Phnom Penh, fra motorini e ciabatte

La capitale della Cambogia ha più di 2 milioni di abitanti, ma meno di 100 semafori. Qui la giungla urbana s’intreccia con quella reale

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Lasciamo Rue Pasteur e ci infiliamo nel vicolo del nostro albergo: ora Phnom Penh non sembra una città, ma piuttosto una grotta o un frammento di foresta. Camminiamo nel buio attenti a schivare voragini e pozzanghere. Mucchi di pipistrelli piovono dai rami di alberi giganti. E colonie di rospi, con suoni gutturali, scandiscono le ore nei giardini sommersi. 
Non venivo da queste parti da quasi 15 anni. Guidando dall’aeroporto oggi senti l’energia cruda del cemento e dei soldi cinesi; dappertutto cantieri e scheletri d’acciaio. Ma le ville coloniali se ne stanno ancora lì, disfacendosi al rallentatore, e di notte si passeggia in posti poco illuminati, nell’aria l’odore di frutta marcia e alberi di mango. L’ultima volta, quindici anni fa, ero arrivato su un motoscafo per turisti, e mi allontanavo sempre con una certa apprensione dal grande boulevard che costeggia il fiume. 
La Cambogia non era più un posto perduto e del tutto senza legge. Davanti alle acque marroni e ostili del Tonle Sap, decine di ristoranti, metà dei quali chiamati «Indochine», facevano affari d’oro con gli espatriati in ciabatte e camicie floreali. Ma l’ombra lunga di Pol Pot non ti lasciava mai. Eri perennemente rincorso da mendicanti mutilati e i bambini coperti di fuliggine ti circondavano in un attimo per venderti dvd sul genocidio. Bevendo kir royale facevi il sentimentale al tramonto nei ristoranti francesi; poi, con l’oscurità, la città diventava sinistra. Trauma e anarchia erano dietro l’angolo. 

Anarchia
E stasera, mentre cerco di restare in sella a un moto-taxi, penso che di quegli anni rimane come minimo l’anarchia. Ci siamo buttati dentro un torrente di motorini. Oggi Phnom Penh ha più di 2 milioni di abitanti e meno di 100 semafori. Prima di contrattare il prezzo, ho mostrato al giovane pilota il tragitto su Google Maps; per poi accorgermi che per questo ragazzo dai lineamenti delicati le indicazioni stradali e i sensi di marcia non sono nient’altro che benevoli suggerimenti. Con aplomb buddista infila contromano una strada dopo l’altra. 
Quello che più mi sconvolge delle sue manovre è l’intima certezza che gli altri veicoli si faranno da parte. Cosa che ogni volta accade: dolcemente, si apre un varco. Il traffico procede calmo, senza attriti, governato da chirurgico fatalismo. E così Bruce Lee (qui tutti gli autisti hanno un soprannome) mi scarica incolume a destinazione. 

Un texano in città
Nel ristorante splendidamente deserto socializzo con Anthony, cinquantenne texano di Houston; vive in Cambogia da cinque anni, e mi tranquillizza: «La sera qui non c’è nessuno, ma durante il giorno è pieno». Indica le torri di vetro del quartiere degli uffici: «Vengono per la pausa pranzo». 
Siamo al terzo piano di una palazzina anni 60 di cemento, sotto di noi una farmacia, ma i proprietari di LaBaab hanno arredato il locale come una casa tradizionale dell’Ottocento, tutta pannelli di vetro scuro ed elaborate incisioni. Stipata di impiegati in giacca e cravatta sarebbe pacchiana, vuota ha un che di vagamente clandestino e pericoloso. Alle pareti sono appesi fucili, trappole per pesci, gabbie e reti. Il cibo si ispira chiaramente a un viaggio lungo il Mekong. Anthony, abbronzato e asciutto come un ventenne, suggerisce di partire dalle specialità del Vietnam. Arrivano uova di quaglia fritte con pesce macinato alla maniera di Saigon, poi involtini di carne di maiale con zenzero e vongole al vapore. Una zuppa khmer calda e pungente ci fa lacrimare gli occhi.
Vorrei provare l’Amok, il pesce d’acqua dolce cucinato in foglie di palma e latte di cocco; è il piatto più comune della cucina cambogiana, amato dai principianti e detestato dai veterani. Anthony me lo lascia ordinare e scherza: «Da buon cambogiano, pratico ogni giorno la tolleranza». A Phnom Penh dice di essere arrivato seguendo la scena musicale. Ha aperto un negozio di vinili, Space Four Zero, che poi è diventato una galleria d’arte e un bar. 

Se ami l’afa…
La Cambogia degli anni Sessanta produceva il rock più innovativo di tutta l’Asia; Phnom Penh era una capitale vivace; tutto spazzato via nel 1975 dai ragazzi soldato di Pol Pot. Oggi c’è solo formalmente una democrazia: Hun Sen, in carica dal 1985, ha smantellato il partito d’opposizione e vuole governare per altri dieci anni. Chiedo ad Anthony se valga la pena restare: «Credo di sì… se ami le grandi piogge e l’afa. È un Paese giovane, c’è energia. Phnom Penh ti soddisfa in modi misteriosi: la adoro al tramonto, cammino da solo, mi fermo nei ristoranti a mangiare». Beviamo altra grappa cinese in silenzio. Anthony chiude gli occhi. «Che ti devo dire, ancora per un po’ non voglio tornare a casa».

LA STORIA RACCONTA
Nel Natale del 1978 i vietnamiti conquistarono Phnom Penh e cacciarono nelle foreste il feroce dittatore Pol Pot. Nacque così la Repubblica Popolare di Kampuchea, Stato-satellite vietnamita. Nel 1991 la città torna capitale della Cambogia indipendente.

SETTE DRITTE – COSA FARE & VEDERE
Bassac Lane 
Nel quartiere residenziale di Tonle Bassac, una stradina di piccoli bar e ristoranti. Il più insolito è Hangar 44, un antro cavernoso che fonde cocktail bar e officina di motociclette. Alla fine della strada, ecco i dumpling di Mama Wong’s.

Toul Tom Poung
Dopo gli  acquisti potrete rilassarvi sulla terrazza del Sundown Social Club, un locale che serve cocktail e cibo di ispirazione caraibica. È perfetto al tramonto per la vista sul mercato sottostante. 

Palazzo Reale
Questa pagoda con il tetto spiovente riccamente decorato è la residenza ufficiale del re. I visitatori possono passeggiare attraverso giardini curati, templi, biblioteche e gallerie.

Museo Nazionale
Situato vicino al Palazzo Reale, il Museo Nazionale della Cambogia custodisce e testimonia la raffinatezza dei grandi regni khmer. Tra le sculture in mostra, il Re Lebbroso.

Isola della seta
Koh Dach si trova in mezzo al fiume Mekong, a circa un’ora di viaggio da Phnom Penh. Sull’isola gli artigiani filano la seta con vecchi telai. 

In barca al tramonto 
Iniziare la serata con una gita lungo i fiumi Mekong o Tonle Sap al tramonto. Molte le opzioni: le migliori, per cibo e intrattenimento musicale, sono Tara Boats e Kanika.

Architettura modernista
In Cambogia negli anni Cinquanta e Sessanta c’è stato un notevole risveglio culturale. Sono stati costruiti edifici ispirati al modernismo e con elementi tradizionali khmer. Da vedere il Phnom Penh Foreign Languages Institute.

 

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