti musicisti hanno dedicato canzoni indimenticabili. Dalla Garota de Ipanema degli intramontabili re della Bossa Nova Tom Jobim e Vinicius de Moraes, alle note al sapor di samba di Onde o Rio é mais baiano di Caetano Veloso. “Sin da piccola ho sempre avuto la passione per il Brasile, complice anche la trasmissione Te lo do io il Brasile del 1984 condotta da Beppe Grillo sulla RAI”. Un biglietto d’aereo in tasca e Laura vola verso il suo sogno carioca: vivrà lì per due anni lavorando per una ONG svizzera che opera in vari angoli di mondo e si occupa di coltivare maggior giustizia sociale. Dove poteva andare Laura se non a Rio de Janeiro? “Facevo la coordinatrice di un circo sociale, no, non ero un’acrobata e nemmeno un clown, mi occupavo prevalentemente di attività pedagogiche e seguivo il buon funzionamento del “carrozzone”. Questi anni a Rio hanno aumentato sia il mio bagaglio esperienziale sia quello professionale, ma soprattutto quello umano. Come potevo non tornarci qualche anno dopo?”.

Allargare gli orizzonti

Non tutti hanno voglia di uscire dai propri confini geografici. Chi ce l’ha può sentire un irrefrenabile desiderio di allargare di più i propri orizzonti, uscire cioè dalla classica zona di comfort per esplorare terre sconosciute che in qualche modo possono rivelare una parte di noi che non pensavamo nemmeno di avere. “In Ticino si sta bene, a volte un po’ troppo. Mi mancavano stimoli o semplicemente avevo voglia di vedere la realtà da una prospettiva più realistica. Qui spesso tutto sembra dorato”. Mossa da questa scintilla, Laura non si lascia scappare l’occasione e da ottobre del 2018 si trasferisce a due passi da una delle spiaggie più famose al mondo: Copacabana. A lei però non interessano né il mare né dimenarsi a suon di samba durante il carnevale più rinomato del globo. “Mi sono trasferita in Brasile per amore, ma anche per vivere una nuova dimensione lavorativa. E alla fine sono approdata alla ONG ‘Il sorriso dei miei bimbi, l’educazione cambia la vita’. Laura non ha un ufficio in uno dei vertiginosi grattacieli della city, ma può vantare di essere comunque “ad alta quota”. Perché? Perché lavora in una delle favelas più grandi del continente latinoamericano: Rocinha.

Casa Jovem

“L’opera umana più bella è essere utile al prossimo” affermava il greco Sofocle. Su questa onda Laura veleggia da molti anni, prima in Ticino dove ha lavorato per organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, e oggi nell’incasinata e travolgente favela con i suoi 250mila abitanti. Tra questi i bambini sono tantissimi e, come tutti i ragazzi del mondo, hanno voglia di imparare, conoscere e condividere. Solo il 25% di chi ha meno di 14 anni frequenta la scuola in favela. “Nella Casa Jovem – il mio minuscolo quartier generale – lavoro gomito a gomito con due insegnanti del posto: Renan e Marta, che aiutano i ragazzi a studiare e cercano in ogni modo di incentivare i loro allievi ad avere gli strumenti base per costruirsi un’educazione. Il pericolo dietro l’angolo è che senza un percorso scolastico i giovani si buttino in lavori mal pagati o, peggio ancora, nel narcotraffico: lì la speranza di vita è di 25 anni”. 

Sogni

I sogni hanno geografia, genere, etnia, età? I sogni non hanno etichette e devono essere accessibili a tutti. Anche i bimbi della favela di Rocinha ne hanno, e mica pochi: “I loro sogni sono legati al vivere giorno per giorno, ma spesso capita che non sappiano a cosa possono aspirare, non abbiano idea delle opzioni che la vita può loro riservare, non tanto perché sono negativi, ma semplicemente perché non le conoscono. Ogni tanto mi chiedo se, al di là di sognare di essere un calciatore come Pelè o diventare una influencer famosa, siano capaci di permettersi di desiderare qualcosa di più, visto che la vita non è stata molto generosa con loro”. L’ONG ‘Il sorriso dei miei bimbi’ s’impegna a creare momenti socioculturali per visitare musei, parchi e luoghi che possano farli uscire dalla placenta della favela, facendo loro conoscere la città senza sentirsi sempre relegati alla comunità in cui vivono.
La favela è una comunità ricchissima e piena di personaggi che meriterebbero di entrare a far parte di un cast cinematografico. “Abbiamo il nostro Rambo alla Rocinha, è un signore che vive in una caverna in cima alla collina. C’è poi una signora anziana sempre elegantissima e bellissima che si fa trasportare ovunque con i mototaxi, così per farsi ammirare. C’è una comunità variegata e con un’umanità disarmante, che solo per questo vale la pena di essere visitata e scoperta”. Quindi non c’è spazio per il pericolo? “La paura c’è, ma ci sono i modi per controllarla e ci sono i segnali che manda la favela quando bisogna stare all’erta. Per il resto ci si gode quello che c’è di buono”.

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