Sonnambulismo, da maledizione a disturbo del sonno

Circondato da quell’aura di malattia sacra che in epoca pre-scientifica lo caratterizzava, è un fenomeno complesso che colpisce soprattutto i più giovani

Di Mariella Dal Farra

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, inserto allegato a laRegione

“(…) Io l’ho vista alzarsi dal letto, gettarsi addosso la sua veste da camera, aprire con la chiave il suo scrigno, trarne fuori una carta, piegarla, scrivervi, leggerla, poi suggellarla, e tornarsene a letto. E tutto ciò mentre era nel più profondo sonno. (…) Guardatela! Eccola qui che viene (…)”.
“Vedete, ha gli occhi aperti”.
“Sì, ma sono chiusi al senso”.
‘Macbeth’, Atto V, Scena I (William Shakespeare; 1605-1608)


LADY MACBETH CAMMINA NEL SONNO IN UN’OPERA DI RICHARD WESTALL (1797).

I drammaturghi sono senza dubbio, fin dai tempi di Sofocle, i migliori psicologi del mondo. Nella magnifica e terrifica scena in cui Lady Macbeth si alza dal letto per compiere una serie di azioni stereotipate pur essendo addormentata, Shakespeare ci fornisce una descrizione estremamente accurata, seppure ante litteram, del sonnambulismo. C’è da dire che il personaggio di Lady Macbeth solletica da sempre l’immaginario degli psicologi, che di volta in volta hanno voluto leggere nel suo comportamento sintomi di disturbo ossessivo-compulsivo, di manifestazioni dissociative, di disturbo post traumatico da stress (PTSD) o anche, più arditamente, di un’incongruenza di genere (maschile-femminile; ‘Come, you spirits / That tend on mortal thoughts, unsex me here’; Atto I, Scena V). Lo stato sonnambolico, tuttavia, è l’aspetto che più di ogni altro suscita sensazione, e forse non è un caso che lo si ritrovi, oltre che nella trasposizione operistica di Giuseppe Verdi (‘Macbeth’, 1847), anche in altre opere ottocentesche di Vincenzo Bellini e Michele Carafa…

I giovani e l’effetto ereditarietà

L’interesse per il disturbo del sonno noto come sonnambulismo, e già presente come abbiamo visto in molte opere artistiche del passato, è comprensibile soprattutto se considerata l’aura di “malattia sacra” che in epoca pre-scientifica lo caratterizzava. Un po’ come nel caso dell’epilessia: “In diversi Paesi, molte antiche favole e miti raccontano di rapimenti nel sonno a opera di dei o di esseri malvagi: queste storie potrebbero non essere solo dei ‘babau’ per spaventare i bambini e persuaderli ad andare a dormire; forse rappresentano interpretazioni errate di episodi di sonnambulismo dei bambini stessi. Di fatto, attualmente il sonnambulismo è molto comune in età evolutiva (…) ed è possibile fosse così anche in tempi remoti. Agli occhi di una madre impaurita, un figlio sonnambulo poteva apparire come posseduto o ‘incantato’ da spiriti maligni” (M.A. Riva et al., “Sleepwalking in Italian operas: a window on popular and scientific knowledge on sleep disorders in the 19th century”; European Neurology, 2010).
Il sonnambulismo, una delle due principali fattispecie dei “disturbi dell’arousal del sonno non-REM”, è frequente nell’infanzia: l’incidenza presso i bambini è stimata fra il 10 e il 30% della popolazione, con almeno un episodio; se gli episodi sono ricorrenti, la percentuale scende al 2-3%. Uno studio del 2015 (D. Petit et al., “Childhood sleepwalking and sleep terrors: a longitudinal study of prevalence and familial aggregation”; JAMA Pediatrics, 2015), indica che l’intervallo evolutivo in cui è più facile che si manifesti questo disturbo è compreso fra i due anni e mezzo e i tredici anni, periodo durante il quale il 29,1% dei bambini sperimenterà uno o più episodi di sonnambulismo (con media massima nei bambini di dieci anni). Tale prevalenza sale al 47,4% presso i bambini con un genitore che ha avuto episodi di sonnambulismo durante l’infanzia, e al 61,5% se entrambi i genitori hanno questo disturbo in anamnesi, cosa che depone a favore dell’ipotesi di un fattore ereditario. Tipicamente, gli episodi di sonnambulismo diminuiscono durante l’adolescenza, fino a scomparire senza alcuna conseguenza nella maggior parte dei casi. In età adulta, il sonnambulismo è un fenomeno relativamente raro, con una prevalenza stimata dell’1-5% (2-4% secondo altri studi) nella popolazione generale.


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Dormo ma son desto…

Ma cosa determina l’insorgenza di questo tipo di disturbo? Tecnicamente parlando, il sonnambulismo è un risveglio incompleto da una fase di sonno non-REM (di solito durante lo stadio “a onde lente”, nel primo terzo della notte), della durata media di dieci minuti circa (ma può protrarsi fino a un’ora), durante il quale la persona è in uno stato di vigilanza e reattività ridotte, tiene lo sguardo fisso nel vuoto e non reagisce a eventuali tentativi da parte di altri di comunicare o di svegliarla. In questa seconda eventualità, ma anche se l’episodio di sonnambulismo rientra spontaneamente, la persona tende poi a non ricordare quanto è accaduto. E ciò nonostante la messa in atto di sequenze comportamentali di solito “semplici” – sedersi sul letto, gesticolare, indicare il muro, camminare per la stanza – ma che possono essere anche sorprendentemente complesse – vestirsi, cucinare, suonare uno strumento musicale, guidare l’auto (A. Zadra et al., “Somnambulism: clinical aspects and pathophysiological hypotheses”; The Lancet Neurology, 2013).
Il fenomeno diventa più comprensibile considerando che, per come funziona il nostro cervello, la condizione di sonno e quella di veglia sono sì entità distinte e separate ma che si situano nondimeno lungo un continuum, ancorato a livello neurologico nel sistema di attivazione reticolare ascendente (ARAS): la struttura che regola il grado di attivazione psicofisica dell’organismo (“arousal”). Potremmo metaforicamente rappresentarci l’ARAS come un equalizzatore la cui escursione è compresa fra il sonno profondo, o REM (caratterizzato da un’intensa attività onirica e da una temporanea disconnessione dei circuiti motori del corpo, per evitare di agire in sogno) e la veglia attiva, passando attraverso tutte le fasi intermedie (sonno non-REM a onde lente, poi rapide, risveglio, veglia rilassata, pre-addormentamento e così via). La cosiddetta “architettura del sonno”, caratterizzata da cicli ripetuti di tre fasi di sonno non-REM (che diviene gradualmente più profondo) seguite da una fase di sonno REM, si perfeziona nel corso del tempo, attraverso la progressiva maturazione del sistema nervoso del bambino. È come se da piccoli dovessimo imparare a “segmentare” questo continuum, che all’inizio è appunto un po’ troppo “continuo”.


JOHN EVERETT MILLAIS, ‘THE SOMNAMBULIST’ (1871).

Non sono dei matti

Analogamente, per quanto riguarda i sonnambuli adulti, i fattori predisponenti sono legati all’incompleta “messa a punto” del meccanismo di “segmentazione”, in concomitanza con fattori genetici e alla presenza di disturbi di tipo deambulatorio (in particolare, la sindrome neurologica delle gambe senza riposo). A questi si aggiungono fattori “precipitanti”, fra cui: un incremento del sonno a onde lente (determinato per esempio da diminuzione o deprivazione del sonno, oppure da alterazioni dei ritmi circadiani, come nel jetlag), alterazioni dell’arousal (che possono essere causate dall’assunzione di psicofarmaci, in particolare benzodiazepine) e una significativa frammentazione del sonno dovuta a stimoli estrinseci (rumori, sorgenti luminose) o intrinseci (movimenti automatici degli arti, apnea del sonno, reflusso), nonché a disturbi psichiatrici e stress, il che ci riporterebbe a Lady Macbeth…
Tuttavia, sebbene i dati epidemiologici suggeriscano che circa il 25% dei sonnambuli adulti accusano ansia e disturbi dell’umore, il sonnambulismo non è associato a problemi psichiatrici o disturbi di personalità. In età infantile, il sonnambulismo può manifestarsi in concomitanza con ansia di separazione, e un incremento di ansia e stress può determinare una maggiore frequenza degli episodi tanto nei bambini quanto negli adulti. Di conseguenza, la terapia del sonnambulismo consiste nel modificare quei fattori fisici, psicologici, ambientali, predisponenti e precipitanti, che ne hanno determinato l’insorgenza. In particolare, è importante trattare eventuali altre criticità del sonno che possono elicitare, tirare fuori, disturbi dell’arousal, per esempio la sindrome delle gambe senza riposo e l’apnea ostruttiva del sonno.
Poiché però la remissione degli episodi di sonnambulismo potrebbe non essere immediata, è importante nel frattempo predisporre delle condizioni di sicurezza, sia per la persona interessata sia per chi… ci dorme insieme e condivide relazioni, vita e spazi (M. Irfan et al., “Non–rapid eye movement sleep and overlap parasomnias”; CONTINUUM: Lifelong Learning in Neurology, 2017). Rimuovere oggetti affilati o contundenti, mobili spigolosi o altri complementi d’arredo potenzialmente pericolosi dalla camera da letto, dotare le finestre di chiusura di sicurezza, mettere sistemi d’allarme alle porte interne sono tutti accorgimenti che possono aiutare a dormire sonni un po’ più tranquilli.


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Dormire: altri tipi di disturbi dell’arousal del sonno non-REM

Se il sonnambulismo rappresenta la manifestazione più “scenografica” di questi parziali o “imperfetti” risvegli dal sonno non-REM, i terrori notturni (pavor nocturnus) ne sono l’espressione più drammatica. Tipicamente, un grido segnala l’esordio dell’episodio, caratterizzato da una sensazione di paura intensa sottesa da un’attivazione del sistema nervoso autonomo che determina tachipnea, tachicardia, midriasi, aumento della sudorazione e incremento del tono muscolare. Analogamente a quanto accade nel caso del sonnambulismo, anche i terrori notturni sono soggetti ad amnesia totale o parziale al risveglio. Molto più frequenti nei bambini (dal 14,7 al 56%, a seconda degli studi) che negli adulti (2,3-2,6%), si distinguono dagli incubi propriamente intesi (che invece hanno luogo durante la fase di sonno REM) perché non sono associati a contenuti onirici ansiogeni o spaventosi. La “Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno” (American Academy of Sleep Medicine. International Classification of Sleep Disorders – Third Edition, 2014) contempla inoltre una terza tipologia di disturbo, i “confusional arousals”: episodi nei quali il soggetto si drizza a sedere nel letto in uno stato di disorientamento parlando a bassa voce o accennando a qualcosa, in assenza di terrore oppure deambulazione. Infine, il sonnambulismo può assumere, presso gli adulti, due modalità peculiari: la prima è “con alimentazione correlata al sonno” nella quale il sonnambulo passa per così dire in rassegna la dispensa, abbuffandosi di cibo ad alto contenuto calorico, ma talvolta anche di oggetti non edibili; la seconda è “con comportamento sessuale correlato al sonno” (sexsomnia), che viene considerata una parasonnia “appetitiva” al pari della prima, ma con implicazioni legali potenzialmente più impegnative…

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