Amore amore, amore un Festival
Per introdurre l’edizione odierna, nella quale camminano a braccetto sentimento e neuroscienze, un amoroso aneddoto dagli ‘squallidi’ risvolti
Di Beppe Donadio
Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Nel 1985, Daniele Pace morì a cinquant’anni per infarto, dopo avere consegnato al Festival della Canzone italiana alcuni dei testi più belli e redditizi in termini di diritti d’autore. Cose come ‘La pioggia’, ‘Nessuno mi può giudicare’. E ‘Sarà perché ti amo’, cantata in tutto il mondo. Dietro zuccherose rime come “E vola vola si sa”, o “Se cade il mondo allora ci spostiamo”, Daniele Pace era uomo che fece della volgarità un’esperienza mistica. Da solo – nel disco di culto ‘Vitamina C’ – e all’interno degli Squallor, fondati insieme ad Alfredo Cerruti, Giancarlo Bigazzi, Totò Savio ed Elio Gariboldi, di giorno il gotha del pop italiano (autoriale e produttivo), di notte la parolaccia fatta arte. Nessuno degli Squallor è più in vita. L’ultimo ad andarsene è stato Cerruti, le cui parole al Fatto Quotidiano, le poche rilasciate in vita alla stampa, spiegano tutto: “Avevamo a che fare con i cantanti e i cantanti, non so se lei lo sa, sono degli scassac**** senza eguali. Egotici, arroganti, autoreferenziali (…) Gente micidiale. Usciti dai nostri incontri quotidiani con le stelle della musica, eravamo neri come la notte. Allora pensammo di donarci un po’ di luce. Parodiammo il nostro universo e in quel modo ci salvammo l’anima”.