Nella bottiglia: i bevitori del quotidiano

Anche in Ticino sono molti coloro che tutti i giorni consumano alcol, spesso esagerando. C’è da preoccuparsi?

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

In Svizzera per le bevande alcoliche «il consumo quotidiano e cronico a rischio tende a diminuire, quello eccessivo episodico aumenta». Insomma, pare si beva sempre meno, ma che si esageri troppo di tanto in tanto. Non è una novità che il consumo eccessivo episodico o binge drinking riguardi perlopiù adolescenti e giovani adulti (15-24 anni). A esagerare almeno una volta al mese sono soprattutto i maschi, ma è «particolarmente marcato l’aumento tra le ragazze negli ultimi dieci anni». Così indica l’ultima Indagine svizzera sulla salute del 2017. Più in dettaglio, stando all’Amministrazione federale delle dogane che, dal 2018, include anche la Regia federale dell’alcol (RFA), negli ultimi vent’anni è crollato il consumo di vino (da 43 a 33 litri pro capite), beviamo un po’ meno birra (da 60 a 55 litri pro capite), mentre i superalcolici sono stabili (3,5 litri). I più moderati sono gli svizzero- tedeschi, quelli più a rischio i romandi, secondo Addiction Suisse. 

Le cinque tipologie
Il canton Ticino ha due particolarità: «Una percentuale di persone astemie nettamente più elevata» e «una percentuale, anch’essa più elevata, di persone che consumano quotidianamente alcol», afferma il Piano cantonale alcol (PCA) 2015-2018. Le fasce «più a rischio» sono quelle dei pensionati e degli adolescenti. Per il 60% dei primi il consumo cronico di vino è «quasi allo stesso livello» del 1992, motivo per cui, dato l’elevato tasso d’anzianità del cantone, questa popolazione è tra i target principali del PCA, così come i giovani che abusano di bevande alla moda o in determinate occasioni. L’ultimo rilevamento del Dipartimento sanità e socialità (DSS), essendo del 2012 non è più attuale. A fine anno è attesa la valutazione del PCA, ci ha detto Martine Bouvier Gallacchi, capo del Servizio di promozione e di valutazione sanitaria del DSS, anticipandoci che, rispetto a quattro anni fa, i consumi non sembrerebbero mostrare grandi variazioni. 
Ma chi è il bevitore tipo tra i quasi 4 milioni di svizzeri che, in vario modo, consumano alcolici? Per la Fondazione ticinese contro l’alcolismo «Ingrado» sono cinque le tipologie di bevitori: c’è chi cerca soluzioni nel bere per reprimere conflitti e insicurezze (bevitore alfa); chi lo fa ogni giorno ai pasti perché è costume farlo (beta); chi esagera alle sagre o ai carnevali e poi perde il controllo rischiando violenza e dipendenza (gamma); poi ci sono quasi 300mila alcolisti (delta) e chi beve molto ma a periodi (epsilon). Secondo lo psicologo ed ex direttore di «Ingrado» Jann Schumacher, rispetto al passato oggi si nota anche «una difficoltà generale nel contenersi», riporta il Corriere del Ticino, il che spiegherebbe l’aumento delle sbronze puntuali, specie tra i giovani. 

Consumo attendibile? 
I sondaggi e le statistiche in Svizzera, così come in Ticino, faticano a quantificare il reale consumo di alcolici, per esempio tra i giovani. Uno studio del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, citato in un atto parlamentare del 2012, afferma che i 19-26enni bevono nel weekend «esattamente il doppio di quanto era stato finora rilevato». La stessa RFA, da quando è integrata alle dogane, comporta «diversi cambiamenti anche in ambito statistico», si legge, e le cifre «saranno adattate alle prassi delle dogane» che, però, scriveva la stessa RFA, non includono «le importazioni private nel quadro del traffico viaggiatori», cioè l’alcol che compriamo oltre confine. E sono molti svizzeri a farlo, il 45% stando ai sondaggi, soprattutto gli svizzero-tedeschi, cioè quelli che sarebbero i bevitori più moderati. 
Si stima che fino al 2013, riporta liberatv.ch, si importassero già «25-30 milioni di litri all’anno» di alcolici per via turistica in Svizzera, ma dal 2014 la quantità a testa è passata da due a ben cinque litri a persona di vino, birra e spumanti, mentre solo uno per i superalcolici. La crisi e la convenienza estera avrebbero provocato un’importazione massiccia da parte di consumatori e commercianti. Le dogane, non potendo controllare ogni veicolo, pubblicano solo stime, estrapolazioni. Per il vino, scrive Bilan, la RFA parlava di quasi 136mila ettolitri importati dai valichi nel 2015, contro i «soli» 63mila del 2014 (il doppio). I superalcolici importati esentasse sarebbero aumentati del 25%. Nel 2017 al portale tio.ch il portavoce del Corpo delle guardie di confine confermava un traffico impressionante di superalcolici: decine di litri nascosti nelle auto e nei torpedoni. Lo stesso anno, riporta ticinolibero.ch, un esercente del Locarnese aveva importato un centinaio di bottiglie dall’Italia senza sdoganamento: «Un fenomeno abbastanza diffuso» si legge. Siamo dunque sicuri che beviamo meno, come sostengono le statistiche ufficiali? 

Svizzera lassista
È curioso che la Svizzera, mentre varie fonti parlano di 4-6 miliardi di franchi di costi sociali legati all’abuso di alcolici, e in media di 3-6 ricoveri al giorno di giovani intossicati, abbia consentito di importare dai valichi più litri a testa, consapevole dell’impossibilità di eseguire controlli sistematici. Una decisione economica che, oltre a danneggiare i produttori locali, cozza un po’ con la politica sanitaria. Se è vero che distillati, birra e soprattutto il vino fanno parte della nostra cultura, danno lavoro, promuovono e curano il territorio, la rivista The Lancet afferma che molti Paesi condurrebbero una politica sanitaria troppo lassista: la dose giornaliera di alcol raccomandata sarebbe spesso superiore alle evidenze scientifiche. Per Michel Graf, direttore dell’Istituto svizzero di prevenzione dell’alcolismo, è dunque evidente che in Svizzera «l’alcol continua a venir banalizzato» e perciò «acquistato in ogni momento a poco prezzo». 
Il prezzo d’acquisto, che dipende dalle tasse sugli alcolici, sembra un nodo centrale. È generalmente riconosciuto, anche dall’Organizzazione mondiale della sanità, che più si tassano gli alcolici, più si riduce il consumo. Ma la Svizzera, leggiamo, già nel 1999 abbassò l’imposizione: le bevande così costavano poco, si bevve di più e si danneggiò la produzione locale. In un confronto tra 16 Paesi europei, pubblicato dall’Ufficio federale della sanità pubblica, siamo quello che tassa meno la birra e quasi per niente il vino, su cui pesa solo l’IVA, mentre si incide abbastanza solo su certi superalcolici. Il Programma nazionale alcol (PNA), più incisivo e coordinato coi cantoni, è apparso nell’agenda di Berna per la prima volta solo nel 2005, fu avviato tre anni dopo e poi fino al 2016. E benché l’alcol sia la causa principale degli incidenti stradali, la statistica svizzera lo contempla solo dal 2011.

Tra reticenze e lobby
Nel 2010, durante la revisione delle leggi in materia, Berna mise sul tavolo alcune opzioni per ridurre il consumo: un «aumento dell’imposta» sui superalcolici, «un prezzo minimo per legge» contro l’alcol a basso costo. Poiché le cifre che i 16-34enni svizzeri spendono in alcol sono «significative», grazie a un potere d’acquisto «molto alto», per farli bere meno il prezzo d’acquisto «dovrebbe mediamente raddoppiare». Ma le misure citate «non sono state considerate», perché collidevano col diritto economico europeo e svizzero. Neppure una tassa «commisurata al tenore alcolico» fu decisa, perché i giuristi svizzeri non erano unanimi. Le camere del Parlamento non trovarono nessun accordo. Il dubbio è che sulla bilancia pesino anche altri interessi, come l’enorme cifra d’affari globale dell’industria nazionale degli alcolici, stimata a 10 miliardi di franchi all’anno, tanti quanto gli svizzeri spenderebbero ogni anno in bevande alcoliche. 
Quando nel 2000 Ginevra decise di vietare la pubblicità dei superalcolici e del tabacco su suolo pubblico, la lobby nazionale si oppose, invano, fino al Tribunale federale. Quando a Berna si discusse di alzare i prezzi per ridurre il consumo, la stampa d’oltralpe rivelò le «pressioni che la lobby dei vini aveva esercitato» sul Governo di allora. L’ex presidente dei Produttori di vino (la IVVS) ed ex deputato neocastellano Laurent Favre, per esempio, definì «curioso» il progetto governativo di alzare i prezzi per ridurre il consumo, «sfruttando l’argomento della prevenzione». Si lamentò del «continuo inasprimento della lotta contro il consumo di alcol», dato che «non cessa di incidere sulla domanda». 
Il presidente dei Viticoltori (FSV) e deputato vodese Frédéric Borloz, così come il ticinese Marco Romano che è succeduto a Favre, chiesero ai ministri perché avessero modificato una normativa che migliora la tracciabilità dei lotti di uve e le esigenze produttive. Motivo: «La categoria vitivinicola non è soddisfatta delle modifiche». Alla fine del 2018 Romano domandò perché, «malgrado l’opposizione del settore»,  il Governo avesse deciso di vietare la dolcificazione dei vini AOC (Appellation d’origine contrôlée), migliorando così la trasparenza verso i consumatori. 

IL VINO IN TICINO
Tra cultura, prevenzione, abusi e dipendenze
Virtuoso contro il fumo nei locali pubblici, il Ticino appare più prudente con l’alcol, specie col vino nostrano di qualità. Quando nel 2002 alcuni deputati chiesero di vietare la pubblicità su suolo pubblico di tabacco e di certi distillati, ci fu un teatrino politico. Ci fu solo un rapporto di maggioranza del Parlamento e nessuna fretta: il Governo entrò in materia soltanto quattro anni dopo, nel 2006, e senza nemmeno accennare all’alcol, ma solo al tabacco. Nei verbali dei deputati prevalse la «cultura del vino rosso», l’idea di «comunicazioni pessimiste ed esasperate» con certi divieti, perché «non riducono il consumo» ma «ostacolano l’economia di mercato». Persino dei deputati medici si opposero perché si stava «festeggiando il centenario del Merlot» e perché «il vino rosso riduce la mortalità». L’idea del divieto fu nettamente respinta.
Benché il Ticino sia la quarta regione vinicola del Paese e si beva per costume ogni giorno, altri cantoni vinicoli hanno iniziato prima una prevenzione coordinata, una politica sanitaria coerente. In Vallese già nel 1997 il Governo ha «inserito la diminuzione del consumo medio di alcol tra le priorità di salute pubblica», scrive la Fondazione Addiction Valais. Il canton Vaud lanciò il suo primo Piano cantonale alcol (PCA) già nel 2007. In Ticino invece si attese la proposta di pochi deputati nel 2012, poi ci vorranno altri due, tre anni affinché Governo e Parlamento sostengano l’idea. Sembra plausibile, afferma il sito dell’associazione Ingrado, che per «molti anni» in Ticino ci siano state «serie difficoltà» in termini di «consapevolezza politica». 
Dal 2013 in Ticino il consumo a rischio è tra i «temi prioritari» per adolescenti e anziani. Il PCA cantonale si era prefissato per la fine del 2018, col motto «chi consuma alcol lo fa in modo da non nuocere né a se stesso né agli altri», una «diminuzione» di chi «dichiara o presenta un consumo problematico». Ci siamo riusciti? Sembrerebbe di no, ci ha fatto intendere la responsabile del Servizio di promozione e di valutazione sanitaria, Martine Bouvier Gallacchi. Anche nei sondaggi federali del 2017 il consumo giornaliero in Ticino è praticamente stabile (aumenta chi beve 1-6 volte alla settimana, diminuisce chi lo fa una volta alla settimana). 
Oltre Gottardo la situazione sembra più confortante, motivo per cui, ci dice la funzionaria, in Ticino un nuovo PCA «è in fase di elaborazione». Di fronte al crollo del consumo di vino locale, in parte dovuto ai prezzi più alti, si è riaccesa la polemica tra gli interessi della filiera e quelli della prevenzione. In aprile a laRegione il presidente di TicinoWine Uberto Valsangiacomo, ente che promuove il vino ticinese, ha criticato le «campagne mediatiche, anche statali, dove si parla genericamente di alcol, senza andare nel dettaglio». Interpellata, Bouvier Gallacchi replica che «non capiamo bene questa affermazione, non abbiamo mai detto che non si deve bere alcol. Noi ci occupiamo di prevenzione comportamentale, soprattutto a tutela dei minorenni e degli anziani che consumano troppo». 
Da noi sollecitato, Valsangiacomo afferma: «Non nego che esistano un problema e un disagio legati all’abuso di bevande alcoliche, ma il settore del vino di qualità, come quello ticinese, non può ritenersi minimamente responsabile. Notiamo che le campagne contro l’abuso fanno di tutta un’erba un fascio. Sarebbe più opportuno quindi considerare il tipo di bevanda, chi la consuma e chi la produce». 
Di fatto, si consuma vino, birra o distillati in modo diverso tra i cantoni, per età, sesso e situazioni, così come per vari motivi sociali e personali. 

 

 

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