Barbara Conrad corre sempre più in alto

Classe 1977, un passo dietro l’altro, un metro di dislivello sopra l’altro, oggi è fra le appassionate di trail e ultra trail più tenaci del Ticino

Di Marino Molinaro

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Abita a Bellinzona ma è cresciuta a Friborgo, dove ha conseguito il dottorato in Economia politica. “Vegana e ottima forchetta specie prima delle competizioni”, vive al sud delle Alpi dal 2009 quando ha iniziato a lavorare all’Ufficio per lo Sviluppo economico del Dipartimento finanze ed economia, di cui è responsabile del Settore turismo.

Da tredici anni corre su e giù per le montagne. E nonostante l’ampio bagaglio di esperienze accumulato si dice sempre pronta a imparare dai propri errori, dai guru della disciplina e dai compagni di viaggio che le capita d’incontrare alle competizioni condividendone gioie e dolori costellati dall’amore per la fatica. Tanta fatica. Di gare ne ha accumulate decine, fino alla recente 100 miglia del Monviso conclusa terza fra le donne.
Da bambina, attacca Barbara, “lo sport non mi attraeva minimamente”. Fino a 17 anni ha trascorso il tempo libero sul divano a leggere libri. I successivi dieci anni a nuotare anche sette volte a settimana fino a tre chilometri al giorno: “Dovevo bruciare tanta energia, ma senza mai partecipare a gare, a parte la traversata del lago di Morat che trovavo divertente”.
Quindi nel 2008 la svolta, tutt’oggi il motore delle sue stagioni. L’ultima fatica autoinflitta è la 100 miglia del Monviso, in Piemonte, cui ha preso parte in agosto. L’ha portata a termine in 36 ore e mezza superando ottomila metri di dislivello e classificandosi terza fra le sette donne partite. Dei 63 iscritti, lungo i 160 chilometri se ne sono ritirati venti. “Non tutto è andato liscio, ma alla fine tutto è andato bene e con la mente sono ancora su quelle bellissime pietraie, il mio terreno di gara preferito”, racconta citando alcuni errori commessi: “Avrei potuto evitare di perdermi tre volte stando solo un po’ più attenta alla segnaletica”.
Di ogni appuntamento importante scrive un resoconto elencando episodi e sensazioni, come la rabbia provata pascolando fuori percorso e immaginando altre concorrenti superarla, o i tentativi infruttuosi di addormentarsi in un angolino scomodo per riposare anche solo qualche minuto, oppure la liberazione provata nel tirar giù una birretta tenuta dai volontari nel fresco di una fontana. Poi c’è il trascorrere del tempo, misurato in numero di albe viste sorgere.


© Marco Rostagno
Alla “100 Miglia”, Monviso.

Contro la distanza (non il tempo)

Ma il Re di Pietra è solo l’ultima tappa di una progressione durata anni e caratterizzata da un approccio spesso individualista alla pratica sportiva. “È il 2008 e annoiata dal nuoto mi faccio convincere da un amico a correre la celebre Morat-Friborgo. Mi alleno in gruppo e arrivo in fondo morta ma felice. E lì mi parte la scimmia”. Pochi mesi dopo si trasferisce all’ombra dei castelli dove s’iscrive a un gruppo podistico, si allena con regolarità e partecipa a diverse gare: “Un weekend sì e l’altro no gare brevi, poi il passaggio alla mezza maratona, poi alla maratona. Soddisfazioni sì ma niente di più. Tanta preparazione e disciplina, poche emozioni”. Curiosa e desiderosa di provare esperienze diverse, nel 2013 s’iscrive alla ‘Sei ore di Bellinzona’: “Non guardo più il cronometro ma solo la distanza. Camminando, correndo, l’importante è andare avanti. E questo cambiamento di prospettiva mi è piaciuto tantissimo”. Puntuale arriva una fascite plantare che la porta su terreni più morbidi. Abbraccia così la corsa sui sentieri: “È la montagna a fare la differenza. Puoi faticare tantissimo e correre da sola o fra centinaia di sconosciuti, sotto la stecca del sole, fra la nebbia o in mezzo ai temporali, ma la sensazione di gratitudine che si prova è indescrivibile”.

Molta, molta preparazione

Cosa le dà la distanza, cosa produce una gara che abbraccia due notti e due albe, nemmeno lei sa dirlo: “Durante e dopo mi sento bene. Tutto qui. Tranne nei periodi di minor preparazione nei quali era più difficile rimanere nei ‘cancelli orari’ a volte stretti o discutibili. Uno stress mentale che mangia molte energie”. Ma che gara sarebbe senza spirito di competizione? “Beh (sorride, nda) quando vedi altri concorrenti davanti, logicamente li punti! Diventano… punti di riferimento, specie di notte quando si scorgono in lontananza le loro luci frontali. Meno evidente quando gli iscritti sono pochi, come al Monviso”. Essere autodidatta non basta e infatti per affinare la preparazione in vista della 100 miglia si è confrontata con l’allenatore Stefano Ruzza: “La sua tabella prevede anche nuoto, bici, esercizi per il ‘core’. E ha dato i frutti sperati. Da fine marzo a metà agosto sono stati il mio pane quasi quotidiano. E la gara me la sono proprio goduta, anche perché il numero esiguo di iscritti mi ha permesso di correre con i miei pensieri, di sentirmi lasciata a me stessa ma in senso positivo, riuscendo così a controllare le cose che andavano storte, a percepire tutta l’atmosfera magica della notte e della sua vuota immensità. Una sorta di trance agonistica durata gran parte della gara”.


© B.C.

La felicità di correre

Poi c’è il dopo, quando di botto tutto finisce. Cosa resta? “La cosa più bella che ho portato a casa è stata la sensazione provata negli ultimi chilometri di gara, che erano facili e tutti da correre. Mi sono sentita come fisicamente trasportata dalla folle impressione di poter ‘correre per sempre’. Se da un lato ero felice di arrivare e arrivare bene, dall’altro mi spiaceva un po’ vedere avvicinarsi la fine del viaggio. Ed è stata una sensazione del tutto inattesa e disarmante. Non avrei potuto immaginare di provare qualcosa del genere dopo due notti in bianco e tantissime ore di sforzo. Questi sono i regali che a volte ti fanno le ultradistanze”.
A casa, tutto ciò richiede un’applicazione costante nel tempo: più una droga o una passionaccia? “La seconda, perché riesco a rinunciarvi. E anche perché mi aiuta a svuotare la testa dopo una giornata di lavoro. In quei momenti allenarmi da sola mi aiuta, ma vado anche col mio compagno oppure qualche volta con un gruppetto di amici”.

Ma esiste un limite? “Non lo so, lo sto ancora cercando. Quello dei 150-170 chilometri è comunque già un bel traguardo”. E ritirarsi a metà gara, quanto brucia? “Tanto, perché nelle settimane precedenti e durante la trasferta s’investono tempo e risorse importanti. Ma a volte è un passo obbligato, specie quando per qualche motivo non mi sto divertendo”. Punti di riferimento nel mondo? “L’ultra runner americana Catra Corbett. Mi piace il suo essere adorabilmente sopra le righe. Mi capita di reagire a dei suoi post sui social e lei si prende sempre il tempo di rispondere”. Consigli ai neofiti? “Scarpe buone, non improvvisare, studiare bene i percorsi e godersela”.
Ma la bambina dei libri a cui non piaceva sudare, che fine ha fatto? “Leggo ancora tanto, soprattutto romanzi, romanzi storici, autobiografie, qualche giallo, in particolare nordico. È un altro mio modo di viaggiare”.


© Marco Isaia
Alla “100 Miglia”, Monviso.

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