Carne alla carne. I vegani e le teorie della rete

Che mangiare frutta e verdura sia assolutamente necessario è impossibile negarlo. Ma che mangiare polli e maiali faccia malissimo forse è un’esagerazione?

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Luca Avoledo non ce l’ha con i vegani, né con i fruttariani o i crudisti. Gli dispiace solo quando qualcuno prova a dire che una dieta non onnivora sia più salutare, più conveniente, più naturale. Più etica, magari sì, e non è poco. Ma lui, nutrizionista ed esperto di salute naturale, consiglia di approfondire l’argomento basandosi su studi e ricerche scientifiche piuttosto che soltanto sul ʻsentito direʼ. Ogni giorno qualcuno gli scrive per chiedergli consigli del tipo: ʻÈ vero che se divento vegano posso guarire da un tumore? L’ho letto sul web…ʼ. E qui sta tutto il punto: ognuno è libero di scegliere il suo stile di vita personale, ma quando si cerca di convincere gli altri bisogna farlo con onestà intellettuale perché si possono creare illusioni, disinformazione e anche situazioni pericolose.

La carne non fa sempre male, il pressappochismo sì

Mettendo su Google le parole “dieta vegana” escono 23’400’000 di voci. Tutti abbiamo già sentito qualcuno esprimere l’opinione che rinunciare ai derivati animali fa bene, o addirittura che “guarisce da ogni male”. Chi non ha mai pensato che acquistare un prodotto con il simbolo “veg” sia un regalo alla propria salute? Ecco, il libro No Vegan cerca di fare chiarezza su cosa ci sia di fondato, e in che misura lo sia, quando si parla di veganesimo. Raccoglie dati, esperimenti e informazioni scientifiche per contrastare i dogmi, gli slogan e le storie personali raccontate dall’amico del cugino o dal sedicente dietologo curatore. Cerca di smascherare quei “disinformatori vegani”, molto attivi nei social media e presenti in qualsiasi dibattito, che snocciolano “con la sicumera di quello che crede di aver capito tutto” il solito rosario di pseudoargomentazioni, mezze verità, frasi a effetto, slogan colpevolizzanti, paroloni difficili, studi farlocchi, moniti inquietanti sulle malattie che attendono i consumatori di carne, citazioni senza fonte e fuffa varia. La seconda parte del libro è poi dedicata a spiegare quando e perché una dieta vegana può addirittura nuocere alla salute.


© iStock/Variante S.V.

La crociata contro i luoghi comuni 

Per esempio si mette in contrapposizione “naturale” e “artificiale”. Ma quasi niente di quello che troviamo al supermercato si può dire naturale, fa notare Avoledo. “Sugli scaffali possiamo scegliere cereali, legumi, verdura e frutta negli assortimenti più disparati, in quantità smisurate, di qualunque provenienza geografica, in ogni stagione e dotati di caratteristiche organolettiche e contenuti nutrizionali al cui confronto i vegetali selvatici impallidiscono”. Sono il prodotto di una selezione operata dall’uomo e durata migliaia di anni, un po’ come quella che ha dato origine alle tante e diverse razze di cani oggi esistenti, tutte derivanti dal lupo. Se già il pomodoro e il mais che coltiviamo oggi sono molto diversi dai frutti e dalle piante che troveremmo davvero “in natura”, figuriamoci i preparati vegani. Per non parlare della possibilità di avere in Europa il pomodoro e il mais, che sono stati importati in modo artificiale, o l’avocado e le noci di pecan, tanto care alla dieta senza derivati animali, che non crescono certo alle nostre latitudini.
Anche l’affermazione che una dieta veg sia più ecologica, economica o distante dalle lobby delle multinazionali, secondo Avoledo “richiede molto coraggio”. E spiega come ci siano invece lauti guadagni nel mettere in commercio bistecche o yogurt di soia. Così come spiega anche entrando nei dettagli il funzionamento dei nostri enzimi e lo studio sui denti dei nostri antenati preistorici, i quali provano che siamo animali onnivori e non erbivori.


© iStock/Variante S.V.

Anche la carne ha fatto l’Uomo

Non siamo né animali che si nutrono unicamente di vegetali – come le mucche, le pecore, gli elefanti ecc. dotati di un apparato digerente apposito per trarre tutto ciò di cui necessitano da erba e foglie – e non siamo nemmeno animali carnivori, cioè che si nutrono di sola carne, come invece sono tigri o squali, che possiedono le doti necessarie per cacciare e dilaniare le loro prede. Siamo onnivori, come l’orso bruno, il cinghiale e lo scimpanzé, che ricavano nutrienti ed energia da sostanze di origine sia vegetale sia animale. Ci sono dunque molte ragioni per dire che una dieta ricca di frutta e verdura fa bene, ma l’affermazione che siamo una specie erbivora non è tra queste. L’essere in grado di mangiare pressoché di tutto ha costituito per noi un grande vantaggio evolutivo: anche in situazioni critiche possiamo reperire risorse alimentari. L’alimentazione variata ci ha dunque portati ad avere più tempo di un primate erbivoro da dedicare alla tecnica e alla cultura. Non si può infatti avere contemporaneamente un grande apparato digerente e un grande cervello. Dunque, non è una questione di natura, ma di cultura. La preoccupazione per il pianeta non nasce da un istinto di sopravvivenza, ma da studi approfonditi che ci mettono in guardia dal seguire unicamente le nostre voglie e i nostri piaceri.

Quindi, cosa fare?

Oggi siamo in grado di rinunciare ai prodotti animali, perché abbiamo sostituti validi e un bagaglio culturale che ci permette di fare delle scelte. Come dice Jonathan Safran Foer nel libro in cui spiega perché è diventato vegano “Se niente importa” , il fatto che il pianeta mangi carne porta inevitabilmente allo sfruttamento animale: perché siamo tanti, perché siamo avidi, perché non abbiamo un controllo sull’industria della carne (Foer si riferisce agli Stati Uniti, ma afferma che poche nazioni hanno leggi sostenibili riguardo a questo business). Qualcosa bisogna fare.
Qualcuno pensa sia possibile puntare sulle leggi, sulla moderazione, sul “chilometro zero”. Osservando i dati svizzeri sul consumo di carne, vediamo che la popolazione in media consuma una cinquantina di chili di carne all’anno, cioè circa 1kg a settimana. Niente di cui allarmarsi allora? Dipende dalla carne che si compra. La presunta cancerogenicità delle carni “rosse” – l’Oms chiama carni rosse quelle dei mammiferi, incluso il vitello, a differenza di quelle bianche dei volatili – sarebbe dovuta più che altro ai modi di cottura o alle preparazioni con additivi. Si potrebbe dunque ridurre il consumo di insaccati senza per forza rinunciare ad altre carni, latticini e pesce che addirittura hanno “effetti protettivi nei confronti dei tumori gastrointestinali”. 
Rinunciare a ogni derivato animale è un lusso che si può abbracciare solo se si vive in condizioni agiate. Un’alimentazione esclusivamente vegetale è in altri paesi o in altre epoche chiamata denutrizione. Questo lo sanno i vegani che si impegnano a vivere senza derivati animali a causa delle condizioni inaccettabili in cui viene prodotta buona parte della carne (allevamento, macelli, preparazione). In conclusione ci sono al mondo pochi privilegiati che possono decidere di rinunciare alla carne e ai suoi derivati oppure battersi per la valorizzazione delle piccole aziende di cui si conosce l’etica di allevamento.


© iStock/Variante S.V.

I CIARLATANI SONO OVUNQUE

In campo medico, spirituale, politico, attenzione a chi vi parla e come lo fa. In ogni ambito si può argomentare in modo trasparente e completo, tenendo conto dei pro e dei contro, oppure portare acqua al proprio mulino omettendo informazioni. Dai terrapiattisti agli stregoni ai fondamentalisti di qualsiasi cosa, il web pullula di voci che gridano la “verità”: si basano su una storia personale ignorando tutte le altre, accusano di complotto organizzazioni famose ogni volta che vanno in contrasto con le proprie teorie, per poi invece citarne una frase estrapolata dal contesto quando fa comodo, dicendo “persino loro sono d’accordo con me”. 
Digitando su Google “guarire da qualsiasi malattia” escono 20’700’000 di voci, la prima delle quali su bigodino.it: “I medici hanno scoperto come curare ogni malattia senza farmaci”. Per dire. Poi c’è la diffidenza, che fa sentire furbi. Una persona informata potrà costruire un solido castello di argomentazioni basate su seri studi accademici, prove e fatti, ma dall’altra parte si sentirà deridere con il sorrisetto di chi la sa lunga ma non riesce a citare mezza ricerca valida che attesti il contrario, chiedendo: “Ma sei così ingenuo?”. Toglierà un mattoncino del castello e trionfante esclamerà: “Non sta in piedi!”. Ho letto una volta che discutere con una persona provvista di cieca fede è come giocare a scacchi con un piccione: per quanto ti sforzi di giocare bene, lui camminerà sulla scacchiera rovesciando i pezzi, si gonfierà di orgoglio e penserà di aver vinto.
Paolo Attivissimo, noto smascheratore di bufale, si è recentemente espresso con queste parole sulle migliaia di segnalazioni di fake news riguardo al coronavirus: “Scegliete il silenzio. Scegliete di non diffondere notizie incontrollate. Scegliete di non farvi fregare dai ciarlatani, dai seminatori di panico, dai complottisti e dagli imbecilli. Non fatevi ingannare dalle foto di articoli di testate giornalistiche: ne circolano parecchie falsificate intenzionalmente. Ascoltate gli esperti e cestinate qualunque ‘notizia’ che non provenga da una fonte esperta e attendibile. Ricordate la regola di fondo del buon giornalismo: tutto quello che viene affermato senza prove può essere liquidato senza indagine. Non sta a noi smentire: spetta a chi fa l’affermazione portarne le prove. Niente prove? Niente fonti? Allora niente clic, niente inoltri, niente condivisioni, niente commenti”.

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