United Roads of America. Fra Covid-19 e i sussidi

Dal Maine all’Ohio, continua il nostro viaggio nell’ombelico degli Stati Uniti. Ricordando Marguerite Yourcenar e gli indiani Sioux

Di Emiliano Bos

Pubblichiamo un articolo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Il signor Lee Conary ha mani che sembrano badili. Per una parentesi lunga dieci anni le ha usate per impugnare fucili automatici, alla guida di un plotone di marines in Iraq. Poi è tornato in questo paradiso di foreste e specchi d’acqua, dove tra quelle dita simili a tenaglie invece del grilletto tiene strette le gomene delle barche che affitta. Il guizzo di un luccio increspa la superficie della sua “Marina”. Questo è il Lago Kezar. Siamo nel Nordovest del Maine, dove possiede anche un ristorante il signor Lee, il viso imperlato da un filo di barba d’argento, lo stesso colore di queste distese cristalline al tramonto. “Non troviamo persone per lavorare come camerieri”, spiega. Al momento del nostro incontro aveva 31 dipendenti, la stagione stava per finire. “Molti sono rimasti a casa, tutta colpa dei contributi governativi”, si lamenta. 600 dollari al mese per fronteggiare l’emergenza Covid-19, in aggiunta al contributo per la disoccupazione.  
“Non ne troviamo nemmeno noi di camerieri”, aggiunge il titolare del Pleasant Point, un elegante alberguccio in legno affacciato su un’insenatura incantevole di questo lago. Che ha stregato pure Steven King. Il più prolifico scrittore americano – conferma l’albergatore – “qui possiede otto case”. Cottage immersi tra alte fronde. Non mancano clienti da queste parti, soprattutto d’estate. Manca la manodopera stagionale che accudisca i visitatori.  


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Lee Conary, ex marine e titolare di un ristorante e di un noleggio barche sul lago Kezar in Maine.

Il cimitero della Yourcenar 

Eppure l’estremità nordorientale del Paese ha un sacco da regalare a chi arriva fin qui, otto ore d’auto più in su di New York. Lo sanno bene gli appassionati dell’Acadia, il primo parco nazionale creato nel 1916 a est del Mississippi. Quassù finiscono gli Stati Uniti e appena oltre inizia il Canada. In una baia della Mount Desert Island, gioiello naturale dalle tinte pacate immerso tra isole e aragoste, col granito che scivola tra le onde, trovò ispirazione anche Marguerite Yourcenar. All’entrata del piccolo cimitero di Brookside ciuffi di fiori “cardinal” dai petali carminio punteggiano un torrente. In un angolo – ma bisogna proprio andare a cercarsela – c’è la sua tomba. Tra questi fari abbarbicati sugli scogli e distese di conifere miste a betulle concluse la scrittura del suo “Memorie di Adriano”.  Non potrebbe esserci contrasto più acceso tra il suo Imperatore appassionato di filosofia e arte, e un presidente al crepuscolo del suo mandato, accusato da taluni di atteggiarsi a “sovrano”, che ha dimostrato scarsa frequentazione con la storia e la scienza, un cabotaggio incerto e fallace e una malcelata assenza di empatia di fronte al dramma sanitario che squassa gli States.  


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La lapide sulla tomba della scrittrice Marguerite Yourcenar in un piccolo cimitero del Maine.

Alyssa e i sussidi 

A oltre 1’500 chilometri di distanza cambia la percezione di quei 600 dollari alla settimana. Secondo il signor Lee del Maine sono solo “un incentivo a stare sul divano, perché a quel punto conviene non lavorare e incassare i sussidi”. Ma senza un rinnovo del Congresso, scadranno a breve. Invece visti ora da qui, dall’Ohio, sono essenziali questi aiuti. Almeno per Alyssa, 51 anni, dipendente della taverna Short North, un pub con gl’immancabili televisori appesi alle pareti e gli sgabelli alti con cui si appoggiano i gomiti al bancone per consumare l’ineludibile rito della partita di baseball davanti a un boccale di birra. “Non ce l’avrei fatta senza quei soldi”, ammette Alyssa, sopravvissuta a un tumore al seno qualche anno fa “grazie solo all’Obamacare” , come ci tiene a precisare. Mesi di chiusura per il lockdown, poi la lenta riapertura del locale qui nel centro di Columbus, la capitale dell’Ohio, uno Stato dove il governatore repubblicano in primavera fu uno dei primissimi ad abbassare le saracinesche di bar e ristoranti per contenere i contagi. Misure preventive comunque mai adottate a livello federale. Il governo – riflette ancora il signor Lee dal suo lago incantato – “non avrebbe dovuto politicizzare questa pandemia. Hanno fallito. Non ci hanno protetto”. Dopo quasi 250mila morti qui negli Stati Uniti, lamenta tuttora la stessa carenza di protezione anche il sindacato degli infermieri. Dopo nove mesi di pandemia, continuano a mancare mascherine e guanti. Mesi fa, avevamo visto gli infermieri protestare davanti alla Casa Bianca. 88 paia di ciabatte bianche a ricordare altrettante colleghe e colleghi morti perché non protetti a sufficienza dal coronavirus. 


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La protesta silenziosa degli infermieri davanti alla Casa Bianca, nella prima fase della pandemia. Nove mesi dopo, denunciano la carenza di materiale protettivo.

Gli anziani Sioux, ʻla nostra bibliotecaʼ 

I Sioux degli Ogala in South Dakota, invece, si sono protetti da soli. Posti di blocco per fermare il nemico che stavolta non è il 7° Cavalleggeri. “Gli unici custodi della nostra storia sono gli anziani: dobbiamo salvarli”, mi aveva detto al telefono Julian Bear Runner, 34 anni, giovane capo di questa tribù. Un braccio di ferro con la governatrice, che mesi fa aveva dichiarato illegali quei check-point. Ma i nativi non hanno ceduto. “La mia gente ha una storia orale e una tradizione che non sono scritte nero su bianco” dice Julian “Orso Corridore”. Nativi, afroamericani, ispanici – qui negli Stati Uniti – sono stati colpiti tre volte di più dal coronavirus rispetto ai bianchi. Tra poco sarà Thanksgiving qui in America. Un tacchino sulla tavola per ringraziare, secondo la tradizione. Stavolta però, quasi 250mila famiglie avranno ben poco di cui essere grate.


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L’indiano Sioux Julian Bear Runner (immagine dalla sua pagina in Facebook).

 

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