NFT. Se la proprietà diventa digitale

I “Non Fungible Token” – letteralmente “gettoni non fungibili” – sono una sorta di sistema di certificazioni digitali. Roba per specialisti? Anche no

Di Federica Cameroni

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Come si fa a possedere un meme o una gif? Come si può stabilire il valore monetario di un’opera digitale che è facilmente replicabile e indistinguibile dall’originale? Come far valere i diritti d’autore su internet? A provare a risolvere questi problemi è di nuovo la tecnologia blockchain, la stessa alla base delle criptovalute. Lo fa attraverso i Non Fungible Token. Un’invenzione niente male, se non fosse che…

Un bene è non fungibile quando non ha equivalenti con cui poter essere scambiato. Per esempio, un quadro originale di Picasso. Esistono le copie, ma il valore dell’originale è unico. Al contrario una saponetta di una determinata marca in vendita al supermercato è un bene fungibile, siccome non ne esiste un’unica versione al mondo. Un token (gettone) è un insieme di informazioni che caratterizzano un file. In breve, gli NFT sono informazioni la cui unicità viene verificata dalla blockchain, un immenso registro che tiene traccia di tutte le transazioni e assicura che i dati non possano essere falsificati. Possedere un NFT non significa diventare padroni dell’opera, è piuttosto come acquisire un attestato di rarità.
La popolarità degli NFT è esplosa nel 2017, grazie a un gioco chiamato Cryptokitties. Il principio, circa il medesimo del tamagotchi, consiste nell’allevare gattini virtuali. I cripto-gattini sono acquistabili in Ether (criptovaluta che alimenta la blockchain di Ethereum) e hanno un valore diverso a seconda della rarità. Dal 2017 a oggi sono stati creati NFT legati a qualsiasi oggetto digitale. Sono stati venduti tweet, il codice del primo internet (world wide web); pezzetti di video di partite dell’NBA e anche una casa (virtuale) su Marte. Il tutto a prezzi strabilianti. Il 19 febbraio 2021 è stata venduta una celebre gif (Nyan Cat) a 545mila dollari pagati in Ether. La stessa settimana è stata venduta una clip di una schiacciata di LeBron James a 208mila dollari. A marzo 2021 è stata venduta all’asta a quasi 70 milioni di dollari un’opera intitolata The First 5’000 days del graphic designer e artista digitale Beeple. Dolce & Gabbana hanno venduto sottoforma di NFT la loro “Collezione Genesi” (abiti che fisicamente non esistono) per un totale di 1’885’719 Ether (6 milioni di dollari circa). Secondo l’aggregatore di siti di rivendita NFT Crypto.art il mercato della cripto arte ha attualmente raggiunto i 2’307’335’144.90 $ (713’227’929 ETH).


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Gli NFT vengono utilizzati in diverse applicazioni specifiche che richiedono oggetti digitali unici come cripto arte, oggetti da collezione digitali e giochi online.

Come funzionano

Per creare un NFT la sequenza informatica (composta da numeri 0 e 1) dell’oggetto digitale che si vuole tokenizzare, viene compressa tramite un procedimento detto hashing che risulta non invertibile, cioè non si può ricostruire un documento partendo da un hash. Alcune blockchain prevedono la possibilità di creare un gettone (token) in cui contenere l’hash e a cui è possibile associare un’etichetta temporale. Chi possiede le giuste competenze può codificare il proprio NFT da solo, più generalmente ci si affida a piattaforme che semplificano il processo. Solitamente il gettone viene poi “registrato” su una piattaforma di marketplace che organizza la compravendita (tramite asta o a prezzo unico). Una volta acquistato, l’NFT viene trasferito nel portafoglio virtuale dell’acquirente e la blockchain registra la transazione. Acquistando NFT si acquista un file legato a un oggetto digitale. Non si possiedono i diritti di autore, non si può impedirne la diffusione o deciderne la cancellazione. Ci si può “vantare” di averlo e sperare di riuscire a rivenderlo a una grossa cifra. Per questo vengono spesso paragonati a figurine autografate o a carte collezionabili. Semplificando, tramite procedimenti crittografici è possibile ridurre immagini, video, audio e altro, a codici a cui associare dei gettoni. È possibile poi stipulare contratti associati a questi gettoni, in cui viene, ad esempio, compresa una percentuale su ogni futura vendita di un determinato NFT a favore dell’autore. Vi sono poi piattaforme che permettono di gestirne la compravendita e semplificano la creazione dell’NFT. La blockchain registra la transazione e garantisce che l’opera acquistata sia unica e immutabile.


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Bored Ape Yacht Club: è il nome del più grande gruppo NFT (quelli che possiedono Paris Hilton e Gwyneth Paltrow). Due dei principali fondatori sono Greg Solano (pseudonimo “Gargamella”, uno scrittore ed editore di trentenne), e Wylie Aronow (“Gordon Goner”), originario della Florida.

Critiche

Il problema maggiore degli NFT è il medesimo delle criptovalute. L’enorme impatto energetico derivato dalla loro creazione. Wired riporta che creare un NFT consuma l’energia necessaria ad alimentare un’abitazione europea per un mese e mezzo. Il grande consumo è dato dalla validazione, il sistema per cui i computer in competizione fra loro puntano a risolvere un complicato enigma crittografico (proof of work). La blockchain di Ethereum sta cercando di passare a un sistema meno dispendioso (proof of shake); ma la transizione è ancora lunga.
L’impressione è che quella degli NFT sia una bolla speculativa. Beni digitali destinati a chi vuole investire in criptovalute; il cui valore è legato a dinamiche di marketing più che a criteri di qualità. Secondo ArtThou, piattaforma per il commercio dell’arte contemporanea, “ogni scintillante visione utopica di un ecosistema decentralizzato di creatori e collezionisti è già stata minata” e il mercato degli NFT è controllato da intermediari tecnologici influenti come SuperRare, OpenSea, Nifty Gateway o Rarible. Anche CoinDesk, nella sua newsletter dedicata alle novità sulla blockchain (The Node), afferma che il mercato degli NFT è già centralizzato e dominato da OpenSea. Nemmeno per gli artisti il sistema NFT sembra essere così vantaggioso, dal momento che premia soprattutto i primi arrivati (che godono di maggiore visibilità dato il numero maggiore di feedback da parte degli utenti). Inoltre, diventando imprenditori, il rischio è che gli artisti mettano in secondo piano la qualità per favorire i guadagni; producendo in base a ciò che risulta vendibile. In un’intervista per The Syllabus il musicista e compositore Brian Eno ha affermato: “Gli NFT mi sembrano solo un modo per gli artisti di ottenere una piccola parte dell’azione dal capitalismo globale, la nostra piccola versione carina della finanziarizzazione”.
Siccome l’NFT non è un’opera, ma più una specie di certificato di proprietà che la rappresenta, quel che la blockchain garantisce è il possesso, assicurando l’unicità dei dati che una volta validati non possono essere contraffatti (così come le transazioni che restano immutabilmente registrate). Non può analizzare i contenuti o verificarne la genuinità. Una stessa opera potrebbe essere registrata su due piattaforme diverse (non dal medesimo autore); oppure una persona potrebbe fingersi autore di opere non sue e trasformarle in NFT. A marzo 2021 Simon Stålenhag, artista digitale, ha scoperto che le sue opere erano state trasformate in NFT a sua insaputa, denunciando l’accaduto su Twitter. Sulla paternità delle opere sussiste anche un problema più ampio. Come si può, per esempio, stabilire il vero autore di un meme, quando la sua stessa natura prevede che venga manipolato da più persone? Come si fa a decidere quale forma costituisca l’originale, quindi stabilire quella che ha valore?


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Metaverso: è una sorta di universo parallelo nel quale un individuo si rapporta con gli altri attraverso un proprio avatar.

Il web 3

Gli NFT si inseriscono perfettamente nella retorica che domina i discorsi sul web 3: decentralizzato e basato su blockchain, dove la realtà aumentata avrà grande spazio e i pagamenti nei mondi digitali avverranno in cripto. Secondo gli autori della campagna Keep the web free, say no to Web3 con il web 3 si creerà una società ancora più polarizzata. Si tratta di una realtà che può essere compresa solo da chi possiede le giuste competenze tecnico finanziarie, si creerebbe dunque quella che viene chiamata asimmetria informativa, dove solo una parte della popolazione possiede informazioni corrette o migliori. Inoltre, il mercato dei token seguirebbe, in moltissimi casi, uno schema di Ponzi. L’acquirente, per aumentare i propri guadagni e poter vendere token a prezzi considerevolmente alti deve creare clamore: pubblicizzare il prodotto e reclutare acquirenti, così da aumentare il valore del proprio asset. Infine, secondo gli autori, le cifre sborsate dai grandi investitori (come riporta il New York Times sono stati investiti nel 2021 più di $ 27 miliardi in criptovalute e progetti correlati) dovrebbero far sorgere il sospetto che sia un’idea “guidata da persone che hanno già investito milioni di dollari per assicurarne il successo”. Visione che trova concorde Jack Dorsey, il creatore di Twitter che a dicembre 2021 ha twittato più volte esprimendosi sarcasticamente sul web 3.
Stephen Diehl, programmatore e sviluppatore, in un articolo intitolato “Web3 is Bullshit” pubblicato nel suo blog, sostiene che i discorsi sul web 3 non siano altro che un “trucco retorico per creare una falsa dicotomia tra il mondo degli annunci popup e Zuckerberg – che legittimamente fa schifo – e un mondo fantastico costruito su sogni irrealizzabili tecnologicamente incoerenti e falso cripto-populismo”. Secondo Diehl non esiste possibilità di decentralizzare il sistema, se il fine resta quello espansionistico: “Gestire un business globale su questa scala richiede una quantità inevitabile di centralizzazione solo per esistere”. Il tutto a costi energetici enormi e rendendo sempre più difficile mantenere il controllo su contenuti abusivi. La stessa idea d’imporre una scarsità nel mondo di internet, quando i contenuti sono inesauribili, sarebbe assurda secondo Diehl: “Siamo passati dal mondo dell’abbondanza nel cloud computing, al tentativo di imporre la scarsità artificiale alla risorsa più abbondante che l’umanità abbia mai creato”.
Nonostante gli innumerevoli problemi da risolvere derivati dall’internet delle cose e il grande entusiasmo legato al mondo cripto; è difficile immaginare un internet che non sia controllato da pochi. Anche l’idea di disintermediare, smantellando istituzioni radicate che controllano il mercato, mettendo a diretto contatto compratori e venditori, non basta da sola ad assicurare la bontà delle azioni future. D’altra parte, era la stessa cosa che Uber prometteva di fare con il trasporto, Amazon con il commercio, o Airbnb con l’ospitalità.


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L’NFT va creato. Un’opera, per esempio il ‘Cenacolo’ di Leonardo da Vinci, può diventare NFT, cioè si può digitalizzare e far diventare NFT. Dandole così un certificato di autenticità e originalità. L’NFT non è una delle tante copie di un oggetto, ma è un certificato che quell’opera, unica, ha una versione digitale altrettanto unica. Per creare un NFT è necessario un procedimento tramite blockchain e il costo dipende dalla transazione su Ethereum, ad oggi fra le principali criptovalute dopo i famosissimi Bitcoin.

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