Seno. Oltre gli stereotipi

Perché siamo gli unici primati con le mammelle visibili anche quando non allattiamo? E cosa succede quando questa importante parte del corpo ci tradisce? Tre donne si raccontano.

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.

Il seno è una favolosa e potente opera d’arte. Nella mitologia greca la Via Lattea è stata creata dal seno di Era: mentre la dea allattava Eracle, perse un po’ di latte che volò nel cielo notturno originando la nostra Galassia. Siamo gli unici primati con il seno pronunciato anche quando non allattiamo. Com’è successo? Lo spiega il biologo evoluzionista Desmond Morris, nel saggio La scimmia nuda del 1967: le femmine di primato attraggono i maschi con la loro parte posteriore, quindi hanno sedere e labbra vaginali bene in vista; quando l’antenato dell’uomo ha acquisito la posizione eretta, la donna ha quindi sviluppato nella sua parte anteriore le stesse caratteristiche. Ecco perché abbiamo un margine netto che separa la bocca dal resto del viso e i seni visibili, spiega Morris, gonfi anche quando non servono per questioni di maternità. Secondo lo studioso, il seno è anche conseguenza della nostra evoluzione sociale verso la monogamia: facciamo l’amore personalizzato, ci guardiamo in faccia e i simboli erotici principali si sono spostati sul davanti (bocche, barba, lobi delle orecchie, seni, peli e organi genitali). Eppure questo meraviglioso simbolo di femminilità può essere fonte di sofferenza: la sua simbologia può essere tiranna, come ci raccontano Antonia, Cecilia e Fanny, tre nomi di fantasia per tre donne per nulla inventate. 

Quando il suo peso stronca 

“Avevo un seno troppo grande. Un peso fin dall’adolescenza che mi impediva di vivere serena, mi dava mali di schiena, mi impacciava. Spesso le donne con troppo seno non osano parlarne né chiedere al proprio medico se ci sono soluzioni. Io però sono fatta così: se c’è un problema cerco di risolverlo. Il mio dottore ha sempre sminuito il mio fastidio, ma per fortuna la mia ginecologa capiva molto bene che stavo parlando di un disagio importante. E così mi ha mandata da una specialista, che mi ha proposto di operare togliendo un pezzo di seno”. 
Per farsi rimborsare dalla cassa malati però Antonia ha dovuto farsi visitare da un esperto che ha certificato l’esigenza di tale operazione, chiamata mastoplastica riduttiva, un intervento di chirurgia plastica ed estetica che consente di ridurre le dimensioni di un seno troppo voluminoso e cadente o di correggere un’asimmetria mammaria. 
Anche se può sembrare un’operazione chirurgica moderna, il primo intervento di mastoplastica riduttiva fu eseguito in Inghilterra nel 1669 (gli interventi per ingrandire il seno sono cominciati invece oltre due secoli dopo, alla fine del Ottocento, a riprova che non si tratta di problemi dello stesso tipo). “Nel mio caso l’operazione non è stata complicata e mi ha lasciato solo piccole cicatrici, che in confronto al sollievo non sono niente. Lo rifarei mille volte” assicura Antonia. “Tuttavia nessuno mi aveva detto che la mastoplastica riduttiva può comportare difficoltà a futuri allattamenti. Quando l’ho scoperto era troppo tardi e avrei preferito essere stata avvisata”.

Amputazioni

Cecilia è un’amazzone. A 31 anni ha avuto la diagnosi che ti precipita nel baratro: tumore. “A volte hai la scelta e allora può essere più difficile. Invece a me hanno detto subito: bisogna amputare il seno. In quel momento vuoi salvare la pelle, allora assorbi lo choc e fai quello che devi fare”. Inizia la trafila di battaglie con parti del tuo corpo: capelli che cadono, muscoli che si stancano, stomaco che non regge. E la testa. La testa è quella da tenere a bada: “Prima hai un immaginario orrendo di quello che accadrà, poi però diventa la tua quotidianità, momento per momento. Costruisci la vita intorno a quello che non è più solo un incubo. Ti metti in una situazione di disciplina mentale, impari
ad affrontare, a sdrammatizzare, continui a cantare, a dipingere, a fare quello che ti piace. Devi fidarti di te” dice Cecilia. Della tua femminilità che non è solo un seno, ma molto altro.

Due modi per ricostruire

Fanny ci racconta che dopo un’amputazione ci sono diversi tipi di ricostruzione del seno e che come è successo ad Antonia, a volte la gente non capisce: “Sembra incredibile ma c’è chi fa dell’ironia, come se si trattasse di un’operazione estetica. Io ci sono arrivata dopo una chemioterapia, a 41 anni, tre bambini piccoli a casa. All’epoca per me è stata chiara una cosa soltanto: mai più. Mi avevano detto che dovevo fare una radioterapia al seno interessato per ridurre il rischio di recidiva locale, e per evitarla ho deciso di sottopormi alla mastectomia di entrambi i seni, per una mia pace maggiore. Non è facile, ma in quella situazione importa soprattutto allontanare il pensiero di un altro tumore. Dopo ci si trova davanti a un bivio: come ricostruire il seno? Con le protesi o tramite tessuti propri, di solito presi da pancia e gambe? Ero esausta delle cure e il pensiero di ritrovarmi con altre cicatrici in altre parti del corpo e un lungo percorso di ricostruzione davanti a me mi ha portata a scegliere il percorso che pensavo fosse più accettabile, quello che avrebbe richiesto meno interventi e meno tempo di recupero, ossia le protesi di silicone. Dipende anche in parte da quanto consideri importante il seno: per me è una parte del mio corpo, della mia femminilità, ma so di averne anche altre”. 

Cercare la pace tra virgolette

Ogni donna in questa situazione fa i conti con sé stessa. C’è chi per anni vive senza il seno, chi opta per una ricostruzione con tessuti naturali e chi invece come Fanny per il silicone. “La cosa peggiore è quando qualcuno ti dice: Ora puoi farti una bella terza, dai! Come se fosse qualcosa di cui rallegrarsi. Non si tratta di un intervento estetico, se non che in entrambi i casi viene fatto uso di una protesi di silicone. Nel caso di una mastectomia e conseguente ricostruzione, vi è innanzitutto, una totale perdita di sensibilità e dei tempi di recupero e problemi post operatori che possono perdurare a lungo”.
La cassa malati non riconosce la ricostruzione del seno come necessità. In molti casi l’operazione è a proprie spese: “Io avevo paura di perdere la femminilità, avevo paura di non piacere più a mio marito. Ci sono coppie che si separano dopo aver vissuto un periodo così travagliato: nessuno ha studiato quanto conta in questo il corpo femminile che cambia, la donna che non si piace, il desiderio maschile. Quello che cercavo dopo la paura di non farcela e dopo una chemioterapia era prima di tutto un po’ di tranquillità… metto questa parola fra molte virgolette”.

Quando esci dalla guerra

“Quando esci dalla guerra ti accontenti di ogni piccolo passo, i capelli e le sopracciglia che ricrescono, i tuoi pezzi che rimetti insieme, il corpo che torna a rispondere; c’è una fierezza dentro di te. Ma il modo in cui ti vedono gli altri… è un’altra cosa”. La mente, ancora una volta, è quella che va tenuta a bada. La malattia può tornare e la paura del futuro può rovinare il presente. “Un seno deturpato è un ricordo giornaliero. Non tutti i tumori ti lasciano un segno evidente che vedi ogni giorno. A me è successo quando avevo già avuto e allattato i miei figli, ero parte di una famiglia solida. Ma quando succede a una giovane è forse ancora più complicato, perché ci sono terapie che ti mettono in menopausa.
Una cosa è certa: dobbiamo emanciparci, toglierci dalla testa i doveri di brava moglie, bella donna. Non lo dobbiamo a nessuno. Possiamo volerlo, semmai. La parrucca, il seno ricostruito: sono scelte, non imposizioni. Siamo donne al di là di questo”.

PAROLA AL MEDICO

‘Fondamentale è stare bene, ma anche importante piacersi’

La dottoressa Roberta Decio lavora nella consultazione di senologia dell’Eoc e anche in uno studio privato di ginecologia; si occupa di diagnostica e interventi al seno, in una équipe multidisciplinare (chirurghi senologhi ma anche plastici, radioterapisti, oncologi e anche psicologi). “Vedo quotidianamente donne con problemi o disagi legati al seno, qualcuna viene con malattie del seno (dolori o noduli) e altre con questioni legate all’estetica, quest’ultime veramente di tutte le età. Alcune donne vengono per dolori e allora dobbiamo capirne la causa. Altre pazienti, arrivano sane perché vogliono discutere di come sorvegliare il seno in caso per esempio di familiarità, cioè perché hanno tante donne malate di tumore al seno in famiglia e si sa che può esserci un rischio maggiore. Tante donne sane ci contattano anche per un disagio estetico: quante volte sento dire ‘Il mio seno non ha un aspetto normale’, mentre oggettivamente si tratta di un seno assolutamente normale”. 
La dottoressa Decio concorda con il fatto che il seno svolge un ruolo importantissimo per l’immagine corporea della donna: “Per quanto riguarda le ragazze-donne che arrivano con una diagnosi di carcinoma al seno il nostro obiettivo, oltre a curare la malattia, è avviare un processo di ricostruzione dopo l’intervento per avere un risultato estetico soddisfacente. Al momento della diagnosi, infatti, tutte le pazienti vogliono solo guarire, ma dopo qualche anno se si ritrovano, guarite, con un risultato estetico brutto, il loro disagio è evidente. Meglio pensare a tutto subito se possibile (togliere il tumore e garantire lo stesso un buon risultato estetico, anche con l’aiuto del chirurgo plastico in sala). Infine, con le pazienti operate anni fa e con un risultato estetico non soddisfacente cerco di ridiscutere il lato estetico, e se percepisco un disagio incoraggio la paziente a intraprendere passi per riavere una immagine corporale che le piaccia”.

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