Georges Simenon: il mago della penna con la pipa in bocca

Nasceva, senza un soldo, il 13 febbraio di 120 anni or sono. Scrittore molto prolifico, pare fosse in grado di produrre fino a 80 pagine al giorno…

Di Marco Horat

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Georges Simenon, genio e sregolatezza, si diceva una volta. Un uomo passato attraverso il ’900 con la penna in mano e la pipa in bocca. Centinaia di titoli tra romanzi ‘Maigret’ e ‘non-Maigret’, reportage, saggi e racconti di successo; film e telefilm ispirati al suo personaggio più famoso. Guardato con freddezza da scrittori e intellettuali invidiosi forse della sua fama universale; disaffezione generosamente contraccambiata dal grande Georges, che non amava quella che definiva ‘letteratura con la maiuscola’ e i suoi rappresentanti. Ironia del destino: ben quattro volumi che raccolgono diverse sue opere verranno pubblicati da Gallimard nella prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade, riservata agli immortali della Letteratura!

Lui, un belga, come Jacques Brel prestato alla Francia, nato povero a Liegi nel febbraio 1903 e morto milionario a Losanna nel 1989. Una parabola straordinaria in tutti i sensi: Belgio, Parigi, Stati Uniti, dove emigra a causa dei sospetti di troppa condiscendenza nei confronti del regime di Vichy e degli occupanti tedeschi durante la guerra; l’approdo a Épalinges, nel Canton Vaud, in cerca di tranquillità e discrezione, qualche lingua maligna dice oltre che per ragioni fiscali.
Una vita tormentata, vissuta intensamente tra la passione per la scrittura, quella per le donne (ne ha frequentate migliaia, ha confessato una volta, comprese molte professioniste), la navigazione, a vela per mare e sui canali di Francia; un fratello morto combattendo in Indocina, dove si era recato su consiglio di Georges, cosa che la madre gli rinfaccerà sempre. Georges ne parla nella drammatica ‘Lettre à ma mère’ del 1974: “Cara mamma, tre anni e mezzo sono passati da quando, a novantun anni, sei morta, e ora soltanto, forse, comincio a capirti…”. Due matrimoni turbolenti alle spalle, con la seconda moglie malata di nervi e una figlia, Marie-Jo, ossessionata dalla figura paterna, che a Parigi si sparerà un colpo al cuore con una calibro 22 lasciando accanto a sé una lettera straziante indirizzata al padre. Aveva 25 anni. Un ulteriore dramma che segnerà profondamente Simenon: da questo tormento nasceranno le ‘Mémoires intimes’, un’autobiografia che è stata la sua ultima fatica terrena, forse la più ardua.

L’incontro

Ho avuto il piacere di incontrare Georges Simenon con un microfono in mano, in una clinica sopra Montreux, dove trascorreva l’inverno del 1981. Avevo letto quasi tutti i suoi Maigret che acquistavo a Firenze su una bancarella dell’usato in Piazza dei Ciompi. Colpevolmente, conoscevo meno il resto della sua sconfinata produzione, quella alla quale lui teneva invece di più. Ero molto felice ed emozionato quel giorno. Ricordo che mi accolse con un sorriso gentile, e forse un po’ ironico, nella sua suite, sprofondato in una poltrona rivolta verso il lago sottostante, con l’immancabile pipa (la sua o era quella di Maigret?), mentre altre riposavano sulla scrivania ingombra in attesa di essere usate. Ne venne fuori una lunga chiacchierata della quale ho sintetizzato qui solo alcuni passaggi, nel 120esimo anniversario della nascita. Forse non sono verità assolute, ma solo alcune ‘sue’ verità. Sul Maigret che mi ero portato appresso, una dedica: ‘À Marco que j’ai peut-être choqué par mon franc parler’.

Autodidatta, fiero di esserlo

«Non sono un intellettuale ma un intuitivo, come lo è il Commissario. Lo affermo avendo pur letto anch’io Dostoevskij, Faulkner e gli altri classici della letteratura. Quando scrivo, io mi metto nella pelle di un personaggio e non ne esco più fino al termine della storia. Parto da un ricordo, da un aneddoto, da un profumo, un suono e vado avanti di getto, senza un piano di lavoro prestabilito, come fossi in un stato ‘altro’ dalla normalità. Tutti gli artisti le diranno che fanno la stessa cosa. Picasso, che conoscevo bene, non era per niente un intellettuale, non sapeva affrontare nessun discorso sulla pittura e tanto meno parlare dei suoi quadri; li faceva e basta. È quello che distingue l’artista dal bravo mestierante. Credo che scrittori si nasca, non si diventi, anche se per affermarsi la strada è lunga».

Tanti titoli, Maigret e gli altri

«Ho iniziato a scrivere polizieschi per apprendere il mestiere, e quando mi sembrava di averlo imparato ho smesso. Ho pubblicato più di 80 Maigret, che all’inizio terminavo in una settimana e in seguito al ritmo di uno all’anno. Ho così scoperto con meraviglia che potevo vivere di letteratura, dopo anni di miseria nei quali avevo cambiato diversi lavori. Poi ho iniziato a pubblicare ‘romanzi-romanzi’, diventati con gli anni la maggior parte della mia produzione, circa 130 titoli. Ma, contrariamente a quanto si dice, io non sono presente in nessuno dei miei libri e dei miei personaggi (cosa della quale mi permetto di dubitare un pochino, ndr). La mia vita non si riflette mai nelle storie che scrivo, così come queste non sono ambientate nei paesi nei quali vivo in quel momento; per scrivere un romanzo ho bisogno di un certo distacco dalla realtà quotidiana. A 70 anni ho infine smesso con la scrittura per dedicarmi alla dettatura al magnetofono dei miei diari intimi, dove posso esprimere liberamente le mie idee e fare i conti con la mia vita»

La ‘spugna’ che assorbe l’acqua

«Io sono un anarchico pacifico, sono contro la società così come è organizzata attualmente; un idealista da sempre, anche se qualcuno mi accusa di essere invece uno scettico. La critico, ma vivo in questa società, oggi tutto sommato in un modo relativamente modesto. Ciò che possiedo l’ho comunque ottenuto solo con il mio duro lavoro e soprattutto senza mai aver sfruttato nessuno. Del resto sono sempre stato dalla parte della gente comune, degli umili, dell’uomo della strada. Io appartengo alla ‘piccola gente’. Preferisco incontrare persone semplici in un bistrot, le osservo, parlo con loro bevendo un bicchiere in compagnia; piuttosto che frequentare i salotti mondani o i cocktail letterari. Detesto i libri con le frasi eleganti fini a sé stesse, lo stile curato e le finezze linguistiche. Mi piace invece una lingua semplice, diretta, asciutta, non le parole ricercate e i gerghi specialistici. Le assicuro che non è per niente facile scrivere così, checché ne dicano gli intellettuali che mi criticano e dicono che sono solo un osservatore neutro, una specie di magnetofono. Ho solo cercato di capire e descrivere i comportamenti umani nei diversi strati della società umana e i conflitti che ne possono derivare. Senza giudicare nessuno.

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