Oh, vecchi colleghi…

Quando c’erano li odiavate. E adesso che avete finalmente cambiato lavoro, vi mancano?!

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Il capo micragnoso, il collega che mastica il chewing gum rumorosamente, quello che non offre mai il caffè, quello che crede di avere una vita interessante da raccontare, quello che scrive e-mail invece di girarsi a parlare, quello che alle e-mail non risponde mai. Persino quello con l’alito invadente e pure le battute tristi che quell’altro ti costringeva ad ascoltare. La mensa, anche, e la sua linea di pizze cingommose una volta a settimana o il menù asiatico che ci ha fatti stare male a turno tutti. Mancano tutti, manca tutto. 
Non c’è persona che non si lamenti del proprio lavoro e non c’è persona che, cambiato ufficio, non passi gran parte del proprio tempo a pensare quanto si stesse meglio prima. Mancano i colleghi con cui si fumava una sigaretta pur di sfuggire ai discorsi degli altri, mancano quelli che bisognava trascinare a pranzo ogni volta. Mancano quelli che, se ne accorge più facilmente chi se ne va, tra un caffè e l’altro erano diventati amici. Mancano persino tutti i motivi per cui si era deciso di andarsene.
La solita breve e super accurata indagine rivela che l’effetto nostalgia attanaglia tutti quelli che cambiano lavoro. Spesso vanno incontro a stipendi più alti e promozioni, eppure passano un tempo variabile tra i due e i tre mesi a pensare a quanto si stava meglio stando peggio. Credevo che fosse la solita sindrome di noi «over trenta», affezionati al lamento quasi quanto ai nostri telefoni. Del resto, uno dei segnali che la sindrome è in pieno svolgimento è la scelta di rimanere nei gruppi WhatsApp di un tempo, continuando a commentare le performance degli ex capi e continuando, in fondo, a sentirsi un po’ parte del mondo di prima. 
In molti casi i colleghi smarriti hanno ragione. Prima si stava meglio. Il nostro istinto preferisce sempre il conosciuto al brivido dell’ignoto. Anche se l’ignoto è una macchinetta del caffè diversa da quella precedente. «Non è un posto normale», assicurano gli amici prima di iniziare a lamentarsi di quello che succede tra le quattro mura del proprio ufficio. Di solito rispondo che i posti di lavoro normali non esistono. Al pari delle famiglie normali. E dei Paesi normali. 
Di normale non c’è nulla. Se non la tendenza, incrollabile, a rimpiangere i mondi conosciuti per paura di quelli nuovi. Il rimedio è lo stesso del caldo: molta pazienza e una buona dose di sangue freddo. 

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