Mario Venuti, un equilibrista fra l’Etna e il Corcovado

C’è un pezzo della storia del cantautore siciliano dentro ‘Mai come ieri’, album in cui è presente il duetto con la Cantantessa e tanto Brasile

Di Marco Narzisi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Dischi dal retrobottega

Mario Venuti, ‘Mai come ieri’ (1998)

Mario Venuti, nei suoi quasi trent’anni di carriera solista, ha probabilmente raccolto meno notorietà presso il grande pubblico di quanta ne abbia effettivamente meritata. “Colpa”, se vogliamo, di un pop che, seppur alleggerendo negli anni le sonorità più vicine alla musica brasiliana, rimane sempre raffinato e ricercato: anche troppo, per orecchie abituate a ritornelli immediati e melodie senza troppi sussulti. Alle spalle delle svolte più pop-rock dei primi Duemila, con annesse tre partecipazioni a Sanremo nel giro di tre anni (e un Premio della critica nel 2004), ci sono quindici anni di carriera, iniziata negli anni Ottanta a Catania con gli acclamati Denovo con cui già nel 1988 saliva sul palco dell’Ariston. Un pezzo di storia artistica del cantautore etneo che è racchiusa in ‘Mai come ieri’, album del 1998 che prende il titolo dal fortunatissimo singolo in duetto con Carmen Consoli, per cui Venuti nel 1996 aveva già scritto quella ‘Amore di Plastica’ con cui la Cantantessa debuttò a Sanremo. Un lavoro variegato, aperto da cinque inediti fra cui, oltre alla title-track, spiccano la delicata ‘Sto per fare un sogno’ e ‘Il più bravo del reame’, pezzo presentato, senza successo, alle selezioni per Sanremo Giovani del 1997.

Il disco vira su una panoramica della storia musicale di Venuti fino ad allora, riproposta in chiave acustica e con una certa vena intimista pescando dal repertorio dei Denovo e dai primi due album da solista, ‘Microclima’ e ‘Un po’ di febbre’, il tutto registrato in un’esibizione dal vivo depurata però dagli applausi del pubblico. Fra i brani della band d’esordio da segnalare “Un fuoco”, che nella nuova versione strizza ampiamente l’occhio al Sudamerica, grande fonte d’ispirazione per Mario, e ‘Sant’Andrea’, spogliata delle sonorità anni Ottanta dell’originale e più morbida e intimista, impreziosita da una sessione d’archi che non fa rimpiangere i synth dell’epoca. E poi c’è tanto Brasile nei pezzi da solista, da ‘Niña Morena’ a ‘Il libro della terra’: e infine, nella fin troppo sottovalutata ‘Fortuna’, qui ancora più in equilibrio su un filo teso fra l’Etna e il Corcovado e in duetto con Carmen Consoli a chiudere idealmente il cerchio iniziato con la prima traccia. Un bell’album per conoscere una parte importante della carriera di un artista che per qualità delle composizioni e dei testi merita un posto d’onore nel cantautorato pop italiano.

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