Di vittime e di carnefici: né pro né contro il lupo

Le testimonianze, il vortice della burocrazia e la dura vita di chi, giorno dopo giorno, prova a perpetuare il mestiere di allevatore di bestiame minuto

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, inserto allegato a laRegione

Quando portiamo i nostri figli a vedere gli agnellini e i capretti che corrono nei prati, proviamo gioia. Ma gli allevatori stanno vivendo situazioni difficilissime da sostenere: molte aziende di bestiame minuto (capre e pecore) stanno chiudendo e questo significa la morte dell’agricoltura di montagna: tutta una cultura che va a sparire.
Sono andata a trovarne alcuni, in stalla, a casa, all’alpe. Una di loro sta finendo la richiesta di contributi federali per assumere un pastore d’autunno: ha ricevuto soltanto ieri il permesso di lavoro per la persona che vuole assumere, e la richiesta deve essere inoltrata entro domani. Un altro sta mettendo una tettoia sopra il recinto delle sue capre che sono sui monti, in un pascolo intermedio, tra l’alpe estivo e il rifugio invernale. La terza sta cucinando per la sua tribù, come chiama lei il marito e i figli che partecipano all’azienda di famiglia.
Gente contenta del proprio lavoro, persone che hanno scelto questo mestiere, che mi dicono: “Voi la vedete come una vita di sacrifici, ma noi la troviamo bella. Lavoriamo tutti i giorni, è vero, ma siamo indipendenti e riusciamo sempre a ritagliarci un piccolo momento di libertà, per noi stessi. Questa vita ci insegna che ciò a cui rinunciamo (vacanze, weekend, lauti stipendi) è superfluo, che basta poco per essere felici. Ultimamente, però, quello spazio di libertà che rende il nostro lavoro così speciale e che ripaga di tutte le fatiche, sta venendo meno. Negli ultimi anni siamo sovraccaricati di attività che non hanno più nulla a che vedere con il nostro mestiere: un po’ di burocrazia in più, qualche regolamento supplementare, i progetti di compensazione ecologica, la ricerca di soluzioni per proteggere le greggi dal lupo… Tutto questo va ad aggiungersi a giornate già molto impegnative. E diventa troppo. Sentiamo che le energie non sono sufficienti. Il momento dell’alpe, quel distacco dalla routine che ci godiamo d’estate, all’aria aperta, con gli animali liberi e sereni, senza il lavoro in stalla, è sempre stato una rigenerazione necessaria. Adesso però non è più un piacere, ma un’ansia. Si sta sgretolando quell’equilibrio che teneva assieme le nostre vite”.
Qualcuno di loro mi dice che un tempo si sperava che i figli ereditassero la passione e portassero avanti l’azienda; adesso non sanno più. Magari è meglio che prendano un’altra strada.


© S. Rossi Guidicelli
Due bambine si prendono cura di un piccolo capretto a Ponto Valentino.


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Burocrazia

Immaginate di aver scelto una vita lontana da scrivanie e computer. Immaginate di non avere vent’anni, ma cinquanta o sessanta. E che piano piano, negli ultimi anni vi sia chiesto sempre di più di scaricare formulari, riempire database in cui bisogna registrare ogni cambiamento che riguarda il bestiame, stampare fogli, compilarli, spedirli. E immaginate che ogni volta che sbagliate vi arriva un ammonimento se non una multa… “È come essere a scuola, bacchettati. Ci facciamo aiutare dai figli o dai nipoti, oppure c’è chi paga un segretario o una contabile per farsi aiutare. Qualcuno ce la fa da solo, ma c’è anche chi rischia di chiudere perché non ce la fa”, dice Patrizio (nome di fantasia; la vera identità è nota alla redazione, ndr), allevatore di pecore. Molte regole variano negli anni: quanti giorni può stare all’alpe un gregge, quando si può tagliare il fieno, quanto spazio deve avere ogni animale. Non sempre c’è la flessibilità di adeguare la norma al clima, alla situazione del momento, non sempre insomma si può far capo al buonsenso.
Flavia Anastasia, della Fattoria dal Piz di Claro, prima di diventare capraia ha lavorato in ufficio. “In media, passo un’ora al giorno al computer; il mio compagno non sarebbe in grado di gestire un’azienda da solo, e unicamente per questo motivo. Eppure capisco che la tracciabilità del prodotto, della carne e del formaggio sono importanti; anche per una questione di sicurezza e norme sanitarie bisogna informare di ogni nascita, morte, vendita, macellazione, spostamento all’alpe eccetera di ogni singolo animale, ma questo implica molto lavoro di burocrazia. E non è solo per il bestiame, ma anche le superfici agricole che possediamo, le norme della stalla, e così via. È faticoso”.


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Flavia Anastasia, della Fattoria dal Piz di Claro

Lupo

Il lupo esiste, è arrivato, e difficilmente è pensabile che si possano abbattere tutti i lupi del mondo. Chi fa questo discorso tra gli agricoltori alcune volte si fa tacciare di “persona favorevole ai grandi predatori”, ma i miei interlocutori tengono a precisare che favorevoli non sono. Fanno semplicemente un esame di realtà: il lupo c’è e il loro dovere è dunque quello di proteggere il proprio bestiame. Ogni soluzione, oltre che essere imparziale, implica anche parecchie complicazioni. Ci sono individui di passaggio e branchi che si stabiliscono; ora la Confederazione ha deciso di ridurre i branchi a 11 su tutto il territorio nazionale, ma anche così gli agricoltori di montagna dovranno fare i conti con questa presenza sia d’estate sia d’autunno.
In una lettera al Consiglio di Stato della fine di luglio 2023, Flavia Anastasia aveva fatto notare:
“Leggo che secondo voi ‘le capre degli alpeggi di Montoia, Duragno e Cedullo non corrono alcun pericolo perché gli animali sono custoditi in recinti notturni e seguiti dal pastore di giorno’.
È così, ma con quali conseguenze?
Lo sapete per esempio che non potendo più pascolare la sera o di notte alle capre manca una certa quantità di alimento e che questo si ripercuote sul loro stato fisico e di conseguenza sulla produzione di latte?
Che le capre non possono essere lasciate in un recinto senza un riparo in quanto non sopportano di stare sotto la pioggia? E che di conseguenza il recinto notturno deve essere adiacente a una stalla o a un riparo?
Che le capre sono animali puliti che odiano sdraiarsi nelle loro deiezioni? E che questo causa problemi sanitari come aumento di zoppie e verminosi?
Che le capre nel recinto notturno – che non è a volte possibile pulire o che è difficile da tenere pulito e in ogni caso privo di strame
(visto che siamo in alpeggio) – al mattino sono molto sporche e che la pulizia delle mammelle prima della mungitura comporta lavoro in più per noi e peggiora la qualità del latte con conseguenze negative alla produzione di formaggio?
(…)
Mi chiedo perché nell’azienda di base il Cantone si assicura che il benessere animale venga scrupolosamente rispettato mentre invece sugli alpeggi protetti dal lupo si possono peggiorare le condizioni di vita delle capre in favore di un predatore che arreca sofferenza a queste ultime?”.
Fare un recinto per capre all’alpe è una parola. Le raccomandazioni federali in merito dicono che bisogna trovare un vasto terreno pianeggiante di modo che si possa spostare il recinto ogni 3-4 giorni per avere sempre erba pulita per gli animali (evidentemente dimenticando che il Ticino non è un altopiano). Inoltre la brochure con le indicazioni per il recinto dice che “le pecore” possono essere lasciate libere alle 6 del mattino, poi pausa nel recinto al pomeriggio e fino a mezzanotte possono stare di nuovo libere. E chi ha le capre, quando le munge? A mezzogiorno e a mezzanotte? E poi quando dorme?


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Predazioni

Una questione molto sentita è quella della ricerca del bestiame disperso, ferito o deceduto, dopo un attacco del lupo. Mi portano un esempio recente, uno tra tanti, in cui Regula Flachsmann, allevatrice di pecore, ha subito una predazione sui Monti di Sciaga. Lei mi racconta: “Una mattina ho ritrovato alcune pecore ferite e due sgozzate, ho chiamato il guardiacaccia che ha constatato l’attacco di un lupo. Subito sono partita alla ricerca delle altre pecore disperse, insieme alla mia famiglia e ad alcuni amici”. Quel territorio, che si estende più o meno tra il Monte Tamaro e il Monte Lema, è vastissimo. Gli animali che fuggono impauriti si vanno a cacciare in fondo alle valli, nei letti dei fiumi, giù per i dirupi: in luoghi dove sarebbe anche pericoloso addentrarsi. Per un mese e mezzo Regula si è ritagliata qualche ora per setacciare tutto il terreno in cui è riuscita ad andare. Ha ritrovate altre 10 carcasse del suo gregge, ma per la legge era ormai troppo tardi per essere conteggiate come vittime del lupo. Le altre pecore scomparse e mai ritrovate non sono state ripagate.
Un’altra agricoltrice commenta: “Per noi sarebbe importante avere più supporti nella ricerca degli animali. Prima di tutto potremmo trovarne qualcuno ancora vivo, secondo è una gran fatica correre in giro a cercare le bestie andate chissà dove,
con tutto il lavoro che dobbiamo fare ogni giorno. E poi ci sembra evidente che se sono partite al momento di una predazione, sono scappate dal lupo, vive o morte che siano”.
E propone: “Non si potrebbe istituire un gruppo di soccorso che parte all’istante e aiuta a cercare gli animali dispersi in un territorio tanto vasto quanto le nostre montagne? Magari si potrebbero ritrovare vivi e capire davvero quando e quanto ci sia presenza del lupo. Ci vorrebbe una persona esperta a livello cantonale che sappia prevedere le modalità di attacco del lupo, che sappia come si comporta, che ci informi e faccia prevenzione, e che aiuti a capire come svolgere le ricerche”. Bisogna sviluppare una cultura del lupo, insomma.
Patrizio però non è convinto: “Sarebbe tutta burocrazia in più, e da quello che ho visto di regole sul comportamento del lupo non ce ne sono… È un cacciatore, è furbo e si adegua”. Secondo lui, se c’è il lupo, difficilmente possono convivere gli agricoltori di montagna. “Datemi la possibilità di difendere il mio gregge col fucile”, propone lui. Alcuni agricoltori hanno l’impressione che non sempre partano gli avvisi dall’Ufficio Caccia e Pesca dopo che si sia avvistato il lupo: “A volte veniamo a sapere a posteriori che i guardiacaccia avevano visto un esemplare di passaggio in una certa zona in una certa data, ma noi non siamo stati informati. Perché?”.


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Vago pascolo

Questa è una storia tutta ticinese. Dopo l’estate all’alpe, la transumanza qua da noi prevede una tappa intermedia, detta “vago pascolo”. Gli animali mangiano erba nutriente, arbusti, castagne, preparandosi all’inverno, alla gravidanza e tenendo pulito il territorio. Intanto i contadini risparmiano fieno per quando torneranno in stalla e sanno che le bestie rimangono all’aria aperta, per conto loro, e vanno a trovarle regolarmente. Questo, prima del ritorno del lupo.
Qui si apre un capitolo delicato, perché nella strategia nazionale per la protezione dai grandi predatori il vago pascolo non è contemplato. Oltre ai recinti, ai collari di feromoni fatti per tenere alla larga il lupo e ai cani di protezione, c’è un’altra soluzione prevista: il pastore autunnale, che sta con gli animali dalla fine di settembre, quando gli alpigiani devono tornare in piano, fino a dicembre o gennaio. Mi racconta un’agricoltrice che chiameremo Tamara (preferisce rimanere anonima): “Noi abbiamo assunto un pastore e abbiamo fatto richiesta per ottenere i contributi, ma abbiamo dovuto pagarlo in anticipo, altrimenti non avremmo ricevuto nulla.
Sappiamo però che molti pastori dopo qualche settimana cambiano idea, oppure se una persona non è onesta potrebbe scappare con i soldi. Perché non possiamo mostrare di avergli fatto un contratto?”. Misteri della burocrazia. E continua: “Il vago pascolo non sarebbe neanche considerato zona in cui si possono ricevere i contributi per un pastore autunnale, secondo la Confederazione. Questa tappa intermedia in Svizzera interna non esiste, dopo l’alpeggio si torna subito in stalla, e non capisco perché i nostri politici non siano in grado di far capire che da noi è fondamentale. Siamo in una situazione di semi-illegalità… che andrebbe messa a posto”.


© Ticino7/gc
Messaggi (nemmeno troppo velati) nelle vicinanze di un’azienda agricola in Riviera.

Abbiamo l’impressione di essere sacrificabili

Spesso sento questa amara constatazione negli allevatori di capre o pecore: le leggi sono più favorevoli al bosco, ai cacciatori, a chi ha le mucche, mentre tutte le peculiarità del bestiame minuto non sono prese in considerazione. Come se fosse troppo pensare anche a loro. Come se non ne valesse la pena. “Ci fanno mobbing: nessuno ci dice di andarcene, ma le condizioni di lavoro sono ormai insostenibili”. Questo significherebbe rinunciare a un mestiere antico, a prodotti di qualità come formaggi e formaggini che ci stanno a cuore (e a pancia) e anche a una certa cura del paesaggio. Cosa succederebbe se tutti loro dovessero piano piano abbandonare il mestiere dell’allevatore di bestiame minuto che va all’alpe? Cosa succederebbe al paesaggio dei nostri monti? E tutta la fauna legata ai pascoli montani? Andrebbe a scomparire. Fagiani, rondini, aquile, gheppi, insetti, miriadi di fiori diversi… Flavia scuote la testa: “Tanta biodiversità persa a favore di una sola specie: il lupo”.


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Flavia Anastasia, della Fattoria dal Piz di Claro.

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