C’era una volta la Valascia (con Danilo Gobbi)
Se volevate una birra e qualcosa da mettere sotto i denti dovevate vedervela con lui, lì, davanti alla “Buvette”. E poi tutti in Curva a cantare e saltare
Di Moreno Invernizzi
Nato nel 1956 a Faido e sposato con Lorenza, Danilo Gobbi è padre di due figli, John – ex giocatore dell’Ambrì Piotta oltre che di Ginevra, Zurigo e Losanna – e Marika. Ha giocato nel settore giovanile biancoblù fino all’età di ʻJunioresʼ, ma molti tifosi dell’Ambrì se lo ricordano in maniche di camicia dietro al bancone della buvette a fianco della Curva Sud, che ha gestito per quasi vent’anni (dal 1992 al 2011) assieme alla moglie, impegnata ai fornelli. In quegli anni, impegni sportivi permettendo, capitava anche di vedere il figlio John dare una mano nel servizio. Terminata la sua esperienza con la buvette (“che anche se non la gestivo più io e ha preso il nome di ‘Grotto’, per molti è rimasta La Buvette”), Danilo ha continuato a frequentare la vecchia Valascia nei panni di semplice tifoso. Oggi è consulente assicurativo.
È un pezzo di storia che se ne va. Quando il 5 aprile, lunedì di Pasqua, è calato il sipario sulla stagione 2020/21 dell’Ambrì Piotta, è calato pure quello, stavolta definitivo, sulla Valascia. La storica ‘casa’ dei biancoblù, teatro di mille battaglie, luogo in cui gioie e dolori si sono alternati, di serate passate a cantare a squarciagola, “La Montanara” in quelle memorabili, ma, soprattutto, luogo in cui si sono intrecciate le storie di migliaia di persone. Provenienti dal Ticino, ma anche dal resto della Svizzera, e pure dall’estero. E poi le storie di chi la Valascia l’ha vissuta da un’altra prospettiva: non quella del giocatore o dello spettatore, ma quella di chi ci ha lavorato. Come Danilo Gobbi, che per anni ha gestito ‘La Buvette’ della pista.
Sotto un tetto di stelle
“A dirla tutta, il mio rapporto con la Valascia è iniziato ben prima del mio incarico di gestore della buvette – premette Gobbi –. La prima volta che ci ho messo piede sarà stato suppergiù sessant’anni fa. Quando, ovviamente, era ancora una struttura a cielo aperto. Da ragazzo ho infatti giocato anch’io per l’Ambrì, o, meglio, ho… provato a giocarci. Erano i tempi dell’indimenticato Andy Bathgate, con cui mi sono pure allenato in età di Juniores; la prima metà degli anni Settanta. Questo per dire che la Valascia l’ho conosciuta da quasi tutte le prospettive possibili: da piccolo spettatore, i primi anni in tribuna con una mia parente perché ero troppo piccolo per la Curva, ad ‘aspirante giocatore’, per poi passare a commerciante e, non da ultimo, da genitore, visto che mio figlio John ha pure vestito la maglia dell’Ambrì Piotta prima di proseguire la sua carriera a Ginevra, Zurigo e Losanna”.
E le soddisfazioni più grosse alla Valascia, Danilo Gobbi le ha vissute in quali panni? “Non ho dubbi: da genitore. Ogni volta che vedevo John vestire la maglia dell’Ambrì era un’emozione particolare. Ovviamente quando ha cambiato squadra un po’ mi è dispiaciuto, ma era anche giusto che partisse, per maturare altre esperienze”. E sportivamente parlando, cosa c’è nell’album dei ricordi della Valascia di Danilo? “Sicuramente la vittoria della Supercoppa europea, alzata al cielo in un indimenticabile martedì d’agosto battendo i russi del Metallurg Magnitogorsk, se ci limitiamo ai trofei principali. Ma ci sono anche ricordi agrodolci, come quella Gara 4 dei quarti di finale della stagione 1990/91, culminata con la rete (annullata) del potenziale 8-8 di Mike Bullard a fil di terza sirena: quella sera ricordo che l’ambiente era piuttosto ‘caldo’ qui in Leventina…”.
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Birre fresche e animi bollenti
L’anno dopo, per Danilo inizia il suo impegno… ma dietro al bancone della buvette della Valascia: “Una buvette semplice se paragonata a quelle sontuose di altre piste svizzere, ma funzionale. Non c’erano grandi comodità, ma tutto quanto occorreva per fare bene il mio lavoro. L’impegno dietro al bancone, a ogni buon conto, non mi precludeva di assistere alle partite. Ma, un paio di minuti prima delle pause, dovevo lasciare il mio posto in tribuna per prendere servizio, giusto in tempo per rifocillare la fiumana di persone che regolarmente arrivava in quel quarto d’ora di tregua sportiva. A volte, nelle serate più ‘calde’ mi capitava di dover intervenire per sedare un po’ gli animi bollenti in Curva. Dietro al bancone, poi, dovevi smettere i panni del tifoso per indossare quelli del barman accondiscendente, visto che da lì spesso transitavano anche tifosi della squadra ospite, e magari anche qualche genitore di un giocatore avversario”. E pure qualche ‘vip’: “Fra tutti ricordo Valeri Kamensky: mi fece visita il giorno stesso del suo arrivo ad Ambrì. Reduce dal lungo viaggio, dopo essere passato dallo spogliatoio a ritirare il suo materiale, è venuto da me in buvette in cerca di un po’ di ristoro”.
Chiuso il capitolo dei rinfreschi, Danilo Gobbi la Valascia ha continuato a frequentarla da spettatore, “e ho continuato a farlo fino all’ultimo, fino all’ultima partita di questa sfortunata stagione segnata dalla pandemia. Certo, vederla così, senza più spalti, e con la Curva Sud stipata di seggiolini, per un terzo vuoti, era uno spettacolo desolante per chi la pista l’ha vissuta ai tempi dei pienoni: complice la situazione sanitaria, il cammino sul viale del tramonto della Valascia è stato una sorta di lungo mesto commiato nella forma drammaticamente più intima immaginabile”.
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Un luogo magico
Ora che i cancelli della vecchia pista sono definitivamente chiusi, a Danilo Gobbi restano i ricordi: “E in tutti questi anni ne ho collezionati davvero parecchi. So che prima o poi arriveranno le ruspe a demolirla, non si poteva fare altrimenti, ma sarebbe bello poter lasciare ai posteri anche un segno tangibile di quella che fu la prima vera casa dell’Ambrì Piotta: di foto della Valascia non ne ho, ma di certo prima che venga rasa al suolo tornerò a farne qualcuna da custodire gelosamente nel mio personale album dei ricordi. Ma per capirla fino in fondo la magia di questo stadio, bisogna averla vissuta di persona: in questi anni ho conosciuto tante persone che, pur avendone sentito parlare prima, una volta varcati la prima volta i cancelli della Valascia sono rimasti a bocca aperta”.