Lʼultima chiamata

‘Sai che ti dico, il primo che mi rompe gliela faccio in faccia’. Ma alla fine quello che ci ha rimesso è stato lui.

Di Giancarlo Fornasier

Pubblichiamo l’editoriale apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Erano sempre i soliti otto o nove: gli ultimi a uscire dalla porta e gli ultimi a lasciare, correndo e gridando, la piazzetta del centro. Sempre le stesse facce, anche se nelle serate “buone” si aggiungeva qualche altro scapestrato dal paese vicino. Erano lì, quasi tutte le sere, a parte il lunedì e il martedì, ma solo perché il locale chiudeva “per riposo”. E quelli erano gli unici giorni nei quali si poteva dormire già dalle 21, volendo.
Il Luigi, che due numeri civici più in là ci abitava da una vita, dal suo balcone per protesta ormai aveva buttato di tutto, compresa la popò del piccolo Giovanni (vasino a forma di panda con suoneria incluso, un regalone della nonna materna). La mira di solito era buona, ma le cose non erano mai cambiate. Tutta colpa del gerente del locale, diventato il nuovo compagno della sorella di un pezzo grosso in paese (che lì beveva a gratis, naturalmente). Sicché potevi chiamare e richiamare il Comando, tanto dopo le 19 rispondeva la Centrale lontana una ventina di chilometri. “Prendiamo nota della segnalazione, ma non possiamo arrestare chi parla sul marciapiede. A meno che non sia successo un incidente…”. E l’incidente arrivò. Fu un venerdì notte: un povero diavolo era salito su un vaso di fiori per allungare la gittata, ma qualcosa andò storto.
“Che puzza qui”, disse un agente guardando i fiori: sì, una gran puzza di noia e bevute. Eh bon…

 

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