Generazione ‘Aftersun’

Presentato lo scorso maggio a Cannes, è diventato un caso. Paul Mescal (Calum nel film) è candidato all’Oscar come Miglior attore protagonista

Di Daniele Manusia

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Aftersun è un film doloroso in cui non succede quasi nulla. E, se qualcosa succede veramente, succede fuori dal film stesso, magari anni dopo, chi lo sa. Un film delicato, in cui ogni emozione è appena accennata, non detta, da intuire come si può intuire un disegno guardando il foglio di carta da dietro, controluce. Un film così intimo che Charlotte Wells, regista scozzese al suo primo lungometraggio, si direbbe lo abbia girato prima di tutto per se stessa. A tratti sembra la ricostruzione di un filmino delle vacanze, di quelli da proiettare in famiglia molti anni dopo, per stupirsi che anche i propri genitori, un tempo, sono stati giovani. Eppure Aftersun è anche uno di quei film che raccontando una storia molto specifica e personale sono in grado di parlare a quasi tutti, in cui moltissime persone finiscono per rivedersi.

Presentato lo scorso maggio a Cannes, è diventato in breve tempo un caso, con una pagina Wikipedia dedicata ai premi a cui è stato candidato e che ha vinto e il riconoscimento del Guardian che lo ha messo in cima alla lista dei migliori film del 2022. Racconta di un padre appena trentenne (interpretato dall’irlandese Paul Mescal: spalle larghe e mascella squadrata da cavaliere medievale ma con uno sguardo sensibile e romantico), divorziato, in vacanza con la figlia undicenne (l’esordiente Francesca Corio, con un’aria intelligente, furba e al tempo stesso ingenua) in un villaggio all-inclusive in Turchia. Vanno a cena, chiacchierano, poi si alzano senza pagare per gioco. Passano il pomeriggio a bordo piscina, tra il lettino e il bar dove il padre ordina una birretta. Una sera al padre non va di fare il karaoke, un’altra sera è Sophie, la figlia, che si rifiuta di ballare con lui nella discoteca del villaggio, imbarazzata dalle sue mosse (niente male, a dire il vero).

Malessere

Peter Bradshaw, sul Guardian, ha scritto che il film si sviluppa “naturalmente, come un illusorio e tormentoso racconto breve”. La parte tormentosa arriva dopo un po’ e senza essere annunciata, come un piatto piccante che ormai ti sei messo in bocca e non puoi far altro che ingoiare. È nelle crepe di questo racconto tenero e nostalgico che si intravede il malessere psichico del padre, alla ricerca di una pace interiore che non sembra proprio vicinissima. Sophie intuisce, ma non può andare oltre l’intuizione (una cosa interessante: per rendere la sua recitazione più verosimile, Wells ha nascosto anche a Corio parte della sceneggiatura, nonostante ciò nelle sue interviste Corio ha detto che qualcosa sui problemi del padre fittizio lo aveva capito lo stesso). Dei flashforward stranianti, poi, ci mostrano Sophie ormai adulta, che si tortura riguardando i video di quella vacanza con occhi pieni di rabbia. Incapace di lasciarsi il passato, e il padre, alle spalle.

Aftersun è un film che unisce uno stile artistico e ricercato – Il New York Times ha scritto che Wells “va molto vicina a reinventare il linguaggio del cinema, sbloccando il suo potenziale dormiente” – a un tema di grande attualità, quello della salute mentale. Charlotte Wells ha detto di essere stata colta di sorpresa dall’accoglienza calorosa che ha avuto Aftersun, e che forse dipende dal fatto che oggi c’è una maggiore “apertura” in tema di salute mentale di quanta ce ne fosse quando lei era adolescente. Certo, è anche un film paraculo, in cui probabilmente molti si rivedono perché erano giovani come almeno uno dei protagonisti ai tempi dei fatti. Aftersun fa diventare nostalgici i primi 2000, almeno per chi li ha vissuti. Persino la repulsione nei confronti della Macarena, di canzoni come Drinking in L.A., Tubthumping, Never Ever è ormai sfumata nella dolcezza con cui si ricorda la propria giovinezza.

Nostalgia

Ma questo è pure un tema del film: la nostalgia che si prova anche nei confronti di cose che non lo meritano. Nostalgia per un braccialetto con cui si può avere tutto ciò che si vuole al bar del villaggio turistico. Nostalgia per le partite a biliardo con dei ragazzi più grandi. Nostalgia per le sale giochi. Nostalgia per quei momenti felici in cui tuo padre stava molto male. Quei salti temporali in cui Sophie (che nel frattempo ha avuto un bambino in una coppia omosessuale) ci appare ossessionata dal ricordo del padre, ribaltano il senso di quello che pensavamo di aver visto e ci offrono un secondo punto di vista. Se il padre stava così male, forse anche per Sophie quei momenti non erano così felici.

Aftersun suggerisce l’impossibilità di separarsi da un passato tormentato, eppure, paradossalmente, il fatto stesso che Wells abbia girato un film del genere dimostra che è possibile. Io sono figlio di un padre divorziato e problematico che, per giunta, mi ha portato in giro per villaggi vacanze proprio quando avevo l’età di Sophie. Anche io ho dei bellissimi ricordi di un periodo che non è stato facile per mio padre, in cui anche lui non doveva stare bene. Normale quindi che mi sia immedesimato in Sophie. Al tempo stesso oggi sono diventato padre a mia volta, e guardando Aftersun ho scoperto di non rivedermi nella rappresentazione di un padre di quel tipo. Che posso essere – che sono – un padre diverso.

Tempo

Più in generale Aftersun è un film generazionale perché rimarca la distanza tra la superficiale spensieratezza degli anni Novanta-Duemila e la drammaticità dei nostri giorni, che sembrano una conseguenza diretta di quelli che li hanno preceduti. È come se la generazione di Wells, che è anche la mia, vivesse incastrata nel mondo dei propri genitori. Nelle scene finali (uno dei finali più belli che abbia mai visto) Sophie da adulta incontra il padre giovane, i due piani temporali si intersecano e i due sono coetanei. Immersi nella musica di una discoteca che come un buco nero risucchia tutte le parole, Sophie grida qualcosa in faccia al padre. Cosa gli ha detto? E noi, cosa diremmo se potessimo tornare indietro nel tempo e parlare ai nostri genitori da giovani? Ma soprattutto: loro ci ascolterebbero?

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