Stefanino Meraviglia e altre meravigliose storie

In caso di dolori di cuore, turbe esistenziali e altri scompensi di natura umana, il brano giusto è quello che ci vuole. Nel dubbio, puntate sui classici

Di Beppe Donadio

Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione

“Posso dire con assoluta certezza, forse l’unica della mia esistenza, che la musica mi ha salvato la vita. Certi dolori non se ne andranno mai del tutto e le cicatrici restano, ma esistono cose che possono lenire la disperazione”. Parole di Eric Clapton al giornalista Massimo Cotto, che in Rock is the Answer ha raccolto piccole lezioni di vita dei grandi della musica. Tra le pagine di quel libro c’è anche una delle migliori definizioni date alla musica di Stevie Wonder: “I dischi della Motown, i singoli di Marvin Gaye e Stevie Wonder erano pop, ma avevano molto da dire. Non era musica per lavatrici”. Parole di Lanny Kravitz, uno che aveva la casa in Piazza Grande (nel senso che in Piazza Grande veniva a suonarci un anno sì e un anno no, prima che il rap svizzero-tedesco se la comperasse, la piazza). Dice ancora Kravitz: “La musica degli anni Cinquanta e Sessanta la chiamano ‘oldies’. Ma ‘vecchio’ è un aggettivo che non ha significato nell’arte, perché l’arte è senza tempo. La musica è senza tempo”. Dal numero in edicola e online oggi, partendo proprio da Stevie Wonder, all’interno di un paginone mensile dai molti contributi, il divulgatore musical-letterario-radiofonico Sergio Mancinelli ci spiegherà perché (e comunque, alzi la mano chi, per una volta almeno, la musica non lo ha reso migliore. Fosse stato anche “Il ballo del qua qua”).

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