Eros De Berti spara per davvero

A Chiasso lo conoscono tutti, per la simpatia e perché fa l’usciere comunale. Ha due figlie, che però alle pistole hanno preferito i cavalli.

Di Lorenzo Erroi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Eros De Berti è nato a Chiasso nel 1967, e lì è rimasto. Il mondo semmai lo ha girato dietro a una pistola, in una lunga serie di competizioni e successi. Terzo ai Campionati del mondo a squadre, medaglia d’argento individuale e a squadre all’Europeo del 1997 a Kouvola, in Finlandia; ai Campionati svizzeri e ticinesi ha collezionato oltre 40 ori. L’ultimo a Berna appena lo scorso marzo, categoria senior aria compressa. Il suo idolo e modello, nel tiro, era Marcel Ansermet, che lo ha aiutato a sfondare in nazionale. A Chiasso Eros lo conoscono tutti per la simpatia e perché fa l’usciere comunale. Ha due figlie più o meno ventenni, Lisa terza ai Campionati ticinesi di dressage e Claire vincitrice della coppa Ticino (sempre ippica, ma nel salto).

A un certo punto gli ho sorriso, e lui è andato in aria». Quando Eros De Berti ride, in effetti, può succedere di tutto: che ti venga voglia di abbracciarlo, ad esempio; o che da quella faccia gentile spunti un bambino con la cerbottana, che manda in bambola l’avversario durante una gara con la pistola. Eros mi racconta la scena – una finale parecchio contesa – per farmi capire cos’è il tiro sportivo. Ovvero, anzitutto, concentrazione. Perché magari uno pensa che chi spara sia brusco, incazzereccio; e invece «è il cervello che comanda la mano al bersaglio. Devi liberare la testa, entrare in una bolla. Se qualcosa ti distrae, hai già perso». Basta che l’avversario ti sorrida. 
Eros poi non si è mai dimenticato cosa conta davvero: «Crederci, e l’allenamento». In tutti i sensi. Mira, fisico. Più di tutto, però, bisogna lavorare «sul cervello, quando c’è». Me lo dice mentre mima la posizione di tiro e ci mette dentro un altro sorriso, ironico stavolta. Ha addosso la divisa da usciere comunale. Siamo nella sala dei matrimoni del Municipio di Chiasso, ovattata, elegantissima. Per un attimo pare un vecchio romanzo inglese: non so se sfidarlo a duello oppure offrirgli uno sherry.

Aiutarsi

Eros fa l’usciere da 16 anni, ma il titolo spiega poco: «Posso occuparmi di cancelleria come di mettere i sigilli. Se posso cerco di aiutare le persone coi loro problemi, grandi e piccoli. Con me si confidano». Prima è stato guardia carceraria alla Stampa. «È vero che ai carcerati gli devi chiudere la porta dietro, quando vai a casa sai che loro restano lì» e «l’ambiente può essere tetro». Ma in carcere «impari a capire come sta una persona». C’è anche spazio «per una certa compassione, magari col piccolo truffatore fregato dai complici, separato dalla famiglia». 
Quando qualcosa non va Eros, più che l’amarezza, sente di poter aiutare. «Come hanno aiutato me, anche nel tiro: Giorgio Antonini, importatore di pistole, una persona squisita; Guglielmo Chiari, Vanni Donini… Sempre restando un passo indietro, senza volere niente in cambio. È una cosa che cerco di spiegare anche alle mie figlie». E ai giovani tiratori: «Oggi sono soprattutto ragazze, anche se è difficile far capire ai genitori che il tiro è uno sport sicuro».
Dev’essere anche uno preciso, Eros: mentre iniziava a infilare bersagli, faceva l’apprendistato da orefice. «A sparare ho iniziato a 13 anni. Volevo fare calcio, ma mia mamma era contraria, perché mio zio si era fratturato un ginocchio giocando nello Young Boys. Mi allenavo nel Chiasso di nascosto, senza fare le partite». Poi «mio padre, ferroviere, mi ha portato al poligono». Eros ha provato il fucile, «e lì il bersaglio lo prendevo subito. Invece con la pistola, non potendola appoggiare, non riuscivo a colpirlo. Allora è diventata una sfida». Ancora oggi, dopo 38 anni, «sfido me stesso, più che gli altri».

Sudate

Ci sono stati anche i sacrifici. Al di là degli allenamenti, che spaziano dal poligono al training autogeno, c’erano le spese: «Una pistola all’epoca costava 550 franchi. Io da apprendista ne prendevo 394». Fortuna che una volta, «alla Primexpo a Lugano, un importatore aveva messo in palio una pistola per chi riusciva a sparare cinque colpi più vicini possibile. Era presente anche il caro Edy Ramelli, arbitro internazionale di tiro. Sono riuscito a piazzarli tutti e cinque in 14 millimetri.» Da lì ha iniziato a crescere. E a imparare l’aplomb necessario: «Io quando sparo sono abbastanza freddo. Poi magari, terminata la gara, il mio corpo reagisce con una gran sudata. Dopo, però». Sono arrivate le gare in giro per il mondo. «Quelli da battere erano i Russi, perché loro con un successo sportivo potevano togliere dalla miseria tutta la famiglia. Me li ricordo a Bratislava, nell’87: un pullman verde scortato da Lada nere, non potevano uscire dall’albergo se non per le gare». 
Un altro posto «nel cuore» è la Finlandia. Là ha vinto l’argento agli Europei, individuali e a squadre: «A raccontarlo mi viene ancora la pelle d’oca: guarda qui!». Si tira su la manica, e sì: posso confermare.
Delusioni? «Quando ti s’inceppa l’arma». Ma anche quella volta che stava andando in Baviera per la qualificazione alle Olimpiadi, ma gli è saltata la cinghia di trasmissione sulla Biaschina. «I compagni mi avrebbero anche aspettato a Zurigo, se avessi preso il treno. Ma ormai avevo deciso di tornare a casa». Il tiro è così: «Se mentre gareggi pensi alla macchina rotta o al motorino bucato, ti freghi da solo». L’importante poi è andare avanti. Con un sorriso.

 

 

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