Traslocare: una cosa terribile che per fortuna rifarò

Dal montaggio degli scatoloni alla luce in fondo al tunnel, diario psicotico e musicale di un’esperienza dalla quale siamo passati quasi tutti

Di Jacopo Scarinci

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Venerdì

Il trasloco è un incubo. Diffidate di quelli cui piace, di quelli che trovano divertente impacchettare e spacchettare, di quelli che affrontano con entusiasmo lo Stige. Sono le classiche persone che possono uccidervi nel sonno o mettere la panna nella carbonara. Da una parte le scatole smontate – perché pure quelle devi montare –, dall’altra casa mia. La casa che ho scientemente deciso di tradire per un’altra più bella, più affascinante. Quelle scatole diventano Caronte, mi chiedo se ne uscirò vivo. Le guardo, tronfie e arroganti nel loro essere così rigide e schiacciate prima di diventare massi di Sisifo. No, non ne uscirò vivo.

On air: Joy Division, «Dead Souls»

 

Sabato

Quanto può pesare un Adelphi, o un tascabile Einaudi? Un etto? Due? Che sarà mai un libro. Sta bene nello zaino, leggero e pratico nel salvarti dalla noia o dalle persone. Che è un po’ la stessa cosa, a volte. Quanto si cambia idea nel vederne ancora in giro dopo aver sigillato il nono scatolone. Il muro lì nell’angolo aumenta e il disagio, misto al caldo, misto al male di vivere, ti para davanti Günter Schabowski che ti bofonchia un “Das tritt nach meiner Kenntnis… ist das sofort, unverzüglich” gradevole come un ascesso. Nessun vento di libertà abbatterà quel muro di cartoni. Che anzi, irriverenti, sembra quasi si autogenerino. Perché di là c’è l’avanzata di altre scatole con oggetti, vestiti, cose che quando si vedono raggruppate ci si chiede come cavolo siano finite in casa. Mentre riempio cartoni di roba che neanche ricordo di aver comprato – bella storia la prepagata inserita in automatico nella app di Amazon – guardo la mia ragazza fare e spostare il doppio di quanto sto facendo io. Senza lamentarsi, stanca, ma bella e sorridente. Dovrei imparare. Non oggi.

On air: Pink Floyd, «Is There Anybody Out There?»

 

 

Domenica

Più roba si mette in ’ste scatole più caos si genera. Come è possibile? Non lo so, succede. Come tante altre cose, a ben pensarci. In teoria se si mette qualcosa in un contenitore non è più in giro. Eppure no. Sembra sia esploso tutto. Cominciamo a portar noi roba, allora. In casa nuova. Che così poi il trasloco vero e proprio durerà meno. Giù i sedili posteriori e dentro scatoloni su scatoloni, borse con qualsiasi cosa dentro, oggetti-che-boh e tanto, tanto sudore. La bellezza di un trasloco nei primi giorni caldi di una finora mite estate. Uno, due, tre, quattro viaggi poi smetto di contarli. Meno male casa nuova è lì dietro l’angolo, dieci minuti di macchina. Alza, sposta, abbassa. Organizzatissimi, abbiamo pure un carrello di quelli ganzi, che usano quelli che fanno fatica davvero. Tre a tre gli scatoloni entrano in casa, e quei cinque gradini che separano il giardino dall’atrio diventano un Everest invalicabile. Lo scanalare come unica attività sportiva e le dita che battono frenetiche su una tastiera come sforzo massimo non sono chissà quale premessa per un fruttuoso e intenso trasloco. Tant’è. La schiena si domanda che stia succedendo, i bicipiti dicono “Ehi ma ci siamo anche noi allora”. E figurarsi se so risponder loro qualcosa, se non sommessamente scusarmi. Al decimo, undicesimo viaggio, ridendo da soli per la nostra misera condizione, aggrappati alla meraviglia che tutto sarà, ci rendiamo effettivamente conto che di cose ne abbiamo fatte. I mobili sono vuoti. Inizia il conto alla rovescia delle stanze che mancano. Sta per finire. Sta per finire?

On air: David Bowie, «Sense Of Doubt»

 

Lunedì

No, non sta per finire. Perché la cucina è tutta inscatolata, tranne il fondamentale apribottiglie – che vuoi fare senza? La camera ha solo i letti, gli armadi son vuoti. Alle altre stanze mancano solo le lenzuola bianche sui mobili e chili di polvere per farle sembrare parti di quelle case del mistero tipo la Hill House di Shirley Jackson. La gatta si aggira per casa chiedendosi se all’improvviso siamo tutti impazziti. Circa. Esattamente come dovrebbe essere alla vigilia del Gran Giorno. Tutto fatto. E invece no. Perché fuori dalla sala, subdolo e meravigliosamente sprezzante, c’è il terrazzo. Protagonista, nei giorni del confinamento, di un simpatico tentativo di diventare orticoltori. Andò pure bene. Foglie su foglie di basilico, pomodori cherry buonissimi, un rosmarino che crede molto in se stesso e una melissa – in teoria avrebbe dovuto essere menta, ma che ci vuoi fare, si sbaglia – fioritissima. L’ottimo traslocatore il giorno del sopralluogo ha guardato il tutto e, con gentilezza va detto, ha formulato la preghiera laica di travasare il tutto perché nella sua interezza il gustoso orto non sarebbe uscito neanche di casa, ma proprio dal terrazzo. Così, armato di paletta, vasi e tanto ottimismo sotto la stinca del sole il pomeriggio è passato a travasare il tutto. Salvando le radici più grosse, difendendo a spada tratta il futuro pesto alla genovese che diventerà la verde pianta. Quando si finisce il tutto, si aspetta il domani di cui non v’è certezza.

On air: Beatles, «Tomorrow Never Knows»

Martedì

Se i traslocatori dicono 7.30 svegliati almeno un’ora e mezza prima, potrebbe recitare un vecchio mantra. Senza sbagliare più di quel tanto. Perché bevuto il caffè ecco spuntare quella prolunga non inscatolata, quel cavo del computer del lavoro, quel libro – sì, un altro – sfuggito alla retata. E il flash. Inquietante. La cassettiera in cantina. Piena. Quindi giù dalle scale a svuotarla in extremis, giusto per dare quel brivido in più a un momento che non dovrebbe chiederne troppi. E poi? E poi la catarsi. In circa due ore di quella casa restano solo il parquet, i muri, il camino e la voce che rimbomba mentre chiacchieri con uno dei traslocatori: lo juventino che no, Maurizio Sarri non lo tollera. Gli stessi mobili vengono rimontati in un batter d’occhio nella casa nuova, alle 14.30 si salda il conto e tanti saluti. Se l’altro giorno sembrava esploso tutto, adesso sembra che l’uragano Katrina sia tornato per un bis. Eppure c’è gioia, c’è entusiasmo, c’è elettricità: pure troppa, il mobiletto del bagno scollegato dall’interruttore farà luce h24 per i prossimi due giorni. C’è lo svuotare le scatole in una sorta di pesca meravigliosa e il rimettere i libri nelle librerie, c’è la ricerca dell’apribottiglie che si è perso, arrancando sull’ultima salita, per aprire le birre della cena thai ordinata. C’è l’andare a letto prima delle 23 dopo circa una ventina d’anni, che domani si va in redazione. Troppo facile dire che un trasloco è “Una cosa divertente che non farò mai più”. Semplicemente è una cosa terribile che per fortuna rifarò.

On air: Madness, «Our House»: a palla, ma davvero a palla.

 

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