Sulle tracce di Pun Ka-Man

Per tutti, colleghi di polizia compresi, lei è ‘Pops’ e il suo mestiere ha quel nonsoché di cinematografico: veste la tutina bianca e si reca suoi luoghi del crimine…

Di Natascia Bandecchi

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Nata ad Hong Kong nel 1979. Appassionata di manga giapponesi. Divora film in continuazione e, per la gioia di chi vive con lei, ha una collezione infinita di dvd che occupa mezzo salotto. Ama lo sport, ma solo dal divano di casa (Formula 1, Moto GP, hockey, calcio, tennis). Essendo un poʼ ‘nerd’ dentro, dello sport ama soprattutto studiare le regole del gioco, per comprenderne il funzionamento.

La vita di Pops potrebbe far parte delle Storie della buonanotte per bambine ribelli, famosa raccolta di racconti di donne che hanno avuto un’esistenza fuori dal comune. A metà anni Ottanta lei, sua sorella e i suoi genitori prendono il volo da Hong Kong per l’Italia: Brescia è la loro destinazione. Lì rimangono sette anni. Papà Pun lavora come cuoco in un ristorante cinese a Lugano e finalmente le sue “ragazze” lo raggiungono per vivere tutti insieme sulle sponde del Ceresio.

Radici

“Nonostante sia andata via da Hong Kong quando ero bambina, la porto nel cuore, è un sentimento innato che fa parte di me e delle mie radici”. Pops racconta della sua infanzia con aria sognante: “Ricordo che all’asilo e alle scuole elementari studiavamo già le frazioni e l’inglese. Quando lo racconto la gente non ci crede, il sistema educativo da quelle parti ha molta più “spinta” che in tanti altri posti. Secondo me i bambini hongkonghesi hanno molta fortuna da quel punto di vista”. Per quanto i bimbi siano duttili e avvezzi al cambiamento, non sempre è semplice cambiare casa, abitudini… figuriamoci trasferirsi in un altro continente. “L’arrivo a Brescia è stato drammatico, non parlavamo una sola parola di italiano, l’anno scolastico era già iniziato e tutti mi davano della cinese”. Tra Cina e Hong Kong c’è un’enorme differenza, prosegue Pops. Non bisogna mai fermarsi all’apparenza, ma cercare di andare oltre facendo un passo verso il prossimo, per conoscere e conoscerlo. “Faceva male sentirci chiamare ‘muso giallo’ o ‘cin-ciun-cian’. Ancora oggi bruciano queste parole. È stato doloroso vivere queste discriminazioni, sia dopo il primo trasferimento in Italia sia una volta arrivata in Ticino”.

Il caso… esiste?

Nel 2016 Pops è diventata la prima agente donna in Ticino a conseguire un dottorato in scienze forensi. E pensare che da piccola sognava di spegnere incendi… “Collezionavo una miriade di camion dei pompieri e desideravo ardentemente diventare un pompiere”. La vita, si sa, è imprevedibile, Pops accompagna un amico a Losanna alle porte aperte della facoltà di scienze forensi. “È stato amore a prima vista. Appena ho sentito parlare di DNA, tracce digitali, crimini ho drizzato le antenne e mi sono sintonizzata su quella frequenza. Il guizzo finale però l’ho sentito quando venni a sapere che è una facoltà difficilissima. Di 200 allievi ammessi, dopo un anno ne rimanevano circa una ventina”. Nonostante non abbia mai brillato al liceo per le sue doti da studentessa modello, la dottoressa Pops si è appassionata a tal punto alla materia da laurearsi con successo. Oggi ama quello che fa e fa quello che ama.

Sulla scena del crimine

Che sia un furto con scasso, una rapina, un incidente o un delitto, non è mai un bel segno quando compare la polizia scientifica. Le situazioni possono assumere varie forme e di conseguenza anche il carico emotivo può variare… di parecchio. “In tutti i casi c’è sempre la parte lesa, la vittima o i suoi famigliari, ed è fondamentale – dal mio punto di vista – attivare, oltre alla professionalità, la sfera empatica. Siamo a contatto con esseri umani e non possiamo dimenticarci delle emozioni coinvolte quando entriamo in scena. Che sia una persona anziana derubata in casa sua e che si deve confrontare con l’insicurezza del vivere da sola, oppure della famiglia di una persona che si è tolta la vita”. Mettersi nei panni degli altri non è mai semplice ma si può provare a essere sensibili e attenti ai fragili equilibri del prossimo. 

Gratitudine 

“La gratitudine è non solo la più grande delle virtù, ma la madre di tutte le altre”. Così sosteneva Cicerone. Spesso ci dimentichiamo il valore di un ‘grazie’, ma basta così poco per accorciare le distanze e sentirci più vicino all’altro. “Se faccio una breve carrellata sulle situazioni vissute durante il mio lavoro, non posso dire di avere solo bei ricordi; il nostro lavoro è complesso e la maggior parte delle volte ci confrontiamo con il dramma, la morte”. A controbilanciare questa densità infausta c’è senza dubbio la gratitudine delle vittime o dei loro famigliari. “Basta un grazie e comprendo di aver fatto qualcosa di buono anche se non sono riuscita ad arrestare l’autore del crimine”.

Coraggiosa, o quasi

Si direbbe che la dottoressa in scienze forensi non abbia paura di nulla, sia tenace, sicura di sé, ma… “Forse fa un po’ ridere, ma confesso di aver paura dei fantasmi. Era il primo caso che seguivo in Ticino, dovevo fissare la scena del crimine fotografando la vittima priva di vita riversa al suolo. Ho scattato la foto e ho visto i suoi occhi aprirsi improvvisamente – o forse, avrò sempre il dubbio, magari è stata la mia immaginazione a giocarmi strani scherzi”.

 

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