Boogaloo, i suprematisti bianchi dal nome afroamericano

Viaggio dietro le quinte del fenomeno emerso durante le proteste contro le misure anti pandemia negli Stati Uniti.

Di Federica Cameroni

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Su internet avevano già fatto discutere i loro meme, nonché le posizioni fortemente razziste di alcuni. I boogalooboys sono però diventati popolari durante le proteste avvenute negli USA contro le misure di sicurezza per arginare la pandemia. Le immagini di uomini che imbracciano il fucile, apparenti sostenitori del suprematismo bianco che però si identificano nel nome di una danza afroamericana (electric boogaloo) ed indossano una camicia hawaiana, son sembrate ridicole e paradossali.
Con la loro partecipazione alle proteste Black Lives Matter si è capito che non si trattava più di un gruppo relegato a una nicchia internet, impegnato a inondare il web di spazzatura, ma di un movimento pronto alla guerriglia.
Tra loro c’è chi odia la polizia, ma anche dei poliziotti, chi vuole abbattere il sistema e chi parla di nuovo ordine mondiale. Chi si definisce nazionalsocialista, chi anarchico e chi libertario di destra. Ad accomunarli, oltre all’abbigliamento da espatriati ai tropici e la tendenza al cospirazionismo, la difesa del secondo emendamento e la volontà di cominciare una guerra civile.

Boogalooboys al Black Lives Matter

Come riporta Alex Goldenberg (coautore di un rapporto di sicurezza sul movimento) i Boogalooboys sono stati avvistati in quaranta differenti proteste del movimento Black Lives Matter solo nella prima settimana. Alcuni, effettivamente moderati, per reale sostegno; altri approfittando di una fragilità governativa, per creare scompiglio ed attirare l’attenzione su di sé. Il giornalista Robert Evans attribuisce loro il famigerato saccheggio di un negozio di liquori, numerosi spari in aria, il ferimento di un poliziotto e i danni a diversi veicoli della polizia. Durante le manifestazioni sono anche stati fotografati più cartelloni raffiguranti la scritta: “I Have a dream of a Boogaloo” con un chiaro riferimento al discorso – così stravolto – di Martin Luther King.

Propaganda e organizzazione virtuale

Le azioni virtuali avvengono su due piani: in pubblico vien fatta propaganda e ci si mantiene su posizioni moderate, in privato ci si organizza per la rivolta armata e le posizioni sono più estreme. Esiste poi una gerarchia fra Social Network: nei più popolari si mantengono su posizioni moderate, mentre in quelli meno conosciuti (o garanti di anonimato) arrivano a palesare ideologie preoccupanti.
Su Facebook, dove si raggiungono fino a 30mila utenti, le pagine pubbliche si definiscono antirazziste; non per forza così in privato. Su Twitter, che garantisce maggior anonimato, sono stati creati alcuni hashtag, non troppo moderati, che incitavano alla guerra civile. In Telegram, che è crittografato, sono stati trovati gruppi neonazisti.
Chi partecipa al livello pubblico non è per forza consapevole delle idee di chi amministra i livelli nascosti. Esistono codici atti ad evitare la censura e a non perdere il consenso dei seguaci che si ritrovano nella visione antigovernativa, ma non in quella razzista (per esempio RaHoWa, acronimo che sta ad indicare Racial Holy War).
La propaganda pubblica è attuata mediante Shitposting. Postare merda, condividendo di continuo contenuti illogici o fuori contesto, permette di spostare l’attenzione degli utenti e, nel contempo, suscitare curiosità, oltre a organizzarsi celandosi dietro l’ironia, così da non essere capiti dai più ma facendosi notare dai potenziali interessati e curiosi, che vista l’enorme mole di contenuti saranno spinti a volerne capire di più, magari finendo per simpatizzare.

Fai-da-te & merchandising

Nei contenuti privati dedicati all’organizzazione si trovano soprattutto istruzioni sulla fabbricazione di esplosivi, consigli sulle armi o dove acquistarle. Sono state scovate librerie virtuali contenenti manuali della CIA, trattati militari e guide alla guerra civile. Vi sono poi gruppi dedicati alle discussioni legali in cui partecipano avvocati e altri dove si organizza una polizia alternativa in sostituzione di quella ufficiale.
Altro elemento sorprendente è la tendenza a comportarsi come un’azienda: hanno pagine con inserzioni pubblicitarie attive e vendono materiale a tema tramite i loro negozi virtuali o altre piattaforme di commercio online: bandiere, adesivi, toppe per i vestiti, materiale mimetico e camicie hawaiane. Cercando su Amazon “Boogaloo” si trovano ancora: libri, capellini, toppe e magliette boogaloo con riferimenti alla supremazia bianca.
Facebook e gli altri colossi del web hanno affermato di star monitorando la situazione e di aver censurato numerosi contenuti. Tuttavia gli amministratori dei gruppi dichiarano d’avere realizzato copie di backup, inoltre vengono continuatamente aperti nuovi gruppi con variazioni nel titolo, per assonanza o contesto, del termine Boogaloo.
Ho provato a cercare: bogaloo, boogin, bigloo e ho trovato risultati con tutte le combinazioni, e anche di più: big ilguau, blue Iglau, Electric BugaLuau. Alcune trasformazioni già note, come: Blue Igloo, Big Igloo o Big Luau hanno subito ulteriori mutamenti. Fra i più usati: “The Bungalows” e “Ice House” (casa di ghiaccio). A loro sono anche legate pagine e gruppi con una “K/” nel titolo e altre contenenti: “hawaiian”.
Benché le posizioni pubbliche siano lontane dal neonazismo, andando a scavare la realtà è spesso differente. The Big Igloo Tm è un gruppo privato in cui sono vietati i discorsi d’odio “non perché sia una loro regola, ma per evitare la censura”; ha anche una pagina pubblica dedita alla condivisione di meme. Big Igloo Bois si dichiara antirazzista in pubblico, ma uno degli amministratori del gruppo privato nel suo profilo scrive: “Nelle pagine pubbliche non posso scrivere certe cose, qui se sei antifascista non seguirmi”. La pagina Civil War2: Electric Boogaloo ha posizioni dichiaratamente estremiste e promuove, più o meno velatamente, il suprematismo bianco.

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