Maschi a casa: una rivoluzione silenziosa

No, il noto virus qui c’entra poco. Perché se oggi molti uomini si occupano anche di casa e figli, è solo il risultato di un processo, lento e inevitabile.

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del venerdì nelle pagine de laRegione.

Un tempo erano i capofamiglia e portavano a casa lo stipendio. Oggi il lavoro è in crisi e le coppie tendono sempre più a condividere tutte le mansioni e le responsabilità. C’è chi denuncia a gran voce la scomparsa dell’uomo virile. D’altra parte, da decenni stiamo assistendo a un cambiamento silenzioso: quello della paternità. Gli uomini di oggi sono liberi di essere chi vogliono? Chiediamolo a loro.

Fin dai loro primi giorni di vita, i bambini vengono caricati di aspettative che si rifanno a un’idea di “femminilità” e di “mascolinità”. All’Università Cornell (Usa) hanno mostrato un bebè di nove mesi a un gruppo di studenti. A metà del gruppo è stato detto che si trattava di una bambina, all’altra metà di un maschio. Risultato? Gli interrogati convinti che si trattasse di una bimba ritenevano che piangesse per la paura, chi vi vedeva un maschietto pensava invece che piangesse per la rabbia. Dai maschi ci si aspetta coraggio, dalle bambine grazia. È apprezzata una bimba che vuole diventare astronauta (perché entra nel mondo del successo), mentre crea imbarazzo un bambino attratto dal mondo cosiddetto femminile (fiori, bebè, principesse). L’uomo dominante va bene di notte, mentre di giorno ci si aspetta da lui che impugni l’aspirapolvere. Si dice che il maschio è in crisi. Ma di quale maschio stiamo parlando?

Erik, 18 anni

Sembra uscito da un sogno. Suona il violoncello, studia il greco, segue corsi di teatro. Con convinzione dice: «Non credo ci siano differenze tra maschi e femmine». Cresciuto in una famiglia dove tutti facevano un po’ tutto, può solo immaginarsi una coppia che condivide i compiti e permette ai figli di diventare ciò che vogliono. Poi ammette: sì, forse alcune caratteristiche ci sono. Le ragazze si abbracciano di più, fanno discorsi profondi e sono più insicure. «Noi maschi ci buttiamo di più a parlare; per esempio in classe spesso facciamo noi i portavoce. Però siamo più chiusi quando dobbiamo esprimere i sentimenti». 
Un modello di virilità sussiste: «Io personalmente me ne distanzio e cerco di andare per la mia via, con le mie idee e aspirazioni. Però i compagni più deboli, che desiderano farsi accettare, cercano di trasgredire, fare battute in classe, mostrarsi esuberanti. L’idea dell’uomo rude e donnaiolo gira ancora, ma sempre meno: adesso semplicemente ognuno sviluppa la propria personalità».
E i ragazzi effeminati sono presi in giro? «Alle medie sì, un po’. Al Liceo no, nessuno ci fa caso». E perché? «Sui 13-14 anni si è ancora superficiali, non ci si rende conto delle conseguenze di una presa in giro e poi si arriva dall’infanzia, dove maschi e femmine stanno molto separati». A volte sono i genitori che fomentano le differenze: ‘No, dai, sulla torta di compleanno non mettiamo un sole, mettiamo un pallone da calcio: piacerà di più ai tuoi amici’. «La scuola però col tempo ci sensibilizza».

Fernando, 27 anni 

In Ticino ci sono pochissimi maestri di Scuola dell’infanzia, meno di dieci. Fernando è uno di questi. È stato monitore di colonie fin da giovanissimo, insieme ad altri ragazzi. Ha studiato Scienze dell’Educazione in classi miste e poi è stato uno degli unici maschi a optare per una carriera nella Scuola dell’infanzia. «Nessuno mi ha mai deriso: faccio parte di una famiglia e di una cerchia di amici molto aperti. La Svizzera è arrivata tardi alla parità di genere, però ha recuperato in fretta: ora si sta accantonando l’idea di lavori maschili o femminili, così come quella dell’uomo che porta a casa lo stipendio. Io, se mia moglie guadagnerà più di me, starò volentieri a casa a occuparmi dei figli. A scuola ci sono sempre più maestri per le Elementari; quando vengono al tirocinio da noi, si accorgono che anche insegnare alla Scuola dell’infanzia è un mestiere tosto, importante, interessantissimo. Soprattutto in un’epoca con tante famiglie monoparentali, gli uomini diventano un punto di riferimento».

Tristan, 46 anni

«‘La madre si occuperà dell’educazione e della cura, il padre di pagare gli alimenti’: questo ha scritto il giudice, dopo la separazione. Noi che dividevamo tutto, cura, alimenti, educazione. Io che ero pronto a lavorare di meno per continuare a occuparmi dei miei figli la sera, mentre lei lavorava». Tristan è stato sposato, ha avuto due figli; a turno si occupavano dei bambini. Poi si sono separati. La legge non prevede l’affido condiviso: i genitori devono mettersi d’accordo, altrimenti chi lavora meno tiene anche i bambini. 
È arrabbiato, Tristan (nome di fantasia), ma mentre parla tiene la voce dolce. «Prima preparavo la cena e mettevo a letto i bimbi quasi tutte le sere. Ora ho il diritto di visita una sera a settimana, un weekend su due e mi sento un bancomat. La legge mi ha imposto un accordo che rispecchia un modello familiare che non mi appartiene: la mamma sta a casa, educa e cura, il papà guadagna. Più volte ho dovuto chiamare la polizia per vedere i miei figli: lei è stata ammonita, ma è come se io non avessi diritti. Non posso pretendere che me li passi al telefono, non posso fare niente se mi dice: ‘Questo weekend stanno con me’. Devo mantenere i miei ragazzi, la loro casa, lo stesso standard di vita della madre. Io vorrei lavorare meno e tenerli di più, ma non posso perché devo pagare affinché lei se ne occupi. E non mi resta molto per fare le attività che vorrei con loro. Dovremmo unirci, perché ci sono molti padri nella mia condizione, anche se quelli che conosco o si sentono in colpa oppure ritengono giusto che le finanze ricadano sul padre e l’educazione sulla madre: la maggior parte subisce questa situazione fuori dal tempo». 

Leonardo, 40 anni

«Sono cresciuto in una famiglia hippie, sessualmente libera e giramondo». Quando i genitori si sono separati la mamma si è risposata a Lugano, ha avuto altri figli con un uomo che lavorava e la sera tornava a casa stanco. «Due modelli che da adulto ho rifiutato». Leonardo (altro nome di fantasia), alto quasi due metri, mentre si arrampica sulle montagne sembra Ulisse che esce dal mare. «Sto con la mia compagna da 15 anni e siamo una famiglia tradizionale: papà, mamma e tre figli». Non del tutto tradizionale: è lei che esce la mattina a guadagnare la pagnotta. «Mia moglie ha un buon lavoro e chiare ambizioni; io sono più multifunzionale, metto sullo stesso piano ogni aspetto della mia giornata: prendermi cura di me, dei miei figli, dell’orto, tagliare legna, parlare con mia moglie. Sono lavori invisibili
e non portano reddito, ma danno sostegno a tutta la famiglia». La frustrazione però arriva lo stesso. «I bambini, lo sanno tutti i genitori, possono essere tiranni. E i lavori di casa sono noiosi e io non sono bravo a farli. Tutto il giorno a badare ai piccoli, fare il bucato, riempire la lavastoviglie, svuotarla… fatichi come un matto ma non ti sei sfogato. Non riesci a finire un pensiero. L’essere umano è fatto per muoversi, percorrere distanze; cosa diventiamo se ci rinchiudono in tre stanze? Capisco benissimo le casalinghe frustrate, perché i bambini adorano chi arriva a casa la sera e non li sgrida mai. Chi invece passa con loro tutto il giorno ha tempo di mostrare anche i suoi difetti».

Mirko, 23 anni e Fabio, 34

Li incontro insieme sul loro posto di lavoro: un garage in Valle di Blenio. Sono due meccanici di manutenzione per automobili, Mirko vive con i genitori nel Bellinzonese, Fabio sta con moglie e figli in Riviera. «È un mestiere duro, in un certo senso umile, però bello», mi raccontano. «Ora tanti meccanici si stanno riciclando in altri mestieri perché siamo in tanti». Quando chiedo loro cosa farebbero se perdessero il lavoro, vedo dai loro occhi che non vogliono neanche pensarci. È un attimo, poi subito si riprendono: «Qualcosa si trova sempre. Anche se bisogna cambiare mestiere, a casa non si resta». Per Fabio non c’entra chi guadagna in famiglia: qui uno stipendio non basta, devono per forza lavorare tutti e due. Sua moglie sta facendo un apprendistato per riprendere a lavorare e così lui spesso cura da solo i bambini nel fine settimana. Gli chiedo com’è: «Ci vuole pazienza», sorride. 
Parliamo di femminilità e virilità, di ruoli divisi. «Gli uomini sono un po’ più chiusi, non parlano tanto di sentimenti. Secondo lo stereotipo dovrebbero essere forti e protettivi, ma poi adesso ognuno è come è. Le donne preferiscono comunque l’uomo romantico, affettuoso, buon padre di famiglia piuttosto che quello delle pubblicità rude e muscoloso».

 

 

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