L’archeologia svizzera in Sudan

Nel paese martoriato da violenze e soprusi, la Svizzera è presente con un progetto di rilevanza mondiale. Ne abbiamo parlato col prof. Antonio Loprieno

Di Marco Horat

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Giornalmente giungono drammatici aggiornamenti su quanto sta succedendo in Sudan, uno dei molti teatri di guerra (ai quali non dovremmo comunque mai abituarci). Non tutti sanno che nel paese africano opera una missione archeologica svizzera, avviata dall’Università di Ginevra diversi decenni or sono sul sito di Kerma, nell’antica Nubia, vasta regione a cavallo tra Egitto e Sudan…

Nell’ottobre del 1994 l’archeologo Charles Bonnet era venuto a Lugano, su invito dell’Associazione archeologica ticinese, per parlare, appunto, di quell’ambizioso progetto, del quale era il promotore e l’anima; ne scrisse anche un resoconto sul Bollettino annuale dell’associazione. Da allora i lavori sono continuati senza sosta, da vent’anni sotto la direzione di Matthieu Honegger dell’Università di Neuchâtel che ne ha ampliato il concetto, con il sostegno del Fondo nazionale per
la ricerca scientifica e sotto il cappello della Fondazione Kerma presieduta dal professor Antonio Loprieno che insegna Egittologia all’Università di Basilea.
Ecco in sintesi cosa mi ha raccontato il professor Loprieno del lavoro a Kerma, alla luce di quanto sta succedendo nel paese da settimane: “Quando si parla di tragedie che colpiscono un paese, l’archeologia passa naturalmente in secondo piano. È chiaro che in questa situazione ogni attività archeologica è stata sospesa; colleghi tedeschi sono appena stati rimpatriati, mentre i nostri sono stati a Kerma fino al mese di gennaio di quest’anno, poiché le campagne di lavoro sul terreno si svolgono nei mesi invernali a partire da novembre”.


Il professor Antonio Loprieno, docente di Egittologia all’Università di Basilea.

Per la difesa della storia e della memoria

Per loro dunque nessun problema immediato. Dopo anni di ricerche sul terreno che hanno messo in luce monumenti importanti come un presunto Palazzo reale con annessi vari, compresa una sala adibita alle udienze dei regnanti, i vostri obiettivi scientifici quali sono? “La nostra attività è volta al coinvolgimento in prima persona della comunità scientifica (università, docenti, studenti, ricercatori) e civile sudanese, non solo per lo scavo vero e proprio, ma soprattutto nel lavoro di valorizzazione e messa a disposizione del pubblico delle testimonianze della loro cultura. Si tratta di arrivare a un’educazione all’archeologia, a una presa di coscienza delle proprie radici, fornendo gli strumenti necessari per affrontare
il futuro”, ci confida ancora il professor Loprieno.
Un compito difficile ma importante in un paese che, come purtroppo vediamo, è dilaniato da una sorta di guerra civile combattuta tra gruppi con origini e interessi diversi: “Il paese è sempre stato dipendente dall’Egitto per ragioni storiche
e culturali, dall’antichità fino al secolo scorso; d’altra parte non è stato toccato dall’occidentalizzazione culturale che ha influenzato invece l’Egitto moderno. Ha una storia originale. Si tratta di far scoprire le radici di un paese a cavallo tra Africa centrale, mondo arabo (ben presente nella regione) e il mondo mediterraneo legato all’Egitto. Il Sudan è insomma un crocevia globale, malgrado la separazione consensuale avvenuta qualche anno fa dal Sudan del sud, la parte meno islamizzata del paese”.
E come vede Antonio Loprieno il futuro della ‘Missione Kerma’, una missione che ricordo opera in collaborazione con altre; in particolare con quella franco-elvetica della quale fa parte anche il collega Charles Bonnet. Quali prospettive vede? “Davanti a noi ci sono due scenari. Lo scopo primario è dare la possibilità alla popolazione locale di gestirsi la propria archeologia, lo dicevo prima, per esempio con la creazione di un Museo a Kerma, come hanno iniziato a fare Charles Bonnet e adesso Matthieu Honegger. La fondazione di un museo locale stabile, nel quale la gente possa incontrarsi e riconoscersi è fondamentale. Il secondo scenario che mi auguro di poter vedere, anche se non sono molto ottimista, è che il paese possa tornare presto alla normalità e così continuare il nostro lavoro laggiù a favore della popolazione locale”.


I “Faraoni neri”, già esposti in passato in un mostra in Svizzera romanda.

I ‘Faraoni neri’

Kerma divenne la capitale di un vasto territorio a monte della Terza cateratta sul Nilo ai confini con la terra dei faraoni, del quale si ha notizia fin dal III millennio a.C. Su decine di ettari sono sparse opere murarie di difesa, resti ampi di edifici civili e religiosi decorati con pitture nonché migliaia di tombe con ricchi corredi, a testimonianza della presenza continuata di una città importante, capitale di un regno che forniva al faraone oro, avorio, ebano e animali selvatici impiegati nelle cacce reali: testimonianze di una cultura dai tratti originali, fino ad allora poco conosciuta dagli archeologi, e che faceva da ponte tra il Mediterraneo e il mondo africano. A proposito dell’oro degli Egizi, come non ricordare le missioni dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, scopritori dell’antica Berenice Pancrisia, città dalla quale partiva il prezioso metallo alla volta della corte faraonica.
Ma dalla Nubia vennero anche i faraoni del Nuovo Regno, XXV Dinastia (747-656 a.C.), che presero il potere, tentarono senza fortuna l’unificazione dell’intero Egitto e lottarono contro gli Assiri. Qualche anno fa al Laténium di Hauterive, presso Neuchâtel, si è tenuta una grande mostra dedicata appunto a questi famosi ‘Faraoni neri’, con le riproduzioni delle grandi statue che rappresentavano i sovrani nubiani, accompagnate dai tesori emersi dagli scavi soprattutto delle necropoli – gioielli, suppellettili, armi, ceramiche, statuine -, provenienti dal Museo di Karthum (che si spera non venga danneggiato dai combattimenti in corso). Un’iniziativa frutto della collaborazione tra le autorità sudanesi di allora e le istituzioni culturali della Svizzera. Speriamo che questa intesa possa continuare anche in futuro, una volta dissipate le nubi di guerra che ricoprono ora il Sudan.


La copertina di un rapporto apparso nel 2019.


Il team svizzero che lavorava a Kerma (2017-2018) in compagnia di alcuni collaboratori locali.

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