Nina, Manuel e il cibo. Ma quello vivo-vivo

“Noi creiamo un ambiente idoneo per la formazione di qualcosa, facciamo funzionare una comunità in miniatura dentro i nostri vasi”

Di Chiara Camponovo

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Nel 2019 hanno lasciato tutto per un lungo viaggio in Asia. Poi la pandemia, il ritorno forzato e la ricerca di una nuova partenza. Da dove? Dalla semplicità della Valle Onsernone, dal silenzio, e dal cibo. Nina e Manuel, 31 e 33 anni, sembrano aver trovato il loro equilibrio nell’antica tecnica della fermentazione e non la vogliono lasciare più. Lei – metà slovena, metà tedesca – ha lavorato in ambito pedagogico a Basilea e in Ticino. Oggi intreccia la paglia, conosce a menadito fiori ed erbe della regione, partecipa alle attività di valorizzazione della valle. Lui, originario della Valle Verzasca, è cuoco nell’istituto scolastico onsernonese e non smette di inventare specialità per sé stesso e gli altri. Vivere a Mosogno per Nina e Manuel non ha prezzo: amano il sole che in inverno scappa in fretta dietro le montagne, la natura un po’ selvaggia e la gente del paese. I loro bambini, per ora, sono i fermentati.


© Ti-Press / Alessandro Crinari

Bisogna andarli a cercare, su su per la Valle Onsernone, brulla e selvatica. Le curve sembrano non finire mai, l’autopostale è quasi vuoto, siamo a gennaio. Auressio, Loco, Berzona, Mosogno. Mosogno, la mia destinazione. Scendo. Silenzio totale. Una ragazza si sbraccia poco lontano. È Nina. Entro nella piccola casa dove abita con Manuel. Il sole spacca la stanza, cucina unita al salone. Non appena gli occhi si abituano, scopro un piccolo mondo in fermento. Nel vero senso della parola. Un po’ ovunque ci sono vasi e vasetti di varie forme e dimensioni che sembrano contenere pozioni magiche più o meno liquide. Nina Gautschi e Manuel Lanini, 31 e 33 anni, sono dei fermentatori. Trasformano verdure, legumi e cereali seguendo tecniche antiche per la conservazione degli alimenti. I cavoli rossi e bianchi reagiscono all’aggiunta di sale e si trasformano in crauti. I pomodorini in salamoia diventano piccole bombe che scoppiano in bocca come fossero concentrati di spumante salato. I limoni si sciolgono e paiono eterni. A piselli e ceci vengono inoculate spore che creano muffe: niente a che vedere col formaggio, è il cosiddetto tempeh indonesiano. Stessa tecnica per il koji giapponese, a base di riso.


© Ti-Press / Alessandro Crinari

Questo è cibo, ma cibo vivo

A raccontarla giù in città sembra una storia un po’ bizzarra quella dei due fermentatori di Mosogno, sorta di leggenda di valle di cui si parla al bar. Non è così. Questo vuole essere un progetto concreto. Nina e Manuel, formazione pedagogica lei, cuoco lui, hanno intenzione di commercializzare i loro prodotti. Lo stanno già facendo. Con un logo, disegnato da Nina, e un nome che non è un caso: Semper Vivum. In un piccolo laboratorio perfettamente attrezzato avviene la trasformazione delle verdure destinate alla vendita. Se si sta zitti le si sente gorgogliare, quasi volessero dire qualcosa. “Perché lo fate?”, chiedo alla giovane coppia. “Perché questo è un cibo rivoluzionario”, risponde Manuel con convinzione. E come dargli torto? In piena pandemia, dove impera il “disinfetto tutto”, Nina e Manuel fanno proliferare muffe e lavorare batteri. Niente di più rivoluzionario. “C’è anche una dimensione politica, sai?”, mi dice Nina. “Nella fermentazione ci sono organismi che lavorano insieme e trasformano la materia prima in qualcosa di buono per anima e corpo. Noi creiamo un ambiente idoneo per la formazione di qualcosa, facciamo funzionare una comunità in miniatura dentro i nostri vasi. In fondo abbiamo un ruolo sociale, e riceviamo in cambio qualcosa. E tutto questo lo facciamo qui, in una valle che col tempo si è spopolata. C’è un legame stretto fra le due cose”. Insomma: cibo come metafora.
Quella dei fermentatori è una comunità globale di resistenza alimentare. Stati Uniti, Canada, Giappone, India, Germania. E Mosogno. Un vero e proprio movimento, con tanto di “guru” baffuto – il food activist Sandor Ellix Katz – corsi, incontri e una letteratura consolidata. Una provocazione, una linguaccia indirizzata all’industria alimentare. Perché qui siamo all’antitesi del cibo in serie, ultra processato, standardizzato, che riempie i carrelli del supermercato e che sembra non lasciare spazio ad altro.


© Ti-Press / Alessandro Crinari

Lavorare sognando in grande

Ma come si fa a pensare che possa funzionare una cosa così, qui, in questo piccolo angolo di mondo? “Noi seguiamo l’istinto. Sappiamo che è la cosa giusta da fare”. I tempi del progetto non sono certo quelli dei business plan delle multinazionali. Ma piano piano qualcosa si muove. Una sorta di gorgoglìo. Proprio come accade nei loro bidoni dei crauti. In Onsernone si comincia a parlare dei due fermentatori: dallo stupore divertito (“cos’è che fate? è come fare la birra? state facendo formaggio?”) si è passati all’assaggio, poi alla richiesta. Un vasetto, due, tre. E succede anche che qualcuno bussi alla porta chiedendone altri.
Abbastanza per sviluppare un’attività economicamente sostenibile? A prima vista sembrerebbe di no. “Non andiamo in perdita, abbiamo un piccolissimo “+”, ci crediamo”. Per forza. Perché il lavoro è tanto. Da marzo 2021, parallelamente alle loro attività professionali, Nina e Manuel hanno fermentato oltre una tonnellata di verdure, e venduto poco meno di 3’000 vasetti. In valle, ma non solo: c’è anche la vendita online e in piccoli negozi. Piano piano si scende, curva dopo curva, verso i centri del Sopraceneri: Locarno, Bellinzona. La voce si sta spargendo, anche con l’aiuto dei social media, ed è già capitato che qualcuno li fermasse per strada chiedendo se erano loro “quelli dei fermentati”.
L’obiettivo di Nina e Manuel è quello di poter avere un laboratorio più grande, sempre in valle. Creare una vera attività economica, vivere di fermenti, proprio qui dove nessuno oggi davvero lo farebbe. Dove più che aprire, si chiude. Trasformare materia in cibo seguendo tecniche millenarie, in Valle Onsernone, nel 2022. Una pazzia. Una scommessa. Una piccola rivoluzione.


© Ti-Press / Alessandro Crinari


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