Nomadismo digitale. L’ultima frontiera della società liquida
Per tutti sono giovani professionisti senza fissa dimora che viaggiano per il mondo continuando a lavorare grazie alla connessione internet. Tutto qui?
Di Fabiana Testori
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
La visione dei “nomadi digitali” è spesso corroborata da critiche e pregiudizi, i quali considerano questo approccio alternativo al lavoro poco serio e superficiale. Ma lavoreranno davvero? Riescono a mantenersi da soli? Quindi non hanno una casa? Come e dove pagano le imposte?
Se la rappresentazione stereotipata si limitasse a uno scatto fotografico sarebbe quella di una persona giovane, non ancora trentenne, seduta a un bar in shorts e maglietta, una mano sui tasti del laptop, l’altra che si protrae leggermente per avvicinare il cocktail appena ordinato. Sul tavolino niente carta e penna, ma un telefono, forse due. Il tutto, vista mare. Quando si parla di nomadismo digitale lo sguardo scettico di chi rimane per forza o per scelta nel contesto classico legato al movimento circolare ufficio, casa, ufficio, fine settimana, ufficio, casa, ufficio, fine settimana, ufficio, casa, vacanza, ufficio, e via continuando, è praticamente d’obbligo. Ma cosa è davvero il nomadismo digitale e perché il fenomeno si diffonde, modulandosi a sua volta con realtà del mondo del lavoro sempre più varie?
Lavoro senza luogo
La pandemia di Covid-19 ha giocato un ruolo fondamentale nell’espansione su larga scala del nomadismo digitale. Ma non ne è stata la causa scatenante, bensì un forte acceleratore. Infatti, già più di vent’anni fa, nell’ormai lontano 1997, è apparso il primo libro sul fenomeno (Digital Nomad), redatto dallo scienziato informatico Tsugio Makimoto e dallo scrittore David Manners, i quali profetizzavano un mondo fortemente globalizzato in cui nuove tecnologie, nuovi tipi di collaborazione e di visione della professione avrebbero cambiato radicalmente l’approccio all’attività umana, riducendo drasticamente, quasi amalgamando, le distanze fra lavoro, tempo libero, casa e viaggio. I due studiosi si sono spinti oltre, argomentando che le aziende internazionali, al fine di sopravvivere e di rimanere competitive, avrebbero dovuto inevitabilmente accettare una parte di impiegati “dislocati”, cioè indipendenti da un luogo fisso in cui lavorare, liberati dalla vita d’ufficio, ma comunque parte integrante e produttiva della realtà dell’impresa. La rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha materializzato i pronostici. Infatti a essa non si associa semplicemente l’aspetto tecnico e funzionale della rete e della velocità delle comunicazioni, ma una ancor più concreta rivoluzione sociale e culturale. Il perno secondo cui le opportunità professionali possano essere vincolate non più solo dal salario e dalle prospettive di carriera, ma da una “bella vita”, libera e senza legami, a realtà lavorative obsolete e incasellate, non solo in termini di compiti, ma di spazio, sta diventando fondante.
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Società liquida e onde lunghe
Già a inizio del millennio Zygmunt Bauman aveva inserito il nomadismo (digitale) all’interno della sua teorizzazione della (ben nota, ormai) società liquida, concetto cardine di gran parte dei suoi scritti, in cui gli individui sono continuamente “in movimento”, dove confini e riferimenti sociali si perdono. Nella sua opera La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza (2001), descrive le comunità contemporanee, liquide per eccellenza, come a un punto di svolta “la lunga storia iniziata con il trionfo sui nomadi sta giungendo al termine…”. Un processo rafforzatosi nel corso degli anni, non solo come volontà di evasione e di immersione in nuove realtà senza mai smettere di lavorare, ma anche come reazione ai molti aspetti negativi portati dalla globalizzazione e dalla filosofia del lavoro come fulcro di tutto, come la richiesta estenuante di flessibilità, la precarietà e salari insoddisfacenti. I nomadi digitali, consci dell’incertezza permanente del futuro, scelgono di rovesciare l’interpretazione di questa evidenza a loro favore, invocando una libertà quasi incondizionata e la possibilità di lavorare da ogni luogo. Lo scoppio della pandemia di coronavirus nel 2020 e gli intermittenti lockdown dei seguenti due anni hanno inevitabilmente favorito l’aumento del lavoro da remoto, suddividendo i nomadi digitali in sottogruppi, non più solo quindi i viaggiatori accaniti connessi da Bali o dalla Thailandia, ma anche professionisti sedentari connessi dalla baita di montagna, dalla cucina di casa, da un nuovo appartamento nei sobborghi o in contesti più provinciali, dall’affitto meno caro di quello cittadino. Digitali sempre, nomadi a diverse velocità, ma tutti esentati dal passaggio obbligato casa-ufficio, così da bilanciare meglio professione, famiglia e vita privata.
Zygmunt Bauman (1925-2017). Società liquida: ‘Concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile’ (fonte: treccani.it).
“You only live once”
La “liberazione” in termini professionali, segretamente agognata già in tempi pre-Covid, si è manifestata in tutte le sue sfumature durante e dopo la pandemia. Nomadi digitali, Grande Dimissione (si veda Ticino7 n. 5/2022, ndr), lavoro da remoto, il massimo di tre giorni in ufficio per settimana eccetera, sono tutte espressioni di un cambio di paradigma al grido dell’economia YOLO, “You only live once” (si vive una volta sola), acronimo inglese diffuso nella cultura pop e dello spettacolo, e utilizzato oggi a Wall Street dai trader più spregiudicati quando decidono di lanciarsi in un’operazione finanziaria azzardata. Prendere dei rischi, perché ormai si è capito che – come già scriveva Lorenzo De’ Medici nel Cinquecento, “Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza” – dissociarsi dai percorsi professionali classici, prediligere un equilibrio più sano fra lavoro e tempo libero grazie alle opportunità date dalla tecnologia sembrano tutte essere delle tendenze destinate a restare.
Il Ceo di Airbnb Brian Chesky ha recentemente dichiarato al periodico Time: “The office is over” (per l’ufficio è finita), definendola una forma di lavoro anacronistica, concepita prima dell’era digitale e oramai antiquata. Chesky ha posto la domanda: “Se l’ufficio non esistesse, davvero lo inventeremmo?”. A suo dire, pare di no ed è per questo motivo che Airbnb ha deciso di permettere a tutti gli impiegati di lavorare da dove più desiderano (quindi abbracciando in toto il concetto di nomadismo digitale) senza tagli al salario.
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Il “visto” per nomadi
Nonostante il trend sempre più in voga, le voci critiche restano, fra queste quelle che sottolineano come il nomadismo digitale sia possibile solo per i colletti bianchi ai quali basta avere il wi-fi per lavorare (verissimo) e per coloro impiegati nella parte occidentale del mondo, regno del settore terziario (altrettanto corretto), ma come ogni tendenza è bene non sottovalutarla. Anzitutto perché è mossa dai giovani (la maggioranza dei nomadi digitali ha fra i 20 e i 40 anni) e perché, a livello profondo può fornirci un quadro indicativo del mondo di domani e non solo in tema di lavoro. Intanto, Paesi e governi tentano di adattarsi cercando di attrarre possibili contribuenti, fornendo visti specifici per questo tipo di professionisti (a oggi, oltre 40 Stati propongono il cosiddetto “digital nomad visa”) e provando a ripopolare aree dismesse e/o rurali.
Fra i paradisi prediletti dai nomadi digitali troviamo le Canarie e Maiorca, apprezzate per il clima mite, un costo della vita accessibile e molti spazi di co-working, Lisbona, in cui, apparentemente, è caccia all’appartamento in centro città, la Croazia, la quale offre ai nomadi digitali un visto di residenza temporanea per un anno, Bali, un grande classico, popolata da moltissimi professionisti attivi sul web, e l’Argentina, anch’essa in grado di proporre un visto ad hoc. Il futuro ci dirà quale sarà la sorte del lavoro in ufficio come l’abbiamo sempre concepito, intanto è giusto trarre il meglio da quanto le nuove tecnologie sono in grado di offrirci al fine di armonizzare i tanti aspetti che compongono la nostra esistenza, professione compresa.