Justin Fashanu: un coraggio da campione

Nato a Londra, classe 1961, è stato il primo calciatore di fama mondiale a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. Decenni fa, mica ieri…

Di Emanuele Atturo

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

A febbraio a Norwich fa freddo e piove sempre. Il prato da calcio diventa logoro e sfatto come un campo di battaglia dopo il passaggio della cavalleria. I giocatori ci si muovono sopra rallentati, i calzettoni sporchi di fango fino al ginocchio sembrano riempiti di sabbia. Dopo qualche passaggio c’è sempre qualcuno che scivola o che sbaglia il tocco in maniera grossolana. È il calcio inglese in tutta la sua gravità proletaria. A febbraio, nel 1980, il Norwich riceve in casa il Liverpool, la squadra campione in carica che quell’anno avrebbe confermato il titolo. All’inizio del secondo tempo il centravanti del Norwich riceve spalle alla porta; ha il difensore attaccato e sembra poter fare ben poco, siamo appena fuori l’area ma in una posizione defilata. Quel centravanti, però, si alza la palla con l’esterno e sembra lievitare da terra con una leggerezza che non appartiene a nessun altro su quel campo; continua a guardare il pallone e, appena prima che ricada, lo calcia col collo sinistro sul palo lontano. È un momento iconico della storia del campionato inglese, uno squarcio di bellezza assoluta in un calcio grigio e senza glamour. 

Il calcio come rivalsa sociale

Justin Fashanu, l’autore di quel gol, tiene lo sguardo basso, alza l’indice un pochino, come se stesse chiedendo la parola, ha l’aria sola e spaventata mentre i suoi compagni gli saltano addosso. Aveva esordito un anno prima con la maglia color canarino ed era stata un’apparizione. Alto un metro e 85, velocissimo, sembrava arrivato dal futuro. Era potente, ma anche tecnico; saltava l’uomo e sapeva segnare col destro e col sinistro. Il campionato inglese non si chiamava ancora Premier League, si giocava in stadi fatiscenti che circondavano terreni di gioco paludosi. Fashanu passava in mezzo a difensori rudi e violenti con un’eleganza perturbante. Alla fine della stagione 1979/’80 viene premiato dalla BBC per il gol al Liverpool, il più bello dell’anno. Gli viene consegnato un piatto d’argento a casa dei genitori, in una cucina modesta, tutti seduti a tavola a prendere il tè. Justin guarda il premio e vede il suo riflesso. Il futuro sembra appartenergli, ma agli occhi del calcio e della società inglese degli anni Ottanta ha tre difetti imperdonabili: è orfano, è nero, è gay.
Sua madre ha origini guianesi, il padre è un avvocato nigeriano; viene abbandonato in orfanotrofio insieme al fratello John, con cui poi a sei anni viene adottato da un’anziana coppia del Norfolk. Sono gli unici due neri di un piccolo paesino sulla costa orientale dell’Inghilterra, e non riescono a spiegarsi perché i genitori li hanno abbandonati. Ora però che è un calciatore Justin può colmare quel vuoto con il denaro e la fama: “Il cal-cio era il modo per farci vedere, per renderci visibili alla società” , ha detto il fratello John, nel frattempo diventato calciatore. Justin amava essere adulato; si vestiva in modo elegante ed eccentrico. Completi arancione attillati, smoking impeccabili, cravatte da 200 sterline. Andava allo stadio per le partite vestito come per andare all’opera. Presentandoti in modo sciatto giocherai anche in modo sciatto, pensava. A Norwich era più importante del sindaco; parcheggiava la macchina in doppia fila davanti al ristorante, e se qualcuno rimaneva incastrato gli toccava aspettare.

Ricchezza e diversità

In un’intervista gli chiedono cosa vuole fare nei prossimi dieci anni; lui, in doppiopetto, dà una risposta vanitosa: “Voglio diventare più ricco, e più famoso”. Il giornalista gli fa notare che è un sogno un tantino materialistico, ma la sua risposta è logica: “Se vuoi anche aiutare gli altri devi cominciare da lì, devi diventare qualcuno. Devi avere un buono status sociale. Può suonare snobistico ma è così”. La sua voce è dolce e sensi-bile. Era nato con niente, ora aveva bisogno di dimostrare agli altri e a sé stesso di avercela fatta.
Nella stagione 1980/81 segna 19 gol in 31 partite, ma il Norwich retrocede ed è costretto a venderlo al Nottingham Forest. Non è una squadra qualsiasi ma quella che ha vinto due delle ultime tre Coppe dei campioni, allenata da un allenatore già leggendario come Brian Clough. Fashanu diventa il primo calciatore nero valutato un milione di sterline.
Il primo giorno si presenta indossando un paio di scarponi pelosi da neve, ma è luglio. Siamo nel nord dell’Inghilterra, al governo c’è Margaret Thatcher, i compagni lo guardano storto. Cominciano a circolare strane voci per un calciatore professionista. Fashanu è fidanzato con una ragazza, eppure sarebbe stato visto a tarda notte nei gay bar di Nottingham. Ci mette poco a farsi odiare da Clough, un uomo del suo tempo, con un’idea rivoluzionaria del calcio ma reazionaria della società. Va da Fashanu e gli chiede: “Justin, dove vai se vuoi del pane?”; “Dal fornaio, immagino”; “Dove vai se vuoi un cosciotto d’agnello?”; “Da un macellaio”; “Allora perché continui ad andare in quei fottuti locali per fro**”. Durante gli allenamenti lo chiama “poof” (dispregiativo inglese per gay) e lo umilia di fronte ai compagni. Il rendimento in campo ne risente, ha qualche problema fisico, non riesce a segnare: fa 3 gol in 31 partite. Fino a quel momento aveva dovuto sopportare solo qualche ululato razzista, i lanci di banane, ma ora cominciano i sussurri, i fischi, le offese sessuali. Pensa per la prima volta di fare coming-out ma teme la reazione dell’allenatore e dei compagni di squadra. Negli anni Ottanta l’omofobia si diffonde e si esaspera insieme al virus dell’AIDS. La cattiva informazione, soprattutto dei tabloid, associa in maniera diretta la malattia e i gusti sessuali. Fashanu va in prestito al Southampton, ma non funziona neanche lì. Un giorno il suo meccanico lo vede particolarmente giù e gli assicura che Dio può aiutarlo. Vanno insieme in chiesa e inizia un’altra delle mille reincarnazioni di Fashanu, quello cattolico evangelico. “I soldi un tempo per me erano tutto, ma adesso mi rendo conto che sono solo una distrazione. Voglio segnare per Dio, essere suo ambasciatore”. Rifiutato dalla comunità calcistica, ha provato a integrarsi in quella della chiesa. Ma neanche lì vedono di buon occhio i gay e la sua presenza è controversa. Quando esce fuori la sua omosessualità viene abbandonato anche dalla comunità nera. Fashanu è un uomo solo.


© Creative Commons Lic.
Con la maglia del Norwich City, dove Justin militò dal 1978 al 1981.

Denaro & cinismo?

La sua carriera calcistica, nel frattempo, è già finita. L’anno dopo il prestito al Southampton riceve un’offerta dal Derby County che non vuole accettare. Si presenta agli allenamenti del Nottingham, ma un giorno Clough chiama addirittura la polizia per tra-scinarlo via dal campo. Non ha scelta e si trasferisce. Cambia tante squadre (a fine carriera saranno 22 club in 7 paesi diversi) ma non riesce mai a trovare la sua dimensione e deve combattere con un infortunio al ginocchio. I compagni rifiutano di condividere lo spogliatoio con lui, ed è costretto a cambiarsi in quello dell’arbitro. Quando arriva al West Ham, nel 1989, il club lo costringe a sottoporsi al test dell’HIV da accompagnare alle solite visite mediche. L’anno dopo decide di farsi coraggio e fa coming-out, ma sceglie il peggior modo possibile: vende l’esclusiva al Sun in cambio di una grossa somma. L’affare gli attira le critiche della comunità LGBTQ. È un gesto significa-tivo delle contraddizioni di Fashanu: da un lato il coraggio di prendere posizione e, dall’altro, il suo amore per il denaro (qualcuno ha detto: “Il denaro ha fatto a Fashanu ciò che l’alcol ha fatto a Best”).
Prima di vendere l’esclusiva al Sun il fratello gli aveva promesso dei soldi se non lo avesse fatto. Quando esce la notizia John prende pubblicamente le distanze. Lo definisce un estraneo, dichiara che in squadra insieme si rifiuterebbe di fare la doccia insieme a lui. Pensa che un calciatore non dovrebbe esprimere le proprie preferenze sessuali, e ora Justin deve subirne le conseguenze. John aveva vissuto i primi anni all’ombra di Justin, ma ora si era fatto una posizione, si era integrato. Un paio di convocazioni nella Nazionale inglese, ambasciatore Unicef, partecipava ai programmi televisivi; nelle foto insieme a sua moglie la cinge da dietro, entrambi sorridenti, sono l’ideale della famiglia borghese di fronte a cui il fratello rappresenta una minaccia. In tv Justin si dice deluso e ferito. Dopo tutto quello che avevano passato insieme, specialmente da bambini, si sarebbe aspettato più sensibilità, più comprensione.

Discriminazioni che non muoiono

Negli anni successivi Fashanu viaggia per il mondo in cerca di accettazione. È spesso in televisione, trattato con scherno e sufficienza; vende esclusive ai tabloid insieme al suo agente, talvolta inventando relazioni con uomini di potere. Era una persona complessa. Gli amici lo definiscono un enigma, anche chi passa più tempo con lui non è sicuro di conoscerlo. “Non ho mai visto una persona tanto gentile, ma neanche una così apertamente in conflitto con sé stessa”, ricorda un amico nel documentario Forbidden Games a lui dedicato.
Nel 1997 si ritira dal calcio e si trasferisce negli USA per allenare il Maryland Mania, una nuova franchigia che milita nella A-League. Ama allenare, ma quando si sparge la voce della sua omosessualità la comunità non lo vuole più tra i piedi. Una mattina riceve una denuncia: un ragazzo sostiene di essere stato drogato e di aver avuto un rapporto sessuale orale da Fashanu contro la sua volontà. La polizia è pronta a far cadere le accuse per mancanza di prove, ma lui è in preda al panico. Torna a Londra la notte del 2 maggio del 1998 e telefona al fratello. John sente solo il respiro dall’altra parte della cornetta e riaggancia. La mattina dopo viene trovato in un garage di Shoreditch appeso a un cavo metallico. Nel 2021 la società è cambiata e Fashanu oggi forse verrebbe considerato un ambasciatore dei diritti civili, ma il calcio rimane uno degli ultimi bastioni in cui l’omosessualità è un tabù. Poche settimane fa, per esempio, Philipp Lahm, ex capitano del Bayern Monaco, ha consigliato ai calciatori di non fare coming-out. Justin Fashanu ancora oggi resta l’unico calciatore inglese ad aver dichiarato la propria omosessualità mentre era ancora in attività.


© Wikipedia

Articoli simili