710 Ashbury Street: il ‘gruppo locale’ dei Grateful Dead

Considerati la band psichedelica per definizione, i Grateful Dead sono stati un fenomeno artistico centrale nella storia della controcultura americana.

Di Tommaso Martini

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Alla metà degli anni Sessanta la città di San Francisco stava subendo una trasformazione radicale. Nuove generazioni, attratte da un energico ecosistema di pace e libertà fecero del quartiere di Haight Ashbury l’epicentro di una rivoluzione socioculturale. Le orme lasciate dai grandi scrittori e poeti beatnik conducono alla genesi del movimento hippie: sono gli anni dal 1965 al 1968 in cui si compie il passaggio di testimone tra due generazioni, un passaggio a cui contribuisce in modo determinante Ken Kesey (1935-2001), autore del celebre romanzo Qualcuno volò sul nido del cuculo (1962), e uno degli uomini che, attraverso i noti acid test, definiranno la nozione di psichedelia.
I Grateful Dead, nati nel 1965 come quintetto, cavalcano subito l’onda del cambiamento. Stabilita la loro sede al 710 di Ashbury Street, vengono considerati sin dagli inizi come il gruppo simbolo di questa nuova cultura. Infatti, se i Jefferson Airplane, con la pubblicazione di Surrealistic Pillow nel 1967, hanno raggiunto un pubblico internazionale anche grazie ad alcune tournée in Europa, i Grateful Dead sbarcheranno oltreoceano solo nel 1972, dopo aver consolidato la loro presenza sul suolo nazionale con centinaia di concerti, in un continuo girovagare che aveva toccato ogni stato dell’Unione.

Una band “nazionale”

Il 1969 è uno degli anni musicalmente più proficui per il gruppo, che si esibì in ben 141 concerti. Il 10 novembre la band pubblica Live Dead, diretta testimonianza del fascino sottilmente esoterico della loro musica. Le incisioni appartengono a due concerti dell’inverno precedente, registrati a San Francisco: leader del gruppo è Jerry Garcia, chitarrista dotato di una tecnica personale e strabiliante derivata dall’uso del finger picking, a cui si affiancano Bob Weir come seconda chitarra e voce, Phil Lesh al basso oltre a due tastieristi e due batteristi. Seguono nel 1970 Workingman’s Dead e American Beauty, due album in studio in cui alla sperimentazione sonora si affianca la riscoperta dei fondamenti della musica folk americana. Dal ’71 la struttura del gruppo subisce una serie di cambiamenti: nuovi musicisti introducono nelle jam del gruppo sfumature più raffinate, senza snaturare la coesa massa sonora costruita negli anni Sessanta. Il 7 aprile del 1972 la band sbarca finalmente a Wembley, inaugurando il primo tour europeo e regalando al pubblico una raccolta di concerti strabilianti.
Nonostante le notevoli performance eseguite sul Vecchio continente, il gruppo non riuscirà a ottenere lo stesso successo di cui godeva negli Stati Uniti, forse perché considerato una delle tante band psichedeliche della Bay Area o forse perché la sua musica, intimamente legata alla tradizione americana e alla pratica dell’improvvisazione, era animata da uno spirito anarchico e libertario che gli europei non seppero cogliere.

L’identità del Deadhead

Con l’avanzare degli anni Settanta, i Grateful Dead incidono capolavori quali Blues for Allah e Terrapin Station, organizzando concerti suggestivi come Live in Giza (eseguito sotto le grandi piramidi), One from the Vault e Cornell ’77. Concluderanno la loro carriera nel 1995, dopo la prematura scomparsa di Jerry Garcia. I Dead sono stati il primo vero gruppo open source: meno interessati al lavoro in studio, preferiranno sempre pubblicare i concerti dal vivo in cui lasciavano al pubblico la totale possibilità di registrare (davanti al palco, nelle fotografie, si osserva una vera e propria selva di microfoni).
Il loro atteggiamento libertario, il largo spazio dato all’improvvisazione, la spontaneità delle performance hanno incantato svariate generazioni, riunite sotto l’appellativo di Deadhead. Le “teste morte” sono ancora oggi una bizzarra comunità, elemento intrinseco alla musica del gruppo: mai vi è stato pubblico più affezionato a una band e a ciò che essa ha rappresentato. In tre decenni di carriera i Grateful Dead hanno diffuso un messaggio di amore, fratellanza e libertà, facendosi alfieri della più genuina controcultura hippie. Un faro luminoso in un mare in tempesta.

“Long Strange Trip”: il film

L’universo dei Grateful Dead non è uno spazio facile in cui orientarsi. Vi sono migliaia di elementi, disciolti in un anarchismo radicale la cui unica cornice è lo scorrere del tempo. Per chi volesse approfondire, non si può non citare Long Strange Trip, lucida testimonianza documentaristica sulla loro vicenda umana e artistica. Presentata nel gennaio 2017 al Sundance Film Festival, la pellicola, prodotta fra gli altri da Martin Scorsese, raccoglie interviste e inedite testimonianze audiovisive di concerti e momenti intimi di confronto tra i membri della band. Vi si narra la formazione e le origini, dal movimento beatnik sino agli ultimi monumentali concerti negli anni Novanta. Disponibile sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video, il documentario è diviso in sei episodi di circa 45 minuti l’uno. Altro lungometraggio degno di notorietà è Anthem of Beauty, centrato sulla realizzazione di American Beauty, storicamente considerato come uno dei dischi in studio che maggiormente hanno contribuito a definire il profilo artistico e pubblico del gruppo.

 

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