Disavventure latine: Ecuador, Cuenca. La madre di tutte le feste

È la terza città del Paese (dopo Quito e Guayaquil) dove si svolgono le celebrazioni per la Festa della mamma moltiplicate a mille

Di Roberto Scarcella

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Mi avevano detto che non c’era niente da vedere, che era brutto, sporco e cattivo. Che si mangiava male e beveva peggio. Che mi sarebbe costato troppo e mi avrebbe dato indietro poco. Che a un certo punto mi sarei chiesto – arrabbiato con me stesso – perché non il Brasile, le Canarie, l’Appenzello Interno. O il Molise. E che se volevo rischiare la pelle potevo almeno evitarmi un volo di dodici ore, visto che ci si può far ammazzare molto più vicino, se proprio ci tieni. Mi avevano detto che non si poteva uscire la sera, e forse nemmeno di giorno, che non si poteva prendere un autobus né entrare allo stadio. Così sono andato a vedere davvero com’è, l’Ecuador: senza ignorare i pericoli (che ci sono, eccome), ma abbracciando – ricambiato – tutto il resto. Ne è valsa la pena. Ve lo racconto qui.

Si può finire dentro a una festa che è una specie di Capodanno fuori stagione, ma anche Ferragosto, Pasqua, Natale e Carnevale insieme? Sì, se ti ritrovi a Cuenca nei giorni in cui El Día de la Madre incrocia l’arrivo della Virgen de El Cisne.

Il caldo torrido, i fuochi d’artificio, i dolcetti tipici che spuntano da ogni negozio (anche quelli che non fanno dolci), il conto alla rovescia, gli scherzi, le preghiere, i ragazzi ubriachi per strada, i bambini vestiti a festa (ma proprio festa-festa: incravattati i maschietti, infiocchettate le bimbe), le nonne armate di rosari e crocifissi, la banda, lo zucchero filato, le maschere, i regali impacchettati, la musica sacra e quella profana, i fiori, la processione: sono riusciti a infilarci davvero dentro tutto, a Cuenca, anche se non si sa bene come, con un trucco simile a quello di certi maghi che arrivano sul palco con una valigetta e iniziano a tirare fuori prima un oggetto che occupa poco spazio, poi via via cose sempre più voluminose, fino a far spuntare conigli, colombe e altri animali, se non addirittura persone che lì dentro non potrebbero starci per senso e dimensione. Un caos, come prevedibile, ma in qualche modo controllato, e quello l’avrei previsto già meno dopo un paio di settimane a zonzo per l’Ecuador, dove tutto (fuorché alle Galápagos, e ci arriveremo) sembra governato dalla stessa casualità di un lancio di dadi.


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Spettacolo meravigliosamente sbilenco

Per capire come una città come Cuenca, la terza del Paese (dopo Quito e Guayaquil), possa impazzire a tal punto da fondere la propria anima laica con quella religiosa e far venire fuori uno spettacolo d’arte varia così meravigliosamente sbilenco, bisogna ricordarsi come in Sudamerica la religione cattolica incida tuttora fortemente sulla società, mentre la secolarizzazione è un fenomeno ancora in divenire.

Le processioni, poi, sembrano una vera e propria ossessione. Nel calendario online del giornale locale Voces de Cuenca, quest’anno, tra maggio e giugno, ne sono segnalate 15 (da San José Obrero al Corazón de Jesús, da tre diverse Vergini alla Bendición de campos): una ogni quattro giorni.

El Día de la Madre, invece, non è altro che la Festa della mamma, ma moltiplicata per mille, come accade spesso a quelle latitudini. Con la gente che sale su aerei (chi ha i soldi) e autobus (veri e propri viaggi della speranza) per tornare a casa, come in Europa si rientra a Natale. Non passare con la propria madre quel giorno è impensabile e se proprio lo fai devi avere un’ottima scusa. I negozi sono addobbati di cuori e altre immagini di un kitsch accecante che riportano tutto lì dove siamo iniziati: la mamma. Non vuole essere una critica, anzi: c’è una forte dose di tenerezza in tutto questo mammismo diffuso che non può non toccarti, soprattutto quando vedi queste file di omoni fuori dai fiorai a chiedere consigli sulla composizione migliore da mostrare alla donna che ha dato loro la vita. E che sembrerebbe anche potergliela togliere se non si presentano da lei con un regalo all’altezza dell’occasione.


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‘Te amo mamá’

Leggerezza

Anche i social degli ecuadoriani in quei giorni si trasformano in un ininterrotto omaggio alla mamma. Il Paese di fatto si ferma, ma Cuenca sembra fermarsi un po’ più degli altri. Ad aiutarla è la sua stessa anima, molto differente da quella del centro politico del Paese, Quito, e da quello economico, Guayaquil. Cuenca ha un grande centro coloniale patrimonio Unesco, una delle maggiori università del Paese e una straordinaria capacità di saper stare in equilibrio tra festa e cultura, modernità e tradizione, rimanendo credibile in ogni aspetto. È anche l’unica città dell’Ecuador dove puoi uscire la sera senza doverti guardare continuamente attorno, senza dover dividere i soldi per minimizzare eventuali furti o nascondere il cellulare. L’unica in cui non ti senti terrorizzare da racconti di criminalità da chi ti affitta una stanza. Non è poco.

C’è una leggerezza per le vie di Cuenca che fa sì che ogni esperienza possa essere vissuta per quel che è per te: vuoi pregare? Si accomodi, preghi. Vuoi ubriacarti, ballare, portare in strada – letteralmente a due passi dalla chiesa dove hanno appena depositato la Virgen – petardi che fanno il rumore di uno shuttle in partenza? Prego, si accomodi. Anche la polizia, che altrove sembra in assetto di guerra (e a volte lo è davvero), a Cuenca ti sorride, si gode questo momento da sagra paesana in un luogo che sarebbe fuori scala (la città è una vera città, ha più di 360mila abitanti) per ospitarla.


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Tenersi la meraviglia

Cuenca è anche una delle capitali culinarie dell’Ecuador, specializzata nel cuy, il porcellino d’India allo spiedo. Non c’è ristorante che non lo proponga. C’è anche il dolce più buono che abbia probabilmente mai assaggiato, si chiama Dulce de las tres leches, e non lo fanno solo lì, ma come lo fanno lì, da Dikaty, una pasticceria a gestione familiare a pochi minuti dalla piazza centrale, mai mangiato. Ho conosciuto persone che se sanno che un amico passa da Cuenca sono disposte a tutto pur di farsi portare una fetta di quella torta. E hanno ragione. Ci sono anche due mercati pieni di scritte in italiano storpiato e uno striscione appeso con una pubblicità di “panolini” (una n sola) con dei bambini vestiti da gangster stile Padrino: Tony Meone (mear vuol dire fare pipì) e Vito Cacone (che non ha bisogno di traduzione).


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Cuy

A Cuenca c’è poi un’altra specialità, l’Agua de Pítimas, una bevanda a base di petali di rosa, valeriana, erba Luisa e altre piante venduta da una porticina accanto a un convento. Ha un colore violaceo e un odore fortemente sgradevole: in compenso, però, fa schifo pure il sapore. Pare che abbia poteri curativi: lo spero, perché non troverei altri motivi per berne ancora.

Come per tante cose della vita, per capire davvero Cuenca devi anche allontanartene, molto, visitando il resto del Paese, o poco, quel che basta (un’oretta a piedi, molto meno in autobus) per arrivare al Mirador de Turi: una collina che sovrasta la città, uno di quei luoghi dove chi è del posto viene a prendersi un po’ d’aria e un gelato e chi arriva da fuori una qualche fregatura in un negozio di souvenir. Quando ammiri Cuenca dall’alto non sembra abbastanza grande da contenere una festa che ha dentro tutte le feste del mondo, eppure ci riesce. Come? Meglio non chiedere, ignorare il trucco e tenersi la meraviglia.


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Fuegos artificiales

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