La narrazione emotiva di Luca Chieregato
Recente autore di un coinvolgente volume, l’attore e cantastorie ci ricorda l’importanza della tradizione orale. Perché raccontare è anche raccontarsi
Di Natascia Bandecchi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Nato a Milano l’8 agosto del 1976, è papà di una ragazza di 14 anni. Ha una personalità profondamente malinconica, che trasforma in continuazione grazie al suo lavoro artistico di cantastorie. “Luca, dove posso portarti a cena fuori questa sera?”, questo il suo invito preferito. Non gli piace stare a casa e cucinare – pensate voi come si è sentito stando rinchiuso a casa durante il lockdown – e ama indissolubilmente la carbonara. La dimestichezza con la solitudine a tratti gli può creare delle difficoltà nella relazione con il prossimo, perché nella misura in cui stai bene con te stesso, è un po’ come se ti bastassi da solo. Non sopporta le conversazioni inutili in cui ci si trova incastrati ad abbozzare discorsi pieni di retorica e per niente autentici.
I cantastorie erano dei narratori ambulanti che, a partire dal Medioevo, raccontavano storie di vita vissuta, cronache e leggende, trasformandole in patrimonio comune. Un po’ come fanno ancora oggi gli anziani griot in Africa. Nel passato questi cantastorie africani erano i consiglieri del re e venivano consultati prima di ogni decisione importante. Oggi il ruolo dei griot è cambiato ma, in loro, è depositato un sapere che viene tramandato di generazione in generazione. Luca Chieregato è un moderno cantastorie che ama essere al centro dell’attenzione. “Ho sempre avuto l’animo da capobanda caciarone ma a una sola condizione: o guardato da tutti oppure nascosto. Da questo punto di vista il palcoscenico è un bellissimo luogo dove nascondersi”. Per anni Luca ha fatto l’attore di teatro vestendo panni che mai erano i suoi: “Facendo il cantastorie è tutto più complicato perché, oltre al ruolo che rivesto, vi sono parti di quel personaggio che mi assomigliano molto e che si possono confondere con me”.
Mondo immaginifico
Contrariamente a quanto si possa pensare, Luca non maneggia storie da piccolo. Inizia in adolescenza a immergersi nel mondo immaginifico dei racconti: “Ho un ricordo di me, sdraiato nel corridoio di casa, avevo otto anni e indossavo delle braghe corte: leggevo voracemente la favola Jack e il fagiolo magico“. In casa di Luca non c’erano libri: “I miei genitori non leggevano, tutta la libreria l’ho riempita io, volume dopo volume”. Più in là negli anni, la sorella di Luca è stata la miccia che ha acceso la sua curiosità verso una letteratura slegata da quella proposta a scuola, tipo i classici manzoniani o le poesie del Carducci da sapere a memoria… “Il primo libro di cui mi innamorai fu Il bar sotto il mare di Stefano Benni. Anche se, confesso, lo comprai più per la copertina accattivante che per altre ragioni profonde”.
Luca nella sua prolifica vita da griot occidentale ha portato le sue storie per strada, nelle aziende, persino al telefono. Dopo anni ha coronato il suo sogno pubblicando Di che storia hai bisogno? per Mondadori: “Provo emozioni diverse, lo sto vivendo come uno specchio di tanto lavoro fatto. Per me simboleggia una sorta di riconoscimento per tutto quello che ho seminato. Se penso agli ultimi dieci anni passati, sono grato di quello che ho vissuto, nonostante la partenza sia stata difficoltosa perché ha coinciso col divorzio da Barbara (la mia ex moglie)”. L’intuizione di Luca nell’andare a raccontare storie per strada l’ha salvato in quel periodo, cambiando la prospettiva sulla sua carriera artistica ma anche su quella umana. “È un po’ come se, performando per strada, la mia richiesta si fosse condensata unicamente in una parola: amatemi!”.
© Ti-Press / Pablo Gianinazzi
Bellezza
Il primo libro è formato da 11 stanze suddivise in parole per lui importanti: vertigine, lotta, ferita, amore, rivoluzione eccetera. In totale sono 55 storie. Tutte veicolano un messaggio di amore e crescita, ma il denominatore comune di tutte sfocia in: ‘Accorgiti di essere una meraviglia’. Non a caso la prima storia si intitola “Per vedere la bellezza” ed è una citazione tratta da un libro di Julio Cortázar (Storie di cronopios e di famas) in cui lui inserisce istruzioni un po’ bizzarre: per cantare, per piangere, per salire le scale. “Parafrasando Cortázar mi sono chiesto: ‘Che si fa per vedere la bellezza?’. Facile dire ‘la bellezza salverà il mondo’, ma dove si trova? Come si fa per scorgerla, per esempio, quando si fa la spesa o mentre ci si lava i denti?”.
Sfida
La sua raccolta è piena di storie che si possono leggere tutte d’un fiato, oppure si può aprire a caso il libro e lasciarsi trasportare da quello che si trova. Basta fidarsi di ciò che si sente, di solito funziona. “La prova vera di questa mia prima avventura editoriale sarà quella di superare la sfida di non esserci per interpretare le mie storie. Io sarò a casa mia mentre qualcuno a Cagliari, Locarno o Benevento leggerà il libro. Sarà una scoperta e non nego che, questo non sapere, mi genera un po’ di ansia ma ne vale la pena perché le storie per me servono a dare cittadinanza emotiva a tutti quei territori che sentiamo, ma spesso non sappiamo esprimere con parole nostre”.
“Accadono cose che sembrano pagine strappate,
come risposte tolte, stolte.
A volte manca il tassello tra prima e dopo,
conosci il risultato ma non sai lo scopo.
A volte manca l’inizio,
la vita ha questo vizio,
e quando arrivi tutto è già cominciato,
che peccato, non è colpa mia, ero altrove, ero via.
A volte la pagina mancante è quella della fine,
che cosa spiacevole,
la frase che nei gialli svela il colpevole.
Il cuore è sfinito, la mente è stanca…
Cosa diceva, la pagina che manca?
Non lo sai e forse non lo saprai mai.
La vita non è un libro, e se lo è
ha pagine impazzite, mancanti:
capita a tutti quanti.
Ogni tanto va così, arrivi lì e al posto delle parole
giuste trovi un buio di luna, un buco blu. La penna ha ancora
inchiostro ma non scrive più”.
Da “Il mistero delle pagine strappate” in Di che storia hai bisogno? (Mondadori, 2022).