Giù le mani dai tavoli

Lo capivi subito che era arrivato, il Mario: era l’unico che non si ricordava mai del gradino all’entrata. E così te lo ritrovavi steso sul bancone.

Di Giancarlo Fornasier

Pubblichiamo l’editoriale apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione

L’osteria esisteva da almeno cent’anni, e li portava tutti. Al Laboratorio cantonale era uno di quei dossier inseriti nella poco augurante “mappetta rossa”: roba tosta che si trascinava da una vita. Ma per il Franco, l’oste – detto ol Pinin per via di un dito mignolo strappatogli da un mulo quando era alle elementari – erano tutte dicerie. In verità, qualcuno che era finito a letto dopo aver mangiato la famosa parmigiana c’era stato. Che fosse quella oppure il vino della casa (buono anche per decapare metallo e legno) non si sa.
I frequentatori di vecchia data sapevano “cosa si poteva e cosa non si poteva proprio”: il problema si poneva nei mesi estivi, quando il via vai dei turisti portava nuove facce e strani idiomi in paese. Per questo di chiudere l’osteria non se ne parlava proprio: già vent’anni prima era sparito l’ufficio postale, senza parlare di asilo e scuole. “Neanche i militari vengono più su…”: come dire, se ci togliete l’unica bettola della zona, qui succede un casino.
E si sa, nelle osterie non sempre si scherza.

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