Bologna e le staffette alimentari partigiane

L’aiuto ai ‘tagliati fuori’ della pandemia nell’esperienza di un giovane bellinzonese nel capoluogo emiliano.

Di Erminio Ferrari

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

I nomi non rivelano tutto, come sempre, ma dicono più di quel che appare: nella Bologna “chiusa” dalla pandemia di Covid-19, sono entrate in azione le Staffette Alimentari Partigiane (Sap) e le Brigate di Mutuo Soccorso (Bms). Due tra le molte iniziative di solidarietà attiva che hanno preso corpo nel capoluogo emiliano, a cui ha preso parte Lino, studente bellinzonese in Lettere Moderne. In chi sa di storia italiana, la sigla Sap (Squadre di Azione Partigiana) e quel Brigate (inevitabilmente “rosse”) evocano passaggi epocali, che un altro transito nelle accelerazioni della Storia ha spinto l’associazionismo “di sinistra” ad aggiornarne l’interpretazione.

Chiamateli come volete

A proposito di nomi: Lino come? Lino e basta, per ora. Racconta: “Tutto è nato da un ragionamento collettivo: per quanto rinchiusi nelle nostre case, la società tutta continua a muoversi ed evolvere, purtroppo non verso un miglioramento. L’emergenza sanitaria ne ha portata con sé un’altra, meno evidente agli occhi di un’opinione pubblica chiusa su se stessa, ma non per questo meno grave: molte aziende, negozi, laboratori artigiani sono stati costretti a chiudere, lasciando a casa migliaia e migliaia di persone che si sono trovate in un’inattesa emergenza economica”. Quelli che sociologi e giornali chiamano “nuovi poveri”. Ai quali vanno sommati i poveri da sempre, quelli “senza fissa dimora”, altrimenti conosciuti come clochard, o barboni.
E allora, tra restare a casa a coltivare la stucchevole “riscoperta dei piccoli piaceri” o a guastarsi il sangue considerando perso il tempo della quarantena collettiva, e il trarne un nuovo motivo di azione, la scelta è stata inevitabilmente quest’ultima. “L’iniziativa – racconta Lino – è figlia di tre realtà da sempre radicate sul territorio bolognese: l’associazione YaBasta! Bologna e i centri sociali Tpo e Làbas.


© Nicola Selim Babaoglu

Il valore del servizio

E con un’efficienza tutta emiliana la rete ha messo in moto un’organizzazione di raccolta e redistribuzione di generi di prima necessità alle famiglie, casa per casa, e a chi una casa non l’ha, e nemmeno un reddito di cui lamentare la fine, così da accedere alle misure di compensazione varate dal governo. Un aiuto distribuito dalle staffette, Lino e i suoi compagni, zaino in spalla in sella a una bicicletta: “In particolare, noi ci siamo indirizzati ai senza fissa dimora. Il mercoledì mattina la distribuzione delle colazioni e la domenica sera, la cena; il giovedì sera la consegna, strada per strada, dei sacchetti contenenti cibo e altri beni di prima necessità quali spazzolini, dentifricio, assorbenti. Il minimo necessario per la cura personale”.
Un ingresso, in altri termini, in un mondo di cui si parla ma poco si vede, e meno ancora si conosce. E un modo per prendere le misure di sé stessi. “Le emozioni – riconosce Lino – sono tante e contrastanti. Da un lato siamo consapevoli del valore della nostra attività, ci sentiamo carichi di energia e speranze; dall’altro, soprattutto le prime volte che vieni a contatto diretto con i senza fissa dimora, l’impatto violento con la realtà delle cose genera tristezza e depressione. Non è assolutamente facile, richiede tempo ed energie – sia fisiche che mentali –, ma fino a ora possiamo dirci soddisfatti; abbiamo rotto un isolamento forzato, ridando significato a un tempo che la quarantena aveva stravolto”. Energia talvolta necessaria anche per superare la diffidenza di polizia e istituzioni, ostinatamente vigili nei confronti di chi agisce non contro, né fuori dalla legge, ma senza farsene scudo. “Sì, qualche volta, qualche spiegazione ci è stata chiesta…”.


© Giulio Di Meo

Oltre la pandemia

Un lavoro, poi, la cui origine “dal basso” lo garantisce dall’essere confuso con “carità”. Le Brigate non si limitano a portare la spesa. “La loro missione si è estesa all’interazione con le persone nel bisogno, per esempio fornendo libri di testo, tablet di seconda mano a chi altrimenti non potrebbe seguire lezioni online; indicando a quali sportelli (delle stesse associazioni di base) rivolgersi a seconda del bisogno; offrendo corsi di italiano ai migranti”. Il tutto praticato non in un’ottica di carità, ma di prossimità e mutualismo, dove “chi viene aiutato, aiuta a sua volta (a distribuire i pacchi o raccogliere le donazioni alimentari grazie alle quali i pacchi vengono composti), un po’ come succedeva ai tempi della lotta per la casa”. E un po’ come praticava un certo don Milani: “Uscirne da soli è egoismo, uscirne insieme è politica”.Bisogna dire che una certa tradizione bolognese aiuta. Gli Ambulatori di Salute Oopolari (Làbas) e i doposcuola di Tpo e Làbas non sono nati certo con la pandemia, ma vi si sono adeguati senza perdere tempo. I numeri e la mole dell’aiuto distribuito (tanto, credete) si trovano a questo link https://www.produzionidalbasso.com/project/staffette-alimentari-partigiane-la-spesa-a-casa-per-chi-casa-non-ha. Mentre per lo spessore umano dell’esperienza occorrerebbero le voci di quei ragazzi. Da loro, probabilmente, apprenderemmo quanto è vano (per essere teneri) spendere parole sulle lezioni che la Storia ci avrà impartito o illudersi che “dalla pandemia usciremo migliori”, se non si cerca di esserlo già adesso. A proposito, il Lino, di cognome fa Bosisio.

 


© Nicola Selim Babaoglu

 

 

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