Rita Laudato e i suoi amici ‘esserini’

“Quando ero piccola, avrò avuto tre anni, non sopportavo di stare rinchiusa in casa e cosa facevo? Scappavo di casa”

Di Natascia Bandecchi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

È nata il 24 settembre 1967 e vive a Chiasso. Mamma di Paride e Raffaello e – non si direbbe a guardarla – è pure nonna. Nonostante dorma poche ore per notte e lavori 7 giorni su 7, sprigiona vitalità da tutti i pori. Adora la natura, passeggiare e il vento che, come lei, necessita di muoversi liberamente in ogni dove. Non amando la routine che, a dirla tutta, le fa pure un po’ paura, ha fatto vari mestieri: pittrice edile, ha studiato gemmologia e oreficeria creando opere d’arte da indossare e, dulcis in fundo, si è diploma in tecnologa del latte. Che c’entra il formaggio col buon vino? Beh, ma allora volete provocare…

Le mie papille gustative hanno conosciuto, prima di Rita, le sue creazioni casearie in cui esplodono sapori che vanno a braccetto con muffe di vario tipo. Di Rita invece mi hanno colpita la sua spontaneità, la sua energia scoppiettante e sapere che, a 45 anni, si sia messa in discussione, mollando la zona comfort per fare il classico salto nel buio. Si, perché fare l’apprendista “da grandi” e avere come compagni di classe degli adolescenti non è mica roba da tutti. Ci vuole un certo senso di libertà interiore, libertà di essere e di non essere. “Quando ero piccola, avrò avuto tre anni, non sopportavo di stare rinchiusa in casa e cosa facevo? Scappavo di casa. Vivevo nel centro di Morbio. Erano i primi anni Settanta e non c’era l’urbanizzazione di oggi: era tutto più bucolico e c’era abbondanza di distese verdi. Riuscivo a correre fino alle scuole, passando dal cimitero, arrivando fino al campo di calcio. La gente del posto ormai mi conosceva e quando mi incontrava mi riportava a casa da mia mamma che era afflitta dalla disperazione”. Per Rita già da piccola la ricerca della libertà era una missione di vita.


© Ti-Press / Elia Bianchi

Costruire

Rita ha svolto molti mestieri ma tra tutti non ne ha mai voluto scegliere uno. “Sono lavori che la vita mi ha portato, li ho amati tutti perché ho voluto approfondirli. Senza approfondimento per me non c’è interesse e di riflesso conoscenza e crescita”. Una volta si sarebbe chiamata casara o lattaia, piano piano il settore si è evoluto, oggi non bastano più una caldaia, una pentola e qualche fuscella, bisogna maneggiare tecnica. “Ho scelto questo mestiere perché la vita, ogni tanto, ti presenta delle svolte forzate. Nel mio intimo sento che queste svolte ti portano comunque dove dovresti essere. È come se l’esistenza ti dicesse: l’hai capita oppure no, che è quella la tua direzione?”. A Rita è capitata una rapina nella gioielleria dove lavorava a Chiasso e un paio di pallottole di striscio, per darle la spinta: direzione “nuova vita”.


© Ti-Press / Elia Bianchi

Affidarsi

Antonio Lubrano – giornalista d’inchiesta italiano – soleva dire: “La domanda nasce spontanea”. Che il segreto nella vita sia non opporsi agli avvenimenti che accadono e imparare a fluire in ciò che ci bussa alla porta? “Penso sia importante prendere gli eventi che ci capitano come se fossero degli insegnamenti. Non è detto siano castighi. Personalmente ho sempre cercato di trasformare in opportunità quello che incontrava la mia traiettoria”. Rita aggiunge che, grazie a questa attitudine, ha scoperto angoli segreti di sé che non sapeva nemmeno esistessero. “È stato rivelatorio e sorprendente. Ho compreso che l’accettazione non significa chinare il capo e subire, bensì è un atteggiamento che accresce la propria forza interiore. Senza questa nuova consapevolezza non sarei arrivata dove sono ora”.


© Ti-Press / Elia Bianchi

Anticonformista? Anche no

La sua incontenibile creatività viene incanalata nel suo caseificio ai piedi della collinetta del Penz. Rita è vegetariana: mangiare carne per lei è un tradimento al regno animale e nonostante ciò il suo caseificio è un’officina creativa in cui le materie prime si incontrano e nascono creazioni saporose dove l’olfatto non può rimanere indifferente: “Non mi sento anticonformista perché ho scelto un mestiere apparentemente fuori dalle reti mainstream. Gli ingredienti li devo sentire, toccare, in una parola sola: percepire. Quando entro nel mio laboratorio saluto gli ‘esserini’ – i batteri – che lavorano per me. I formaggi cui do vita raccontano la storia della mia terra, dei sapori, gli odori, i ricordi che fanno parte di me. Se dovessi industrializzarmi come farei a mantenere questo contatto profondo con questa energia?”.


© Ti-Press / Elia Bianchi

Amore & latte

Rita oggi è tecnologa del latte per amore. No, non si tratta di un bellimbusto che vive in campagna, ma dell’animale che per lei simboleggia l’essere matriarcale più amorevole che ci sia: la mucca. “La mucca ci dona la sua vita, il suo latte e non da ultimo, rinuncia al suo piccolino. È un essere vivente che rispetto e ringrazio giorno dopo giorno”.


© Ti-Press / Elia Bianchi

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