Ricordando Claudio Taddei
Il 9 agosto è morto il noto cantautore, musicista e artista. Ma Claudio era soprattutto un uomo umile, sensibile e dalla grande generosità
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
E come in un sogno, chiudo gli occhi e sono lì, una sera di novembre del 2012, mi sentivo un po’ disorientata, da poche ore rientrata da un viaggio nel «mio» querido Messico. Non avevo molta voglia di uscire ma quando Tania mi disse «ho un biglietto in più per il concerto di Claudio Taddei all’Auditorium della RSI», non me lo feci scappare. Fu incredibile ascoltarlo dal vivo, tutti i miei sensi vennero rapiti da quella strana sensazione di essere nel presente e vivere quello che c’era e basta… o, come cantava lui «ahora es ahora y no voy a dejar que la mente se ocupe de atar el presente».
Questo era Claudio, un artista poliedrico che amava la ricerca, in primis come essere umano e di riflesso nell’arte che maneggiava. Arte che gli ha sempre donato linfa vitale, ma soprattutto scoperte e la voglia di mettersi continuamente in discussione.
Genio ed empatia
Gli anni passarono e il destino – ma soprattutto un nostro prezioso amico in comune – ci mise in contatto. Ricordo come fosse oggi quando mi telefonò; all’inizio non capii perché mi avesse chiamato, era in imbarazzo e ci mise un attimo per finalmente chiedermi se mi andava di collaborare con lui. Ero così onorata e felice della sua proposta che non esitai un momento.
Claudio era generoso, entusiasta, presente, empatico (quasi telepatico), imprevedibile. A proposito della sua imprevedibilità mi ha dato tanto filo da torcere misurandosi con la mia «svizzeritudine» in cui tutto ha un senso, una direzione e un tempo. Spesso mi faceva iniziare un lavoro, che fosse la stesura di un comunicato stampa, l’organizzazione di un evento… tutto doveva essere fatto in tempi brevi. E che fai? Non lo accontenti ? Le volte che ho speso ore e ore per poi sentirmi dire candidamente: «Sai Natascia che ho cambiato idea?». Ammetto che in quei momenti mi destabilizzava, ma tutto evaporava immediatamente grazie al suo semplice modo di essere, così autentico e meravigliosamente magico. Un sorso di mate e tutto passava e si era pronti per sognare, pensare a nuovi progetti, parlare del senso della vita, di energia (intesa come prana), dell’ultimo libro letto, di musica ovviamente e di mundo latino.
Gli occhi che ridono
Claudio era di un’umiltà e di una spontaneità disarmanti. Quando sorrideva i suoi occhi ridevano, autentico e sempre con la battuta pronta tra una palabra in español, una in italiano e qui e là delle pennellate in dialetto ticinès.
L’anno scorso eravamo in Uruguay, era in corso una sua mostra a Montevideo e da lì a pochi giorni un concerto open air in riva al mare con molti artisti locali. Un’emozione vederlo sul palco e sentire quanto il pubblico pulsava nel suo battito: c’erano almeno tre generazioni che cantavano e ballavano le sue canzoni e che vibravano con lui in un’unica dimensione senza spazio e senza tempo. E in questa assenza di tempo e di spazio lo voglio ricordare tra le sue infinite «cositas buenas» in cui cantava «que màs puedo pedir, si a mi la vida, me deja jugar de nuevo»…cosa posso chiedere di più se la vita mi lascia giocare di nuovo.
Sento di poter dire che Claudio non si è mai identificato con la malattia e ha sempre avuto quell’intrinseca scintilla che l’ha fatto stare tra di noi per conoscere e conoscersi. La sua è stata una storia a cavallo tra più mondi intrecciati insieme: Uruguay, Ticino e quel luogo in cui il senso della vita è racchiuso in un suo mantra che porterò sempre con me e che tra queste righe libero ovunque: «El presente es eterno».
Buen viaje Claudio, conserva tu luz sin perder el color de tu alma.