È la fine della cultura?
Sapere e spirito critico restano gli unici strumenti per comprendere la realtà senza farsi manipolare
Di Fabiana Testori
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Dal film ‘An Education’ (2009) di Lone Scherfig
Nell’ormai lontano 2009, sceneggiato dallo scrittore Nick Hornby (autore del celebre romanzo Alta fedeltà), è apparso al cinema An Education, pellicola che narra le vicende della giovane e diligente studentessa Jenny, il cui obiettivo è proseguire gli studi all’Università di Oxford. Sul suo cammino la ragazza incontra l’affascinante David, di quindici anni più vecchio di lei, che la introduce a una vita movimentata ed eccitante, fatta di feste, viaggi e regali. Jenny, conquistata da queste nuove esperienze, decide di abbandonare gli studi e di accettare la proposta di matrimonio di David, nonostante il parere contrario di genitori e professori. Prima delle nozze, la giovane scopre che David mente; è già sposato con un’altra donna, da cui ha avuto un figlio, e non è in grado di sostenere il ritmo di vita a cui ambisce. Amareggiata e delusa, Jenny tenta di convincere la scuola a riammetterla per ripetere l’anno, ma senza successo. In seguito, grazie all’aiuto di una professoressa a lei molto legata, la ragazza riesce a terminare gli studi e quindi a candidarsi finalmente all’università. Benché An Education sia certamente un lungometraggio piacevole e ben girato (ha ottenuto tre candidature agli Oscar 2010), l’aspetto più interessante risiede nella storia e nel messaggio: l’istruzione e la cultura come salvezza, come lasciapassare per la libertà di scelta.
È davvero così?
Nelle società occidentali in cui viviamo, la cultura è ancora considerata un valore? A giudicare dai dati, sembra di no. Nella sola Svizzera italiana, nel 2016, gli analfabeti di ritorno o funzionali erano stimati a più di 40mila. Si tratta di persone scolarizzate nel Paese, ma che, una volta terminato il proprio percorso di studio, stentano a comprendere testi semplici e a redigere frasi complete e complesse, perdendo, allo stesso tempo, la capacità di sviluppare un pensiero critico. A livello nazionale, i dati a disposizione si riferiscono ancora oggi all’indagine comparativa internazionale sulle competenze degli adulti nel campo della lettura, della matematica d’uso quotidiano, della capacità di risoluzione di problemi e del rapporto con le nuove tecnologie (Adult Literacy and Lifeskills Survey), svolta nel 2003 e pubblicata nel 2006, dalla quale emergeva (in modo inquietante) che 800mila persone in Svizzera fra i 16 e i 65 anni erano colpite da illetteratismo, cioè “la carenza di quelle competenze di base di cui ogni persona dovrebbe disporre per potersi orientare in molteplici e complesse situazioni private e professionali nella società in cui vive e rispondere alle esigenze richieste in quanto cittadino e cittadina”. C’è da credere che negli anni la situazione non sia migliorata e le cause possono essere multiple ed eterogenee:
- La cultura è stata sacrificata al mercato e alle sue logiche?
Se ne discuteva sul giornale britannico The Guardian qualche anno fa riferendosi al valore intellettuale e formativo di una laurea, ormai, a detta di molti, ridotta a un prodotto da supermercato e non più orientata alla conoscenza, ma a soddisfare i bisogni delle grandi società e delle istituzioni più influenti. Competenze ad hoc, formazioni specifiche e limitate a un certo tipo di richiesta economica. È quindi inevitabile che l’orizzonte culturale degli studenti si riduca.
- L’avvento e la diffusione esponenziale delle nuove tecnologie e dei social ci ha reso più pigri, più stupidi e più smemorati?
Quando lo scrittore e giornalista americano William Poundstone stava lavorando al suo libro Head in the Cloud: Why Knowing Things Still Matters When Facts Are So Easy to Look Up (2016), ha realizzato alcuni sondaggi sia negli Stati Uniti, sia in Gran Bretagna, ponendo domande di cultura generale a diversi campioni di persone. Più del 50% degli intervistati sotto i 30 anni non sapeva nominare il più grande oceano del mondo, quale fosse la reggia costruita per volontà di Luigi XIV, il nome del primo satellite artificiale mandato in orbita nello spazio, l’inventore della radio oppure del telegrafo. Come è possibile? A detta di Poundstone si tratta di conoscenze che rinunciamo ad assimilare e memorizzare perché ci affidiamo completamente alla rete. Google risponde. Internet ha assunto la stessa funzione di un consulto specialistico. Grazie alle enormi possibilità del web, abbiamo deciso di rifugiarci in quella che l’economista statunitense Anthony Downs, già negli anni Cinquanta, definiva “l’ignoranza razionale”, cioè delegare ad altri – e nel nostro caso alla rete – quello che non sappiamo o non sappiamo più. Nonostante tutti i vantaggi offerti da internet, il web porta con sé anche moltissime trappole, notizie false, cattiva informazione, manipolazione. Nelle sue ricerche lo stesso Poundstone ha osservato una correlazione molto forte fra chi non era in grado di rispondere alle sue domande e la presa di posizioni estreme. Infatti, il campione convinto che gli uomini avessero condiviso il mondo con i dinosauri si era dimostrato più propenso a non far vaccinare i propri figli. Riferendosi solo a quanto letto su internet le stesse persone intervistate erano totalmente incapaci di distinguere la validità di un testo scientifico da consigli pseudo-scientifici basati su teorie del complotto.
- Leggiamo, ma non abbastanza e privilegiamo la facilità?
Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2019, l’83% della popolazione svizzera di 15 anni o più ha letto almeno un libro all’anno (1!) e quasi il 30% più di un libro al mese. In testa alle preferenze, dato poco confortante, ci sono guide e manuali di cucina, decorazione, fai da te, giardinaggio, viaggi e turismo. Romanzi, classici e saggi si collocano in posizioni inferiori. In Europa, la Svizzera, si allinea ai dati danesi (82%), superata dalla Svezia, in testa con il 90% e dai Paesi Bassi (86%). Seguono quindi il Regno Unito (80%) e la Germania (79%). Agli ultimi posti si trova il Sud del Continente, Italia, Romania, Grecia e Portogallo.
Una democrazia “coi buchi”
In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da nuovi estremismi e vecchi fanatismi, dove soffiano venti bellicisti e durante i quali la natura si ribella con sempre maggiore frequenza alla fittizia e arrogante sete d’onnipotenza dell’uomo (alcuni la vedono così, non so voi), per mezzo di pandemie, catastrofi naturali e sregolamento climatico, sarebbe prudente non allontanarsi troppo dalla cultura, dal sapere, dallo sviluppo del pensiero critico, poiché essi rappresentano le nostre uniche armi al fine di restare liberi e lucidi. Lucidi nell’identificare la dissimulazione e l’ignoranza dei governanti, liberi dalle scelte imposte dal mercato e dai suoi “influencer”, liberi di cambiare canale, di non seguire i consigli di lettura “in classifica”, di avere un’opinione diversa fondata su dati e fatti concreti, di dire no, ma con criterio, perché, ricordiamocelo, gli episodi più tristi di cui la nostra storia recente e non è stata testimone hanno tutti avuto inizio da una massa indistinta, inconsapevole, paurosa, frustrata e soprattutto influenzabile. A questo proposito resta di grande rilevanza l’opera autobiografica del maggiore esponente della letteratura mitteleuropea, lo scrittore austriaco Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo (1942). L’impoverimento culturale rende porosa la democrazia, i cui cittadini diventano ostaggio perché oramai privi di strumenti per definire, comprendere e criticare la realtà che li circonda. Forse dovremmo tenerne conto.
Stefan Zweig (1881-1942)