Ostalgia canaglia. Immagini dalla Germania che non c’è più
In un librone del Wende Museum recentemente edito da Taschen, stili, simboli e ricordi di un mondo che pare scomparso da secoli
Di Lorenzo Erroi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Nel 1990, l’anno successivo alla caduta del Muro di Berlino, ciascun tedesco dell’Est gettò via 1,2 tonnellate di rifiuti: una media tre volte superiore a quella registrata dai cugini dell’Ovest. Questo perché in discarica ci finiva di tutto: elettrodomestici, suppellettili, rottami d’un mondo che fu, rispetto al quale il termine ‘rifiuto’ assume anche un significato politico e storico. Gli ‘Ossi’ se ne liberavano – altro verbo dalle molte sfumature – per fare spazio alle magnifiche sorti progressive dei ‘Wessi’, mentre la porta di Brandeburgo, pietra miliare di quella divisione, si trasformava in mercatino delle pulci per ogni sorta di chincaglieria legata alla memoria del vecchio regime. Ancora non c’era l’Ostalgie, la nostalgia per quel che fu o che almeno avrebbe potuto essere (banalizzata, a partire dai primi anni Duemila, dalla riscoperta a fini di marketing delle vecchie marche di cetriolini e simili). Sulle bancarelle di Berlino si potevano acquistare per pochi marchi le testimonianze materiali di un regime che molti avevano fretta di liquidare.
Romantici rottami
La vita, però, non si può rottamare. O almeno non si dovrebbe. Ai più svegli fu subito chiaro che tutto quel bric-à-brac un po’ smunto un po’ kitsch portava con sé il racconto di un’epoca, come le coppe e le spille antiche che oggi si conservano nei musei. Se ne accorsero per primi a migliaia di chilometri da Berlino, per la precisione a Los Angeles, dove nel 2002 aprì il Wende Museum (museo della ‘svolta’, nome che storici e giornalisti hanno assegnato fin da subito alla riunificazione tedesca). La città Usa che “non viene da nessuna parte, non va da nessuna parte” – secondo i versi di Bertolt Brecht, che come tanti esuli tedeschi vi aveva trovato rifugio dal Terzo Reich – offriva il campo neutro necessario per preservare la storia materiale della Ddr, come scrive Justinian Jampol, lo storico con trascorsi oxfordiani che fondò il museo a soli 24 anni: a lui saccheggiamo le informazioni di queste righe, contenute nel bel saggio che introduce ‘Das Ddr-Handbuch’. Ovvero ‘Il Manuale della Germania Est’ , in edizione bilingue tedesca/inglese, appena ristampato da Taschen: un’edizione ‘tascabile’ – per quanto possa essere tascabile un libro rilegato che conta oltre 800 pagine e pesa quasi due chili – che riproduce perfettamente, in scala ridotta, il monumentale ‘Jenseits der Mauer’ (‘Oltre il Muro’ è grande quasi il doppio, di chili ne pesa oltre cinque, arriva in una valigetta cartonata e ormai si trova solo a prezzi proibitivi).
Il Manuale è di fatto il catalogo del museo, vi risparmia il fastidio di andare fino a Culver City e organizza in modo tematico quanto raccolto dai suoi curatori, spesso grazie a donazioni di vecchi uomini della Stasi e del regime di Erich Honecker, i quali temevano che certe ‘collezioni’ sarebbero risultate troppo controverse se donate a un museo europeo. Materiale salvato dal “cestino della storia” (sempre Jampol): pacchetti di sigarette e statue lignee di Lenin, cataloghi di grandi magazzini e lattine di caffè istantaneo, spille di propaganda e copertine di vinili pop indigeni, diapositive pornografiche, cartoline di hotel brutalisti, programmi di viaggio dalla motonave ‘Amicizia dei popoli’ (“ore 7: sveglia; ore 7.10: ginnastica”), magliette delle squadre di calcio come la Dinamo Dresda e la Dinamo Berlino (quest’ultima assai cara al capo della Stasi Erich Mielke, con tutti i privilegi del caso).
Il gusto del Doppelgänger
Qualcuno potrebbe chiedersi perché mai spendere 40 franchi per un libro del genere, se non per improbabili nostalgie comunistoidi o compiaciuta necrofilia occidentale (“abbiamo vinto noi, gnè gnè gnè!”). C’è probabilmente una componente voyeuristica. Quei tinelli economici e quelle vecchie pubblicità finiscono per costituire una sorta di Truman Show realsocialista, l’evocazione d’una quotidianità un po’ ‘Goodbye, Lenin’ che però rivela anche molte similitudini con quella occidentale. Non si tratta di un mondo così lontano, tutto sommato. Ma allora, forse, è proprio lì il ‘bello’: guardare dal salotto quel ‘come eravamo’ appena un po’ fuori fuoco o fuori asse, osservare il nostro bislacco Doppelgänger con la zazzera e i baffoni, leggerne le cartoline da un posto dove le famiglie nei manifesti delle assicurazioni hanno lo stesso sguardo ebete che troviamo nelle nostre e le mode si assomigliano, anche se un po’ alla buona, ma tutto appare al contempo stampato su una diversa filigrana sociale e ideologica.
25% poliestere
Così, dietro ai bimbi che giocano al nido vediamo spuntare cartelloni di propaganda (“Più forte è il socialismo, più stabile è la pace!”), mentre l’elevata ritualizzazione della politica di regime invadeva anche la vita giovanile, a partire dalle divise (25% poliestere, 75% viscosa). Un mondo in cui il Muro di Berlino era presentato come “barriera di protezione antifascista” e “imparare dall’Urss significa imparare a vincere” , ma in cui la vita andava avanti al di là dell’immagine spesso stereotipata che ce ne siamo fatti in tanti. È un libro che si guarda prima ancora di leggerlo, ‘Il Manuale della Ddr’. Ma è un peccato non soffermarsi poi sui testi che accompagnano i vari capitoli, facendo dei diversi oggetti una chiave di lettura storica e illuminando diversi aspetti della società Ossi: la cultura nudista, i giochi in cui gli indiani battono sempre i cowboy, i modi in cui ciascuno cercava di crearsi piccoli mondi lontano dallo sguardo del partito e dalle orecchie della Stasi. Così, alla fine l’immagine di ogni oggetto ci pare sussurrare la stessa frase, identica a quella che a Lipsia animò le prime proteste per la libertà: “Il popolo siamo noi”.
SETTE COSE DA VEDERE, LEGGERE, ASCOLTARE
1. Sonnenallee
Commedia del 1999 di Leander Haußmann. Vite bizzarre di adolescenti tormentati lungo la ‘via del Sole’, strada di Berlino che collegava Est e Ovest. È l’altro film che ha lanciato la Ostalgie, insieme al più noto ‘Goodbye, Lenin’ che sarebbe però uscito solo quattro anni dopo.
2. La Stasi dietro il lavello
“Il signor Petzke mi fece dunque mettere in piedi davanti alla classe mentre lui discettava sui motivi per cui il movimento per la pace e il distintivo sarebbero in realtà frutto della propaganda tedesco-occidentale e che pertanto io sarei stata smascherata come nemico di classe. Concluse dicendo che io volevo la fine della Ddr e quindi il ritorno al fascismo”. Un’altra storia adolescenziale, ma stavolta autobiografica e vicina alla dissidenza, quella descritta da Claudia Rusch nel suo libro ‘La Stasi dietro il lavello’, mirabilmente tradotto da Keller. Esperienze e ricordi di una ragazza ironica e anticonformista, che sogna Parigi e le barrette Bounty.
3. Stasiland
La giornalista australiana Anna Funder raccoglie in questo libro – tradotto da Feltrinelli col discutibile titolo ‘C’era una volta la Ddr’ – le testimonianze di persone perseguitate dalla Stasi e dai suoi agenti. Una lettura disturbante e mai banale, che può accompagnare l’arcinoto ed eccezionale film ‘Le vite degli altri’.
4. Labirinto Stasi. Vite prigioniere negli archivi della Germania Est
Lo storico Gianluca Falanga pesca dagli archivi della vecchia intelligence, aperti al pubblico per consentire ai cittadini di recuperare le loro schedature, e ne esce col racconto di tre diversi destini: Baldur, tipografo che a 19 anni, nel 1958, si beccò tre anni di carcere per aver letto ‘1984’ di George Orwell; Andreas, che a 20 anni finisce in carcere per aver cercato di fuggire a Ovest, e scopre solo nel 1992 che a far la spia fu suo padre; infine Gilbert, condannato a due anni di carcere per avere fotografato la comunità punk di Berlino Est, che va alla ricerca dell’agente che lo aveva interrogato.
5. Il circolo di poesia della Stasi
La storia di un gruppo di spie, soldati e guardie di confine che dal 1962 al 1989 si riuniva in gran segreto a Berlino per imparare a scrivere versi, a scopo propagandistico e per ‘stanare’ il nemico di classe. Molti, però, a forza di studiare i grandi della poesia inizieranno a veder vacillare la loro fede nello Stato comunista.
6. Die Stasi-Ballade
Uno dei testi più popolari del geniale cantautore e cabarettista Wolf Biermann, cui fu negato il rientro nella Ddr nel 1976 per averne criticato il regime: un ironico ringraziamento a quei poveretti della Stasi costretti a fare di tutto, dai pedinamenti sotto la neve all’ascolto delle conversazioni nel bagno dell’artista, facendogli pure il piacere di registrare ogni sua battuta.
7. Ddr. La guerra fredda del football
Vincenzo Paliotto scava in una miniera di aneddoti sul calcio della Germania orientale, tra tentativi di fuga, ingerenze politiche e surreali magheggi che vanno ben oltre i temi del calcio giocato. Dello stesso autore c’è anche ‘Stasi Football Club’.